Carne coltivata come novel food in Italia e nell’Unione Europea

Approfondimento sulla carne coltivata e sul dibattito che questa ha creato in Italia con il conseguente intervento legislativo.

Indice

1. Premessa

Il 16 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge n. 172/2023 [1] che vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti prodotti a partire da colture cellulari.
Come spiegato in conferenza stampa dal proponente Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, la normativa intende vietare in Italia la carne coltivata, al fine di tutelare non solo la salute umana ma anche il patrimonio agroalimentare nazionale.
L’intervento normativo ha provocato un vivace dibattito in Italia ed anche oltre confine.
Prima di entrare nel vivo della discussione, tuttavia, sarà necessario chiarire di cosa stiamo parlando quando ci riferiamo alla carne coltivata, e comprendere le ragioni per le quali la produzione tecnologica di alimenti proteici costituisce oggi un tema di cruciale importanza dal punto di vista sociale, economico, ambientale e, per gli operatori del diritto, anche giuridico.

2. Cos’è la carne coltivata

La carne coltivata si ottiene a partire da cellule animali, che vengono prelevate e fatte proliferare all’interno di bioreattori. Al prodotto, che si presenta inizialmente come una sostanza commestibile ma priva di forma e colore definiti, viene successivamente conferito un aspetto simile alla carne che conosciamo.
Per analogia al processo agricolo con cui si prende il germoglio di una pianta e lo si fa crescere in una serra, il procedimento di coltura cellulare finalizzato alla produzione di un prodotto alimentare commestibile viene spesso definito “agricoltura cellulare”.

3. Il mercato della carne coltivata

I costi di produzione sono alti, ma tendono velocemente a diventare competitivi. Il primo hamburger coltivato al mondo è stato realizzato nel 2013 con un investimento di 325.000 dollari. Meno di tre anni dopo, la startup americana Memphis Meats è riuscita a produrre la prima polpetta coltivata in laboratorio a un costo di circa 1.200 dollari. A fine 2018, un laboratorio israeliano ha annunciato di aver prodotto una piccola bistecca a un costo per unità di 50 dollari [2].
Le startup presenti nel settore della carne coltivata sono circa 150 nel mondo e si occupano della produzione di pollo, manzo, maiale e frutti di mare, e anche di materie prime e attrezzature necessarie lungo la catena di produzione.

4. Perché dovremmo ricercare alimenti proteici alternativi?

I motivi della forte espansione del settore della carne coltivata sono molti.
Anzitutto, si stima che la capacità di produzione di carne “convenzionale” ben presto non potrà più far fronte alla crescente richiesta legata all’aumento della popolazione mondiale e all’accesso alla carne delle economie in via di sviluppo.
Inoltre, rispetto alla produzione convenzionale di carne bovina, suina, ovina e avicola, la carne coltivata potrebbe ridurre fino al 99% l’uso del suolo, fino al 96% l’uso di acqua e fino al 96% le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne.
Un altro motivo è il calo del consumo di carne tra la popolazione non vegetariana, legato alla crescente attenzione al benessere degli animali, che sta portando i produttori a valutare metodi di produzione alternativi per restare nel mercato.
Infine, con la carne coltivata si limiterebbero le patologie associate al consumo di carne rossa, i casi di zoonosi e la contaminazione della carne da parte di agenti patogeni, che di norma vengono associati all’intensità dell’allevamento del bestiame

5. La carne coltivata nell’Unione Europea

Oggi gli unici due Paesi ad aver autorizzato il consumo di carne coltivata sono Singapore, in cui è possibile mangiare nuggets di pollo al costo di 23 dollari americani, e Israele, che ha recentemente autorizzato la start-up Aleph Farms la produzione di carne bovina a partire da cellule staminali della mucca Black Angus californiana. Negli Stati Uniti dal 2020 sono in corso trattative che hanno portato ad una pre-autorizzazione.
In Europa esistono varie startup che si occupano di carne coltivata, e alcuni governi come i Paesi Bassi, il Regno Unito, la Germania e la Spagna, hanno destinato fondi pubblici nella ricerca.
Nell’Unione Europea, tuttavia, non è ancora possibile consumare alimenti a base di carne creata in vitro, poiché gli stessi si considerano alimenti “nuovi” ai sensi del Regolamento UE n. 2283/2015 [3].
In particolare, sono “nuovi” tutti quei cibi non utilizzati in misura significativa per il consumo umano nell’UE prima del 15 maggio 1997, e che rientrano in una delle categorie indicate all’articolo 3.
Tra queste, il comma 2, lettera a) include al punto vi) gli alimenti provenienti da colture cellulari, e il punto vii) quelli costituiti mediante procedimenti non utilizzati prima del 15 maggio 1997 che ne modificano la struttura o la composizione.
Per circolare nel mercato unico, il nuovo prodotto dovrà quindi essere autorizzato dalla Commissione e inserito nell’elenco dei nuovi alimenti di cui al Regolamento UE n. 2017/2470 [4].
Finora nell’Unione Europea sono stati autorizzati sei alimenti a base di insetti, mentre non è stata ancora presentata nessuna domanda di autorizzazione per alimenti a base di carne coltivata.

6. La legge n. 172/2023

La legge italiana che vieta la carne coltivata risulta dunque confermativa del divieto già esistente a livello europeo.
Il Legislatore italiano ha motivato l’urgenza di adottare un atto normativo di questo tipo con la necessità di tutelare il patrimonio agroalimentare nazionale, oltre che la salute dei cittadini. Tuttavia, questa finalità rivela che il Legislatore guarda con disvalore alla carne coltivata, e ritiene che un prodotto simile porrebbe in pericolo il Made in Italy, inteso come valore dell’insieme delle produzioni alimentari tradizionali.

7. Incompatibilità con il principio di precauzione

A protezione della salute umana, l’articolo 2 vieta agli operatori del settore alimentare (OSA) di “impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare ovvero promuovere ai suddetti fini alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”.
La norma richiama il principio di precauzione di cui all’articolo 7 [5] del Regolamento CE numero 178/2002 [6]; i suoi precetti, tuttavia, sembrano debordare ampiamente i limiti posti da quel principio.
Il principio consente di adottare misure provvisorie anche interdittive alla circolazione di alimenti, qualora emerga la possibile insorgenza di effetti dannosi per la salute e sussista un’incertezza dal punto di vista scientifico sulla sicurezza dell’alimento. Tali misure, tuttavia, debbono essere proporzionate e realizzare un giusto equilibrio tra la tutela della salute e la compressione del mercato unico.
È evidente che una misura inibitoria imposta con una legge imperativa dello Stato non potrà mai considerarsi giustificata dal principio di precauzione, poiché non è provvisoria.
Il divieto, inoltre, riguarda un prodotto che ancora non esiste in quanto nessun nuovo alimento a base di carne coltivata è stato ancora autorizzato dalla Commissione. Il che rende impossibile ogni valutazione in merito alla sua sicurezza.

8. Conseguenze in caso di inserimento di un prodotto alimentare a base di carne coltivata nell’elenco dei Novel Food

·       Nei confronti degli OSA degli altri Stati membri
La legge italiana realizza inoltre una restrizione quantitativa vietata ai sensi degli articoli 34 e 35 del TFUE.
Qualora un alimento a base di carne coltivata fosse autorizzato dalla Commissione, le stesse misure risulterebbero incompatibili anche con la normativa derivata, poiché l’inclusione nell’elenco dei cibi nuovi sancisce il diritto degli OSAdi immettere quell’alimento nel mercato unico europeo.
I primi commentatori della legge italiana si chiedono se in questo caso l’Italia farà ricorso alle misure d’urgenza di cui agli articoli 53 [7] e 54 [8] del Regolamento n. 178/2002.
Le norme in questione richiedono, tuttavia, un grado di rischio anche maggiore di quello richiesto per le misure di cui all’articolo 7 dello stesso Regolamento, dovendo risultare non solamente possibile, ma piuttosto manifesto il rischio “grave” per la salute umana. Avendo già superato il vaglio relativo alla sua sicurezza già prima di essere autorizzato, il nuovo cibo, tuttavia, difficilmente potrà formare oggetto di misure interdittive d’urgenza, tanto più se il timore della insalubrità del prodotto si regge su valutazioni meramente ipotetiche.
·       Nei confronti degli OSA italiani
Nel mercato interno, le norme che vietano la produzione e l’impiego di carne coltivata realizzano una “discriminazione alla rovescia” nei confronti degli OSA italiani, i quali, a differenza competitori europei, non potranno beneficiare delle norme comunitarie che garantiscono le libertà di circolazione.
Lo svantaggio è notevole, poiché l’articolo 5 del Disegno di Legge prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, la violazione dell’articolo 2 comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 60.000 euro, o del 10% del fatturato annuo, con un massimo di 150.000 euro; la confisca del prodotto dell’illecito; il divieto di accedere a contributi pubblici e la chiusura dello stabilimento produttivo per un periodo da uno a tre anni.
Si tratta di sanzioni molto pesanti, con evidente effetto deterrente.

9. I rimedi

Con l’entrata in vigore della legge sul divieto della carne coltivata l’Italia potrà essere assoggettata ad una procedura di infrazione [9] che, però, potrà imporre allo Stato solo delle sanzioni pecuniarie.
Stante l’efficacia diretta degli articoli 34 [10] e 35 [11] TFUE e della normativa derivata, coloro che si assumano danneggiati dalla loro mancata applicazione potranno inoltre ricorrere dinanzi a un giudice nazionale, che disapplicherà le norme di diritto interno incompatibili con il diritto comunitario, anche nei giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione delle sanzioni, eventualmente a loro irrogate.

10. Conclusioni

Concludendo, non è affatto certo che la legge italiana di nuovo conio permarrà nell’Ordinamento interno, anche a causa delle forti critiche mosse da stakeholders, forze politiche non governative, e associazioni ambientaliste e animaliste, che ritengono il provvedimento inutile o, peggio, dannoso.
Fino a che l’Unione europea non autorizzerà il primo alimento a base di carne coltivata, la stessa conserverà comunque una valenza più propagandistica che sostanziale.
Quel che è certo, è che l’atteggiamento di chiusura dimostrato dal legislatore italiano, da un lato, potrebbe portare gli imprenditori ad investire all’estero in un settore fortemente emergente e, dall’altro, priverebbe i consumatori italiani della disponibilità di un alimento che potrebbe in futuro rivestire una indubbia importanza nel settore agroalimentare. Senza contare che rinunciando alla produzione di carne coltivata, l’Italia potrebbe vedersi precluso un mercato nel quale sviluppare ulteriormente il proprio Made in Italy, frustrando la finalità stessa del Disegno di legge appena approvato.

Note

  1. [1]

    Legge 1° dicembre 2023 n. 172 – “Disposizioni in materia di divieto di produzione e immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali”.

  2. [2]

    “I sostituti della carne”, Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, Marzo 2020.

  3. [3]

    Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione.

  4. [4]

    Regolamento d’Esecuzione (UE) 2017/2470 della Commissione del 20 Dicembre 2017 che istituisce l’elenco dell’Unione dei nuovi alimenti a norma del Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi alimenti.

  5. [5]

    Principio di precauzione
    “1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.
    2. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente”.

  6. [6]

    Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

  7. [7]

    Misure urgenti per alimenti e mangimi di origine comunitaria o importati da un paese terzo
    “1. Quando sia manifesto che alimenti o mangimi di origine comuni- taria o importati da un paese terzo possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente che non possa essere adeguatamente affrontato mediante misure adottate dallo Stato membro o dagli Stati membri interessati, la Commissione, agendo di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro, secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2, adotta immediatamente, in funzione della gravità della situazione, una o alcune delle seguenti misure:
    a) nel caso di alimenti o mangimi di origine comunitaria:
    i) sospensione dell’immissione sul mercato o dell’utilizzazione dell’alimento in questione;
    ii) sospensione dell’immissione sul mercato o dell’utilizzo del mangime in questione;
    iii) determinazione di condizioni particolari per l’alimento o il mangime in questione;
    iv) qualsiasi altra misura provvisoria adeguata;
    b) nel caso di alimenti o mangimi importati da un paese terzo:
    i) sospensione delle importazioni dell’alimento o del mangime in questione da tutto il paese terzo interessato o da parte del suo territorio ed eventualmente dal paese terzo di transito;
    ii) determinazione di condizioni particolari per l’alimento o il mangime in questione in provenienza da tutto il paese terzo inte- ressato o da parte del suo territorio;
    iii) qualsiasi altra misura provvisoria adeguata.
    2. Tuttavia, in casi urgenti, la Commissione può adottare in via provvisoria le misure di cui al paragrafo 1, previa consultazione dello Stato membro o degli Stati membri interessati e dopo averne informato gli altri Stati membri.
    Nel tempo più breve possibile e al più tardi entro dieci giorni lavorativi, le misure adottate sono confermate, modificate, revocate o prorogate secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2. Le motivazioni della decisione della Commissione sono pubblicate quanto prima”.

  8. [8]

    Altre misure urgenti
    “1. Qualora uno Stato membro informi ufficialmente la Commissione circa la necessità di adottare misure urgenti e qualora la Commissione non abbia agito in conformità delle disposizioni dell’articolo 53, lo Stato membro può adottare misure cautelari provvisorie. Esso ne informa immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione.
    2. Entro dieci giorni lavorativi, la Commissione sottopone la questione al comitato istituito dall’articolo 58, paragrafo 1, secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2 ai fini della proroga, modificazione od abrogazione delle misure cautelari provvisorie nazionali.
    3. Lo Stato membro può lasciare in vigore le proprie misure cautelari provvisorie fino all’adozione delle misure comunitarie”.

  9. [9]

    Aggiornamento: Con la comunicazione 2023/675/IT la Commissione ha notificato all’Italia la chiusura anticipata della procedura Tris (art. 6 Direttiva UE 2015/1535) perché “Il testo è stato adottato dallo Stato membro prima della fine del periodo di sospensione di cui all’articolo 6 della direttiva (UE) 2015/1535”. La Commissione ha pertanto invitato “lo Stato membro in questione a informarla del seguito dato, anche alla luce della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia”. La sospensione della procedura Tris comporta – secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE – l’inapplicabilità dal parte dei Tribunali nazionali.

  10. [10]

    “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente”.

  11. [11]

    “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente”.

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Valentina Orsini Federici Bruno

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