Caratteri e funzione della datio in solutum (art. 1197 c.c.) e rapporto con altri mezzi di pagamento alternativi al denaro

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La datio in solutum (ovvero dazione in pagamento) di cui all’art. 1197 c.c., inserita nel codice civile nella sezione dedicata all’adempimento delle obbligazioni in generale si pone quale negozio giuridico alternativo all’adempimento dell’obbligazione originaria. Tale istituto rientra nella più ampia categoria dei modi di estinzione delle obbligazioni, a carattere satisfattivo e diversi dall’adempimento. Infatti, detta fattispecie consiste in un accordo tra creditore e debitore che ha ad oggetto l’esecuzione di una prestazione “diversa” da quella originariamente dovuta.
Pertanto, la datio in solutum consente al soggetto obbligato di liberarsi nel caso in cui, con il consenso dell’altro, esegua una prestazione “diversa” rispetto a quella pattuita. Tale istituto, che è disciplinato dall’art. 1197 c.c. costituisce una eccezione rispetto al principio per cui la liberazione del debitore consegue solo ed esclusivamente all’esatto adempimento, cioè all’esecuzione della prestazione pattuita. Ne consegue che una prestazione differente rispetto a quanto convenuto non estingue il rapporto obbligatorio perché non realizza l’interesse del creditore.
Come si evince dall’art. 1197 c.c., il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore maggiore o uguale, salvo che il creditore consenta. In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa obbligazione è eseguita”. Requisiti fondamentali della datio in solutum sono: il consenso del creditore e la realità della diversa prestazione. Il necessario consenso del creditore ad estinguere l’obbligazione originaria mediante prestazione di cosa diversa dalla precedentemente pattuita permette di distinguere la datio in solutum dalle obbligazioni alternative di cui agli artt. 1285 e ss. c.c., ove la scelta è solitamente rimessa al debitore e comunque non è necessario il mutuo consenso tra debitore e creditore in quanto, se la facoltà di scelta non è attribuita al debitore, essa è rimessa al creditore o ad un terzo ai sensi dell’art. 1286 c.c.
Pertanto, si è lontani dall’ambito di applicazione della norma, quando l’accordo sia diretto non all’estinzione dell’obbligazione, bensì soltanto all’assunzione di un’obbligazione nuova con oggetto diverso da quello dell’obbligazione originaria, che resta estinta per effetto della sostituzione[1].
Tale carattere distingue la datio in solutum anche dalla cessione di un credito in luogo dell’adempimento, poiché, se è vero che essa determini ugualmente l’estinzione dell’obbligazione originaria, se ne distingue nettamente in quanto, tale istituto, per il combinato disposto degli artt. 1198 e 1260 c.c., non prevede il necessario accordo tra creditore e debitore, potendo tale trasferimento avvenire anche senza il consenso del creditore. Quindi, dal punto di vista del perfezionamento la datio in solutum è un contratto a titolo oneroso perché comporta l’estinzione dell’obbligazione[2].
Ciò detto, ora è necessario valutare, alla luce delle pronunce della Cassazione, se nelle obbligazioni pecuniarie abbia efficacia estintiva solo il pagamento in moneta corrente oppure anche la consegna di assegni circolari o altri strumenti di credito. Secondo un primo orientamento, tra l’altro largamente prevalente, l’invio, da parte del debitore, di assegni circolari o bancari per il pagamento di somme di denaro si configura come datio in solutum.
L’efficacia liberatoria di tale atto è subordinata dal preventivo assenso del creditore ovvero dalla sua accettazione, che si ravvisa nel caso in cui trattenga e riscuota l’assegno. Alla base di questo orientamento vi è la norma cardine in tema di obbligazioni pecuniarie: l’art. 1277 c.c., comma 1, c.c., secondo cui “i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Tale norma, infatti, potrebbe essere derogata solo ed esclusivamente nel caso in cui esista una manifestazione di volontà espressa o presunta in tal senso. Infatti, la consegna di assegni in luogo di contanti può essere lecitamente rifiutata e detto rifiuto non può essere considerato contrario al dovere di correttezza ex art. 1175 c.c. proprio perché viene resa al creditore una prestazione “diversa” rispetto a quella pattuita.
Alla luce di tale orientamento, a nulla rileva che i titoli di credito siano assistiti da particolari garanzie di solvibilità dell’emittente. Inoltre, con il pagamento a mezzo assegni, verrebbe violato l’art. 1182 c.c. (l’obbligazione avente ad oggetto denaro deve essere adempiuta al domicilio del creditore) in quanto l’adempimento verrebbe posto in essere presso la sede dell’istituto bancario[3].
Alla consegna di un assegno può riconoscersi efficacia solutoria solo per effetto di una manifestazione di volontà del creditore, espressa o presunta e, cioè, quando esiste un accordo espresso tra debitore assegnante e creditore assegnatario e quando la datio pro solvendo dell’assegno in luogo del contante sia consentita da usi negoziali. In mancanza di questi presupposti, il creditore può legittimamente rifiutare il pagamento a mezzo di strumento diverso dalla consegna di denaro. Discorso diverso vale nell’ipotesi in cui il debito pecuniario superi la somma di Euro 12500,00 vigendo l’opposto principio del divieto di pagamento in contanti, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56.
Secondo un orientamento minoritario il pagamento mediante assegno circolare, pur non equivalendo a pagamento a mezzo somme di denaro, estingue l’obbligazione “quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che impongono a quest’ultimo l’obbligo di prestare la sua collaborazione all’adempimento dell’obbligazione a norma dell’art. 1275 c.c.”[4]. Tale orientamento si basa sul principio per cui gli assegni circolari, in ragione delle modalità di emissione, assicurano al portatore la somma indicata.
Sebbene non siano tecnicamente denaro né possano svolgere le funzioni, la facilità di circolazione degli assegni e la sicurezza della convertibilità in denaro possono rendere illegittimo il loro rifiuto da parte del creditore, se si tratta di rifiuto contrario a buona fede. Pertanto, salvo il caso in cui il creditore abbia un apprezzabile e rilevante interesse a ricevere denaro contante o abbia ragione a dubitare della regolarità ed autenticità degli assegni, la consegna di questi estingue l’obbligazione, sia pure con la clausola del buon fine.
Poi, la presunta violazione dell’art. 1182 c.c. viene superata con il riferimento alla crescente considerazione sociale degli assegni circolari e con il fatto che normalmente il creditore ha un conto bancario sul quale deposita denaro e titoli[5]. Tutto ciò nella prospettiva di adeguare il dato normativo ad una realtà dove la circolazione del denaro a mezzo assegni circolari garantisce maggiore sicurezza e celerità, svincolandola dalla dazione materiale di moneta.
Infine, tale contrasto è stato risolto dallaSentenza a Sezioni Unite del 18 dicembre 2007, n. 26617, la quale, per un fenomeno di progressiva “smaterializzazione del denaro”, accoglie le esigenze di sicurezza e di velocizzazione dei rapporti e dunque privilegia i sistemi alternativi di pagamento. Tutto ciò impone, ad avviso dei Supremi Giudici, “un’interpretazione evolutiva, costituzionalmente orientata, dell’art. 1277 c.c. che superi il dato letterale e, cogliendone l’autentico senso, lo adegui alla mutata realtà”. Essi rilevano che l’oggetto del pagamento ex art. 1277 c.c. non è la moneta nel suo substrato materiale, ma il suo “valore monetario o quantità di denaro”.
Con questa interpretazione dell’art. 1277 c.c. “risultano ammissibili altri sistemi di pagamento purché garantiscano al creditore il medesimo effetto del pagamento per contanti e, cioè, forniscano la disponibilità della somma di denaro dovuta”. Tale inversione di tendenza rispetto all’orientamento maggioritario si fonda sul fatto per cui il rifiuto dell’assegno circolare può rivelarsi contrario a buona fede, alla luce della sicurezza del buon fine dell’assegno stesso ed il minimo aggravio per il creditore nella riscossione.
Sulla base di queste premesse, è possibile giungere alle seguenti conclusioni:
a) nelle obbligazioni pecuniarie, nel caso di importi inferiori a 12500 Euro o per le quali la legge non stabilisce una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare;
b) se il debitore paga in moneta, il creditore non può rifiutare il pagamento e l’effetto liberatorio si verifica al momento della consegna della somma di denaro;
c) se, invece, il pagamento avviene con assegno circolare o con altro sistema che assicuri la disponibilità della somma dovuta, il creditore può rifiutare il pagamento, solo per giustificato motivo, da provare all’occorrenza e la valutazione del comportamento del creditore va fatta in base alla regola della correttezza e della buona fede oggettiva. Tuttavia, continua a sussistere una differenza tra le due forme di pagamento: nell’ipotesi di pagamento in denaro, l’obbligazione si estingue con la consegna del denaro. Con l’assegno, invece, la liberazione del debitore si consegue solo quando il creditore acquista la disponibilità giuridica della somma di denaro considerata.
 
Dott. Domenico Annunziato Modaffari

 


[1] Cass. 21-3-69, n. 913
[2] Cass. 5748/1987
[3] Cass. Civ. Sent. 2200 del 1973; Cass. Civ. Sent. 12324 del 2005
[4] cfr. Cass., 10 febbraio 1998, n. 1351 e 7 luglio 2003, n. 10695
[5] Cass. Civ. Sent. 1351 del 1998 e Cass. Civ. Sent. 10695 del 2003

Modaffari Domenico Annunziato

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