In questo articolo tratto il tema della pensione che è l’emolumento che viene devoluto al prestatore di lavoro al termine del rapporto di lavoro e tratto anche del tema della liquidazione anche conosciuta come trattamento di fine rapporto.
Indice
1. Calcolo delle pensioni e trattamento di fine rapporto
La pensione, intesa come la principale prestazione previdenziale devoluta al lavoratore a seguito del raggiungimento di una maturità anagrafica e contributiva, in origine era calcolata in relazione all’ammontare dei contributi effettivamente versati, si parlava infatti della cosiddetta pensione contributiva. Questo sistema che era una logica conseguenza della gestione a capitalizzazione, determinava situazioni sfavorevoli all’assicurato per esempio in caso di conto di riscatto necessario a coprire vuoti che altrimenti non avrebbero consentito l’erogazione della pensione.
Successivamente e precisamente fino alla legge 335 del 1995 il calcolo dei trattamenti pensionistici è avvenuto attraverso il meccanismo di calcolo retributivo, basato cioè sull’importo medio delle ultime retribuzioni percepite dall’assicurato in costanza di rapporto. La menzionata legge 335 del 1995, cosiddetta riforma Dini ha operato un ritorno alle origini introducendo una forma di pensionamento in cui le pensioni sono liquidate esclusivamente con il metodo del calcolo contributivo che tiene conto dei contributi effettivamente versati con coesistenza dei seguenti sistemi di calcolo: il sistema di calcolo esclusivamente contributivo per i neoassunti dal primo gennaio 1996 che non siano in possesso di contributi con riferimento a periodi precedenti in tale data, cosiddetti contributivi puri; il sistema di calcolo misto o pro rata a favore di quei lavoratori che possono far valere al 31 dicembre 1995 un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni ed infine il sistema di calcolo esclusivamente retributivo a favore di quei lavoratori in possesso al 31 dicembre del 1995 di almeno 18 anni di contributi.
In seguito alla riforma Dini, il sistema retributivo ha continuato a trovare integrale o parziale applicazione per lavoratori con anzianità contributiva. Dal giorno primo gennaio 2012 la situazione invece è cambiata. La riforma Fornero ha disposto con effetto di tale data il passaggio di tutti gli assicurati al sistema del calcolo contributivo (articolo 24 comma 2 decreto legge 201 del 2011 convertito in legge 214 del 2011). L’innovazione riguarda in sostanza i lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 i quali sono passati al sistema misto in quanto il sistema di calcolo contributivo si applica soltanto alle anzianità contributive maturate dal primo gennaio 2012 fino alla fine della vita lavorativa. Di conseguenza i criteri di calcolo delle pensioni variano in base all’anzianità contributiva maturata alla data del 31 dicembre 1995 dovendosi così distinguere: per i lavoratori privi di anzianità contributiva la pensione viene calcolata esclusivamente con il sistema contributivo, per i lavoratori con anzianità contributiva la pensione è calcolata con il sistema misto (sistema retributivo più sistema contributivo). Inoltre in base all’ articolo 2120 c.c, in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto (cosiddetto TFR). Quest’ultimo si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso diviso per 13,5. Per il calcolo del trattamento di fine rapporto trova infatti applicazione il principio della onnicomprensività della retribuzione includendo tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, escluse quelle per rimborso spese. La regola della onnicomprensività è derogabile a condizione che la contrattazione collettiva apporti un’eccezione a tale regola in modo chiaro ed univoco (Cassazione numero 5569 del 2009 e 5707 del 2009).Il diritto al TFR si prescrive in 5 anni secondo l’articolo 2948 numero 5 del codice civile che decorrono dalla data di cessazione del rapporto di lavoro .Se il diritto al TFR è riconosciuto con sentenza di condanna passata in giudicato la prescrizione è decennale. Il termine iniziale di decorso della prescrizione del diritto al TFR va individuato nel momento in cui tale diritto può essere fatto valere e cioè nel momento in cui il rapporto di lavoro subordinato cessa e non già in quello in cui sia stato accertato giudizialmente l’effettivo ammontare delle retribuzioni spettanti. Si veda in questo senso la sentenza della Cassazione numero 9695 del 2009, nonché la sentenza della Cassazione numero 1868 del 2010 e infine la sentenza della Cassazione numero 4381 del 2010. Il trattamento di fine rapporto ha un carattere retributivo, costituendo quella parte della retribuzione la cui corresponsione viene differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia la legge ha voluto riconoscere al lavoratore un certo margine di disponibilità anticipata. È previsto infatti che il lavoratore con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro possa chiedere in costanza di rapporto di lavoro un’anticipazione non superiore al 70% sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta . Quest’ultima deve essere giustificata dalla necessità di effettuare spese sanitarie per terapie di interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche; acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli , spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi parentali e formativi. I datori di lavoro sono obbligati a soddisfare annualmente le richieste entro i limiti del 10% degli aventi titoli e comunque del 4% del numero totale dei dipendenti. L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta dal trattamento di fine rapporto fino a quel momento maturato. L’articolo 2122 codice civile stabilisce che in caso di morte del lavoratore, il TFR maturato e spettante al lavoratore alla data del decesso sia corrisposto sotto forma di indennità sostitutiva ai suoi superstiti( cosiddetta indennità mortis causa). Ne hanno diritto il coniuge, i figli e se vivevano a carico del prestatore di lavoro anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. L’indennità spetta anche in caso di morte dei lavoratori che sia parte dell’unione civile. La ripartizione dell’indennità se non vi è accordo tra gli aventi diritto deve farsi secondo il bisogno di ciascuno. In difetto di questi soggetti l’indennità spetta agli altri eredi secondo le regole della successione testamentaria o legittima.
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2. Il fondo di garanzia
D’altra parte l’articolo 2 della legge 297 del 1982 ha istituito presso l’Inps il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto. Per assicurare il pagamento del TFR indipendentemente dalle vicende che possono colpire un’azienda per esempio fallimento o liquidazione. Con il decreto legislativo n 80 del 92 la garanzia del fondo è stata estesa anche ai crediti di lavoro diversi dal TFR quali la retribuzione. L’intervento del fondo di garanzia può essere richiesto da tutti i lavoratori subordinati se, cessato il rapporto di lavoro si verifichi una situazione che determina l’incapacità del datore di lavoro di pagare il TFR o le ultime retribuzioni prima della cessazione del rapporto di lavoro ai lavoratori: in questo caso il fondo si sostituisce al datore insolvente (articolo 2 della legge 297 del 1982). Il fondo opera sia se il datore di lavoro è soggetto alle disposizioni sul fallimento sia se non lo è ed in tal caso l’esecuzione forzata ha avuto esito negativo. Secondo la giurisprudenza inoltre il Fondo deve intervenire anche nel caso in cui il datore di lavoro è assoggettabile al fallimento ma non possa però essere dichiarato fallito per motivi oggettivi o soggettivi ad esempio perché trascorso oltre un anno dalla cessazione dell’attività ovvero per esiguità del credito. Il Fondo di garanzia interviene anche nei confronti dei lavoratori assunti da imprese che operano in più stati membri dell’Unione Europea quando questi abbiano prestato abitualmente la loro attività in Italia. I fondi pensione sono forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale ( articolo 1 decreto legislativo 124 del 93).La previdenza complementare è finanziata dai soggetti destinatari delle relative prestazioni che devono versare appositi contributi. Per i lavoratori subordinati il contributo da versare al fondo pensione prescelto è rappresentato da una percentuale della retribuzione ma sin dalle prime leggi in materia è stata prevista la facoltà di destinare alle forme pensionistiche complementari istituite su base contrattuale collettiva una quota dell’ accantonamento annuale di TFR. Quest’ultima modalità è divenuta obbligatoria dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 124 del 1993. Infatti i lavoratori assunti per la prima volta dopo tale data che hanno deciso di aderire ad un fondo pensione hanno dovuto versare ad esso integralmente ed obbligatoriamente le somme di denaro corrispondenti agli accantonamenti annuali di TFR maturati dalla data dell’adesione in poi. Il decreto legislativo 252 del 2005 stabilisce che l’adesione alle forme pensionistiche complementari comporta dal 1-1 2007 il conferimento del TFR al fondo pensione prescelto dal lavoratore. In particolare il provvedimento ha affermato il principio del finanziamento della previdenza complementare mediante il conferimento integrale del TFR. Tuttavia la legge 124 del 2017 cosiddetta legge annuale per il mercato e la concorrenza ha previsto la possibile destinazione non integrale del TFR ai fondi pensione (articolo 1 comma 38). Le fonti istitutive possono infatti modulare la quota del TFR stabilendo la percentuale minima da destinare ai fondi pensione, fermo restando che, in mancanza di tale previsione il conferimento deve intendersi corrispondente al cento per cento del TFR, annualmente maturato. Il lavoratore entro sei mesi dalla data dell’assunzione può decidere di aderire alla previdenza complementare indicando il fondo pensione prescelto e dichiarando la propria volontà di conferire a titolo di contribuzione il TFR maturando (cosiddetto assegno esplicito).Tale scelta è irrevocabile. Può decidere di non aderire dichiarando espressamente il proprio diniego (cosiddetto rifiuto esplicito). Se il lavoratore si esprime negativamente optando per il mantenimento del TFR maturando presso il proprio datore di lavoro può sempre successivamente revocare tale scelta e conferire il TFR ad un fondo pensione a titolo di adesione. Se invece il lavoratore lascia passare inutilmente i sei mesi previsti , l’ adesione al fondo pensione della categoria di appartenenza avviene automaticamente e comporta la devoluzione integrale e obbligatoria del TFR “maturando”( meccanismo del silenzio assenso alla previdenza complementare). L’adesione alla previdenza complementare comporta inevitabilmente una trasformazione del regime concernente il TFR. Infatti se il lavoratore aderisce alla previdenza complementare volontariamente o per effetto del silenzio assenso al termine del rapporto non gli sarà erogato il TFR. Invece egli riceverà una pensione integrativa nella forma di una rendita periodica alla maturazione dei requisiti pensionistici del regime di appartenenza; se il lavoratore non aderisce alla previdenza complementare continuerà a maturare il TFR che sarà liquidato in regime di retribuzione differita al termine del rapporto di lavoro.
3. Il fondo di Tesoreria gestito dall’INPS
Le imprese con almeno 50 addetti devono devolvere le quote di TFR presso un apposito fondo denominato fondo di Tesoreria gestito dall’INPS per conto dello Stato. Le quote di TFR versate su questo fondo soggiacciono al regime della indisponibilità fermo restando le ipotesi di pagamento anticipato del TFR versato al fondo di Tesoreria nei casi e nei limiti normativamente previsti. Il lavoratore non può esercitare la facoltà di trasferire quote di TFR pregresso dal fondo di Tesoreria al fondo di previdenza complementare al quale successivamente ha scelto di aderire. Nell’ambito della normativa applicabile al fondo di Tesoreria infatti la portabilità non risulterà in alcun modo disciplinata
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