Lilla Laperuta
Questo, in sintesi, il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, nella sentenza 8 agosto 2013, n. 18923. La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, ricorda il Supremo Collegio, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (salva l’eccezione della fictio iuris di cui all’art. 10 legge fall.). Pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; se l’evento si sia verificato quando si sia definitivamente formato il titolo esecutivo giudiziale nei confronti della società, il titolo esecutivo contro quest’ultima ha efficacia contro i soci, ai sensi dell’art. 477 c.p.c.
In particolare – viene chiarito – «nei confronti dei soci l’azione esecutiva può essere intrapresa, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; nel caso di società in accomandita semplice cancellata dal registro delle imprese dopo la formazione del titolo esecutivo, l’azione esecutiva da parte del creditore sociale potrà essere direttamente intrapresa, sulla base del medesimo titolo, contro i soci accomandanti nei limiti della quota di liquidazione».
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