Premessa
L’espressione “capitalizzazione degli interessi” richiede anzitutto una precisazione terminologica. Ciò perché il termine “capitalizzazione” è usato spesso come sinonimo di “anatocismo”, a causa dell’identità dell’effetto economico ultimo.
Funzionalmente, l’interesse rappresenta il costo del finanziamento; strutturalmente, esso è un’obbligazione accessoria il cui importo cresce in maniera esponenziale, in base all’ammontare del capitale concesso, al tempo di disponibilità del denaro e al tasso percentuale.
L’Anatocismo è l’interesse composto, da contrapporre all’interesse semplice
L’anatocismo rappresenta il modello che, in matematica finanziaria, è chiamato “interesse composto”, da contrapporre all’interesse semplice. Secondo quest’ultimo, l’interesse cresce proporzionalmente al capitale e al tempo; una volta scaduto il tempo di disponibilità del denaro, esso diventa esigibile, ma non viene capitalizzato; quindi il capitale di base rimane invariato, così come rimane invariato l’interesse dovuto per ogni frazione di tempo: a fronte di un capitale di 100, concesso per 3 anni ad un tasso del 5%, per il primo anno l’interesse è pari a 5, e rimane 5 anche per i due anni successivi. Questo perché l’importo dell’interesse non viene sommato al capitale, che mantiene l’importo iniziale.
Il modello dell’interesse composto, invece, vede l’interesse maturato alla fine del periodo aggiungersi al capitale: ed è qui la differenza rispetto al precedente modello, che non prevede la capitalizzazione.
L’art. 1283 c.c. ed il divieto di produrre interessi su interessi
Il profilo di matematica finanziaria è utile a spiegare la ratio del divieto posto dall’art. 1283 c.c. La norma, infatti, prende atto del meccanismo, ne valuta l’impatto economico, ed interviene a vietarlo. L’ordinamento mira, da un lato, ad evitare locupletazioni sproporzionate e ingiuste da parte del creditore, che sono anticamera dell’usura, dall’altro vuole proteggere il debitore.
L’anatocismo è quindi pericoloso per la stabilità economica finanziaria del debitore, il quale contrae un’obbligazione di cui non conosce il costo finale, e che, pertanto, corre il rischio del dissesto.
L’efficacia derogatoria dell’uso contrario si spiega nell’essenza stessa della fonte: ripetizione del comportamento e convinzione di doverosità fanno ragionevolmente presumere la consapevolezza, in capo al soggetto che tiene il comportamento, della portata di esso – in questo caso del costo del finanziamento –, onde non c’è ragione ulteriore di tutela.
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 17 ottobre 2000, n. 425, dichiarò illegittima la sanatoria retroattiva per eccesso di delega rispetto alla L. 128/1998, per cui la delibera CICR, che dettava criteri per l’adeguamento delle precedenti clausole anatocistiche, postulandone la validità ex lege, rimase sfornita di base legislativa primaria, dunque invalida e disapplicabile ai sensi dell’art. 5 L. 2248/1865.
Con la L. 147/2013, il legislatore modificò l’art. 120, comma 2, TUB: stabilì il divieto di interessi sugli interessi, consentendo solo una capitalizzazione infruttifera e delegando il CICR alla normativa di dettaglio. Mancandone l’emanazione, è sorta la questione dell’efficacia precettiva o programmatica della norma, in attesa della delibera.
La soluzione prevalente è stata l’immediata precettività, stante la rilevanza unicamente contabilistica, e non sostanziale, della normativa di dettaglio. Al contrario, taluno ha sostenuto l’ultrattività della delibera CICR 9.2.2000, anche sulla base della genericità del nuovo art. 120, comma 2, TUB.
Quadro normativo attuale
Il D.L. 18/2016, convertito in L. 49/2016, con l’art. 17 bis, comma 1, modifica nuovamente l’art. 120, comma 2, TUB. La nuova disposizione recita espressamente che: “gli interessi debitori maturati […] non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. La norma prosegue prescrivendo che, per talune operazioni, il cliente possa autorizzare l’addebito degli interessi sul conto, in modo che la somma addebitata “è considerata sorte capitale”.
In data 3.8.2016, il CICR ha emanato la normativa secondaria di dettaglio, delegata dal D.L. 18/2016.
Secondo l’art. 4, comma 3, della delibera, gli interessi debitori maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale, la quale produce interessi di pieno diritto.
Il comma 5 prevede la possibilità, per il cliente, di autorizzare che, al momento della loro scadenza, gli interessi vengano addebitati sul conto; in questo modo – prosegue la disposizione regolamentare – la somma addebitata è considerata sorte capitale.
Ora, collegando i predetti commi, risulta che, se la sorte capitale produce interessi e gli interessi addebitati si considerano sorte capitale, allora gli interessi addebitati producono interessi.
La novella del 2016 conferma l’equazione effettuale posta in apertura tra capitalizzazione e anatocismo: con l’autorizzazione del cliente, è possibile la produzione di interessi sugli interessi, attraverso l’addebito degli stessi in conto capitale.
Sul punto, vedasi:“Cumulo interessi corrispettivi e moratori”
Conclusioni
La lettura appena fornita è quella maggiormente condivisa in sede di primo commento.
Taluno, al contrario, opina che nessuna novità sarebbe stata introdotta dalla novella del 2016 in punto di validità dell’anatocismo. L’addebito degli interessi in conto capitale non sarebbe un modo di produzione di interesse sull’interesse, bensì una semplice modalità di pagamento. Ciò in ragione del fatto che l’interesse è addebitato solo una volta scaduto: tale scadenza assimilerebbe l’interesse al capitale. In altre parole, l’addebito degli interessi avrebbe la medesima natura dell’addebito in conto di commissioni, oneri, spese e via dicendo.
L’opinione non convince, poiché comporterebbe la necessità di dare alla medesima espressione “sorte capitale” due significati differenti; mentre nel primo caso la sorte capitale, per espressa disposizione di legge (art. 120, comma 2, lett. B, TUB), produrrebbe interessi di pieno diritto, nel secondo caso, cioè una volta addebitati gli interessi, non sarebbe più fruttifera. Il capitale sarebbe quindi fruttifero e infruttifero insieme, con patente contraddizione.
L’interpretazione più piana, d’altronde, è confermata dall’art. 4, commi 3 e 5, della delibera 3.8.2016. In definitiva, il cliente può pagare gli interessi entro il 1 marzo dell’anno successivo, oppure autorizzare l’addebito in conto, sebbene per iscritto, ai sensi dell’art. 117 TUB, con conseguente capitalizzazione ed effetto anatocistico.
Il D.L. 18/2016 e la delibera CICR 3.8.2016 segnano forse un ritorno al passato, sia per la portata minimale del divieto, sia perché l’autorizzazione del cliente rischia di sbiadire nell’anonimato della contrattazione di massa, residuandovi solo un “simulacro” di volontà negoziale: sarà la futura interpretazione giurisprudenziale a svelare la portata della volontà autorizzatoria, che, vista la rilevanza del fenomeno anatocistico, dovrà essere circondata di garanzie di consapevolezza ed effettività.
Nel caso che più ci riguarda, richiamando quanto già esplicitato, il Tribunale di Crotone, Giudice Alfonso Scibona, con la sentenza n. 1488 del 04.12.2018 ha espresso i seguenti principi:
Nei contratti di conto corrente bancario, ai sensi dell’art. 120 T.U.B., D.lgs. n. 385 del 1993, come modificato dall’art. 25 del D.lgs. n. 342/1999 ed in virtù della successiva Delibera C.I.C.R. del 09.02.2000, è ammessa la capitalizzazione degli interessi a condizione che la periodicità della capitalizzazione sia reciproca e che risulti da espressa pattuizione scritta.
Ne deriva che le clausole anatocistiche contenute nei contratti di conto corrente implicanti la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sono affette da nullità – rilevabile anche d’ufficio ex art. 1421 c.c. – solo qualora siano inserite in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della suddetta Delibera C.I.C.R. (30.06.2000), in quanto in tal caso fondate su un mero uso negoziale inidoneo a derogare al disposto imperativo di cui all’art. 1283 c.c.; mentre devono ritenersi legittime qualora afferiscano a contratti conclusi – come quello in esame – successivamente alla suddetta data, purché rispettose del principio di simmetria e di reciprocità, vale a dire a condizione che prevedano identica periodicità per la capitalizzazione degli interessi passivi e di quelli attivi.[1]
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Note
[1] Avv. Walter Giacomo Caturano, in Ex Parte Creditoris,- ISSN: 2385-1376, anno 2018
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