Cannibis light, la pronuncia delle Sezioni Unite

Marina Di Dio 23/10/21
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Indice dei paragrafi: 1. Riemersione dell’attualità della questione alla luce del caso Morisi; 2. Il quesito posto all’attenzione delle Sezioni Unite dalla IV Sezione Penale della Corte di Cassazione; 3. Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite ed il ragionamento sotteso alla pronuncia.

 

  1. Riemersione dell’attualità della questione alla luce del caso Morisi

In questi giorni, dati i recentissimi fatti di cronaca, sembrano essersi riaccesi i riflettori sul tema della legalizzazione delle droghe leggere, materia contro la quale si è sempre scagliato da Salvini con una durissima propaganda web curata da Morisi, suo ex social media manager, oggi al centro di quello che si potrebbe definire un incredibile boomerang fortemente dibattuto dai maggiori esponenti politici nonché da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano.

Ma facciamo un passo indietro. Il 4 marzo 2019 Salvini presentava alla Camera il suo disegno di legge volto ad inasprire le pene per le condotte di cessione di sostanze stupefacenti ed eliminare dal nostro ordinamento il concetto di modica quantità per i reati di “lieve entità”.

Diceva l’allora Ministro dell’Interno: “I venditori di morte li voglio veder scomparire dalla faccia della terra[1]. Così Salvini in conferenza stampa alla Camera annunciava che il suo nuovo fronte di battaglia sarebbe stata la droga. “A me interessa togliere dalle strade chi spaccia: poi quello che fa ognuno non mi interessa.”, diceva presentando la sua iniziativa che rievocava i contenuti della Legge Fini-Giovanardi, considerata da molti una delle cause del sovraffollamento carcerario e poi dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Consulta n. 32/2014 per il modo in cui era stata approvata. Salvini giustificava l’urgenza dell’intervento normativo, prendendo spunto da un caso di cronaca avvenuto il 3 marzo 2019 a Porto Recanati: “È un disegno di legge urgente. Faccio riferimento a quel tossico che ha incrociato un babbo e una mamma uccidendoli. Era coinvolto nel sequestro di 225 chili di droga ed era a spasso”, spiegava il vicepremier della Lega[2].

Richiamava l’arresto di Marouane Farah, il trentaquattrenne di origini marocchine alla guida della Audi A6 resosi responsabile della morte di Gianluca Carotti e Elisa Del Vicario, già coinvolto in un procedimento penale per traffico di sostanze stupefacenti nell’ambito del quale, nell’aprile 2018 a Montegranaro, era stato eseguito un ingente sequestro di droga[3].

L’atteggiamento di Salvini, dunque, è sempre stato particolarmente duro contro i “venditori di morte” anche nelle ipotesi in cui si trattasse di piccoli spacciatori.

Risale a pochi giorni fa la notizia dell’indagine a carico di Morisi, ex responsabile della comunicazione di Salvini, indagato per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. L’uomo collabora con Salvini dal 2013 ed è stato il capo della propaganda online definita “Bestia” che, per ammissione dello stesso segretario, ha portato la Lega dal 4 per cento del 2013 al 34 per cento alle Europee del 2019.

Il caso ha generato grande rumore mediatico a pochi giorni dalle elezioni amministrative: l’uomo che cura l’immagine del segretario nonché inventore della macchina di propaganda contro il fenomeno dello spaccio, è indagato proprio per fatti di riconducibili alla droga! Ed è il web per primo a ritorcersi contro Salvini, ricordandogli soprattutto l’episodio della citofonata al Pilastro di Bologna[4].

Salvini, infatti, si è sempre detto contrario alla legalizzazione delle droghe leggere, strumento che, a parere di chi scrive, permetterebbe di confinare il problema entro un certo range di pericolosità e gravità, escludendo il profilo penalistico al ricorrere di determinate circostanze “bagatellari”.

Stante la particolare attenzione posta alla questione nel contesto storico del momento pare utile richiamare, proponendone la lettura di un breve commento, la sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 30475 del 30 maggio 2019 sulla c.d. cannabis light.

  1. Il quesito posto all’attenzione delle Sezioni Unite dalla IV Sezione Penale della Corte di Cassazione

La sentenza trae origine dal ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame con la quale era stato revocato il sequestro preventivo disposto dal G.i.p. ed avente ad oggetto 13 chili di foglie ed inflorescenze di cannabis per il reato ex artt. 73, co. 1, 2 e 4 e 80, co. 2 D.P.R. n. 309/1990, limitatamente ai reperti contenenti una percentuale di principio attivo non superiore allo 0,6%. Le foglie e le inflorescenze erano state sequestrate presso un punto vendita sito in Ancona, atteso che dagli accertamenti tossicologici esperiti sulle sostanze sequestrate era emersa la presenza di principio attivo «tetraidrocannabinolo» superiore allo 0,6%.

La decisione assunta dal Tribunale muove dall’interpretazione della legge 2 dicembre 2016, n.

242, recante Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. Osserva il Tribunale che ai sensi dell’art. 2 è consentita la coltivazione delle varietà di canapa indicate all’art. 1 del medesimo testo normativo; e sottolinea che secondo l’art. 4, co. 7, solo a seguito del superamento del limite dello 0,6% di principio attivo è possibile procedere al sequestro ed alla distruzione della coltivazione e, dunque, anche del prodotto derivato.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona deduceva, con ricorso per cassazione, la violazione di legge e il vizio di motivazione, osservando che l’esclusione della punibilità prevista dalla legge n. 242 del 2016 sia prevista unicamente nei confronti del coltivatore e non possa essere estesa in favore del commerciante che detenga e ponga in vendita foglie e inflorescenze ottenute dalla pianta di cannabis sativa L..

Con ordinanza del giorno 8 febbraio 2019 la IV Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, osservando come sulla questione relativa all’ambito di operatività della Legge n. 242/2016 si registrasse un contrasto giurisprudenziale.

Invero, un primo orientamento ritiene che la suddetta legge non consenta la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della canapa (hashish e marijuana), sull’assunto che la novella disciplini esclusivamente la coltivazione della canapa per i fini commerciali elencati all’art. 1, co. 3 tra i quali non rientra la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle inflorescenze e dalla resina. In tale ambito ricostruttivo, i valori di tolleranza di THC consentiti dall’art. 4, co. 5 si riferirebbero solo alla percentuale di principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio. Secondo tale indirizzo, la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione di cannabis sativa L., sempre che presentino un effetto drogante, integrerebbe gli estremi del reato di cui all’art. 73, D.P.R. n. 309/1990: la cannabis sativa L. presenta intrinseca natura di sostanza stupefacente ai sensi dell’art. 14 D.P.R. n. 309/1990, giacché l’allegata Tabella II include la cannabis in tutte le sue varianti e forme di presentazione.

A tenore di un diverso orientamento ermeneutico, nella filiera agroalimentare della canapa che la novella del 2016 intende promuovere, rientrerebbe la commercializzazione dei relativi derivati. Dalla liceità della coltivazione discenderebbe, pertanto, la liceità dei prodotti che contengano una percentuale di principio attivo inferiore allo 0,6%. Dovrebbe quindi escludersi, ove le inflorescenze provengano da coltivazioni lecite ai sensi della Legge n. 242 del 2016, la responsabilità penale sia dell’agricoltore che del commerciante.

Le Sezioni Unite venivano così chiamate a rispondere al quesito della IV Sezione Penale “se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al Catalogo indicato nell’art. 1, comma 2, della Legge n. 242/2016 e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L. rientrino o meno (e, se si, in quali eventuali limiti) nell’ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa”.

  1. Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite ed il ragionamento sotteso alla pronuncia

Posto il quesito sopra richiamato, le SS.UU. hanno affermato il seguente principio di diritto: “La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte al Catalogo comune delle specie delle piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del consiglio del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita, e in genere la commercializzazione al pubblico dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, son condotte che integrano il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 4, 5 e 7 legge 242 del 2016, salvo che tali derivati siano in concreto privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”.

Quindi, è stato ritenuto che la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. non rientri nell’ambito di operatività della Legge n. 242/2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, così cristallizzando un divieto definitivo alla vendita al pubblico di foglie, infiorescenze, olio e resina derivati dalla “cannabis light”.

Per rispondere al quesito suddetto, le Sezioni Unite hanno approfondito tre punti che, di seguito, si schematizzano:

  • In ordine alla Legge n. 242/2016, si evidenzia che essa è finalizzata alla promozione della coltivazione agroindustriale di canapa delle varietà ammesse (cannabis sativa L.), e trattasi di coltivazione che beneficia dei contributi dell’Unione Europea laddove il coltivatore dimostri di avere impiantato le sementi ammesse dalla normativa;
  • La coltivazione di cui al punto precedente è consentita senza la necessità di autorizzazione, ma a condizione che dalla stessa si ottengano esclusivamente i prodotti indicati in via tassativa dall’art. 2, co. 2 (rubricato Liceità della coltivazione)[5] e, quindi:
  1. alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
  2. semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;
  3. materiale destinato alla pratica del sovescio;
  4. materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
  5. materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
  6. coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
  7. coltivazioni destinate al florovivaismo.

Ad avviso delle Sezioni Unite, pertanto, la commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resine, derivanti dalla coltivazione di cannabis sativa L. integrerebbe i presupposti della fattispecie di reato di cui all’art. 73, co. 1 e 4 D.P.R. n. 309/1990 (rubricato Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), cioè vendita, cessione, distribuzione, commercio, consegna, detenzione ed altre attività di messa in circolazione di sostanze stupefacenti o psicotrope;

  • La commercializzazione di cannabis sativa L. o dei suoi derivati, differenti da quelli elencati dalla Legge n. 242/2016, configurerebbe il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 anche nell’ipotesi in cui il contenuto di THC[6]fosse inferiore alle concentrazioni indicate dall’art. 4, co. 5 e 7 della Legge n. 242/2016 (Controlli e sanzioni), ossia 0,6%.

Invero, l’art. 73 punisce la condotta di commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resina, derivati della cannabis senza alcuna distinzione operare rispetto alla percentuale di THC presente in tali sostanze, stante la definizione di sostanza stupefacente di cui agli artt. 13 e 14 T.U. sugli stupefacenti[7].

Svolte tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno – altresì – richiamato l’insegnamento giurisprudenziale che valorizza il principio di concreta offensività della condotta e, dunque, ribadito la necessità di un accertamento sull’efficacia drogante delle sostanze che siano oggetto della cessione.

Hanno, pertanto, ritenuto indispensabile la verifica ad opera del giudice di merito circa la concreta offensività della condotta, riferita alla idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante, principi questi espressi già dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 109 del 2016 chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del reato di coltivazione di piante stupefacenti anche nell’ipotesi in cui la condotta sia funzionale all’uso personale delle sostanze ricavate.

Coordinate interpretative fondamentali, queste ultime, atteso che la cessione illecita concerne foglie, infiorescenze, olio e resine e altri derivati della varietà di cannabis in questione, caratterizzata da un basso contenuto di THC.

Le Sezioni Unite, dunque, hanno disposto la necessaria verifica dell’idoneità – in concreto – della sostanza a produrre un effetto drogante e non la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, rilevando che, rispetto alla configurabilità del reato di cui al citato art. 73, non conta il superamento della quantità di “dose media giornaliera”, ma la capacità drogante di ogni singola dose della sostanza ceduta.

Pertanto, benché a tenore del vigente quadro normativo l’offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. configurino la fattispecie di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità si impone l’accertamento della concreta offensività delle singole condotte contestate, rispetto all’efficacia drogante delle sostanze in questione.

In ultimo, le Sezioni Unite rilevano come i dubbi interpretativi del testo della Legge n. 242/2016 ben potrebbero ripercuotersi sull’elemento conoscitivo del dolo del soggetto agente in ordine alla condotta di commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L. all’indomani dell’entrata in vigore della normativa.

Pertanto, il giudice di merito potrebbe escludere la colpevolezza dell’imputato, ancorando la sua decisione a criteri oggettivi quali l’oscurità del testo di legge nonché l’atteggiamento degli organi giudiziari che, spesso, hanno giudicato casi analoghi con decisioni anche opposte, laddove risulti un “errore” da parte dell’imputato.

Alla luce delle considerazioni esposte nel presente contributo, pare potersi evidenziare l’opportunità di un ulteriore intervento legislativo in grado di rendere la materia di più facile interpretazione, fugando ogni dubbio sulla corretta applicazione della Legge n. 242 del 2016.

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Note

[1]V. Morisi, quando Salvini presentava la legge per aumentare le pene per chi spaccia e diceva: “Non esiste la modica quantità”, 28 settembre 2021, inwww.ilfattoquotidiano.it.

[2]V. Droga, Salvini presenta il disegno di legge: “Aumentiamo la pena per chi spaccia e basta con la modica quantità”, 4 marzo 2019, inwww.ilfattoquotidiano.it.

[3]Cfr. Chiara Gabrielli, Incidente Porto Recanati 3 marzo. Farah era ubriaco e drogato, 4 marzo 2019, in www.ilrestodelcarlino.it.

[4]Cfr. Emanuele Lauria, Chi è Morisi, cosa gli è successo e perché è un caso politico per la Lega, 29 settembre 2021, in www.repubblica.it.

[5] Testo reperibile in www.gazzettaufficiale.it.

[6]Il Δ-9-tetraidrocannabinolo – comunemente noto come THC – è il più importante principio attivo contenuto nella cannabis o canapa.

[7] Testo consultabile in www.brocardi.it.

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