Una scuola del viterbese e i genitori di un minore vengono citati in giudizio presso il Tribunale civile di Roma perché il minore, noto per atti di “bullismo”, aveva mortificato per mesi un compagno di classe quattordicenne dicendogli che faceva schifo, sputandogli addosso e apostrofandolo come “figlio di puttana”. Inoltre il bullo lo aveva minacciato di uccidergli il fratellino più piccolo e lo aveva umiliato davanti a tutta la scuola prendendolo a pugni fino a rompergli il naso. Il tutto nell’indifferenza, se non nell’atteggiamento omertoso, degli insegnanti e del Preside obbligati per legge a sorvegliare i minori loro affidati.
Alla vittima di tali comportamenti persecutori il medico aveva riscontrato sia un mese di inabilità temporanea totale, sia un mese di inabilità temporanea al 50% nonché una invalidità permanente del 6%. Inoltre nel corso del processo civile venivano evidenziati i conseguenti “danni morali” e i disagi per i danni estetici subiti, tali da condizionare fortemente la vittima nei rapporti con i coetanei, soprattutto nell’approccio con le ragazze.
Tale ricostruzione dei fatti era già stata confermata in sede penale, al Tribunale per i minorenni a seguito della denuncia querela fatta dalla vittima e nel successivo giudizio civile, si costituivano:
– il padre del bullo per declinare ogni addebito dichiarando che al momento dei fatti, a causa del divorzio dalla consorte, non era nelle condizioni di esercitare la vigilanza richiesta dalle leggi vigenti;
-il Ministero della pubblica istruzione negando ogni responsabilità e dichiarando che l’aggressione era avvenuta al termine delle lezioni e al di là del cancello di ingresso della scuola.
Il Tribunale di Roma, usando parole gravi sia nei confronti della Scuola che dei genitori del bullo, condanna gli stessi e il Ministero, evidenziando che:
1) i testimoni dei fatti hanno confermato le dichiarazioni della vittima su tutte le vessazioni subite sia all’interno della scuola sia all’esterno di essa;
2) i genitori del bullo sono pienamente responsabili per i comportamenti persecutori compiuti dai figli minori. Il divorzio del padre e il successivo trasferimento della madre non valgono ad esimere l’obbligo di educare ed istruire il figlio ed assisterlo moralmente, soprattutto in un periodo difficile come l’adolescenza. Del resto il padre, sottolinea il Tribunale civile di Roma, non aveva neppure ritenuto di accompagnare il figlio all’udienza penale al Tribunale per i minorenni né di fare le scuse a nome del figlio che da parte sua non mostrava alcun barlume di pentimento.
3) egualmente responsabile è il Ministero dell’Istruzione poiché gli insegnanti e il Preside sebbene avvertiti, anche nel corso delle riunioni del Collegio docenti per il tramite del rappresentante di classe, dei comportamenti vessatori del bullo non erano intervenuti per adottare i doverosi provvedimenti nei confronti dello stesso, venendo così meno ai loro obblighi di legge.
Per tutti i motivi esposti il Giudice condanna sia i genitori che il Ministero al risarcimento dei danni patiti dallo studente comprendenti sia le lesioni fisiche che i danni esistenziali e relazionali.
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Maria Sabina Lembo | 2017 Maggioli Editore
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