La Carta dei diritti della bambina: l’influenza nel sistema giuridico

Fantasia, intuito, sensibilità, vigore volitivo e operativo, capacità e forza comunicativa, disponibilità alla donazione di sé e al servizio: le qualità che dovrebbero caratterizzare la femminilità e che la donna dovrebbe mettere a frutto per “distinguersi” (e non dividersi o altro) dall’uomo e per arricchire l’uomo e rivelargli il bello e il nuovo della vita e non il contrario o altro, come talvolta succede. È questa “l’educazione alla femminilità” che bisognerebbe trasmettere, anche a titolo preventivo, come è in nuce nella “ratio legis” della nuova Carta dei Diritti della Bambina (approvata il 30 settembre 2016 durante la Conferenza Europea di Zurigo delle Presidenti delle Associazioni femminili europee, mentre la precedente Carta risaliva al 1997), un atto non prescrittivo ma con una essenziale valenza giuridica e culturale, con una funzione di promozione di quella profonda cultura europea e mediterranea tutta (basti pensare alle donne dell’antico Egitto, ad alcune figure femminili nella Bibbia come Ruth e Maria, al mito di Antigone, alla divinità Minerva) e in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Per chi desidera approfondire in modo pratico ed efficace i nuovi strumenti a disposizione degli operatori del diritto, si consiglia il “Formulario Commentato della Famiglia e delle Persone dopo la Riforma Cartabia”.

Indice

1. I diritti alla protezione e al trattamento con giustizia


L’articolo 1 della nuova Carta dei Diritti della Bambina recita: “Ogni bambina ha il diritto di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia, dalla scuola, dai datori di lavoro anche in relazione alle esigenze genitoriali, dai servizi sociali, sanitari e dalla comunità”. È quanto ha affermato anche lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro: “Non è sufficiente riconoscere quanto male sia stato fatto, ieri ed oggi, alle donne e quali vantaggi il mondo ricaverebbe dalla loro liberazione. Occorrono fatti: in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella ricerca scientifica, nell’espressione artistica, in politica, ovunque bisogna favorire l’affermazione piena della donna, avvalendoci tutti, finalmente di una risorsa preziosa: la sua differenza e la sua specificità”.
Anche la giornalista Mariapia Bonanate sostiene: “La donna va protetta, riconosciuta nei suoi diritti e qualità, non solo una volta all’anno ma tutti i giorni dell’anno, affrontando con gli strumenti, istituzionali, culturali, sociali, i problemi che continuano a penalizzarla pesantemente. E devono proprio essere per prime le donne, in rete fra loro, a chiederlo con la consapevolezza che sono loro a salvare il mondo. Lo dimostrano di continuo con splendide testimonianze troppo spesso ignorate”. Essere donna è un “peso specifico”, è un onere e un onore cui educare ed essere educate/i.
Far mancare la protezione e il trattamento con giustizia ad una bambina è perpetrare una violenza attuale o potenziale, perché la violenza è ciò che opprime, distrugge, piega, è una “non cultura”. La violenza sulle donne può essere insita e insidiosa in ogni ambito, dalla famiglia sino alla cultura in generale, per cui occorre una cultura che sia veramente tale, che sia civiltà, che sia cittadinanza senza l’aggiunta di aggettivi quali attiva, solidale o altro. Per chi desidera approfondire in modo pratico ed efficace i nuovi strumenti a disposizione degli operatori del diritto, si consiglia il “Formulario Commentato della Famiglia e delle Persone dopo la Riforma Cartabia”.

FORMATO CARTACEO

Formulario commentato della famiglia e delle persone dopo la riforma Cartabia

Il testo, aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (riforma Cartabia) e alla L. 29 dicembre 2022, n. 197, raccoglie oltre 230 formule, coordinate con il nuovo rito unificato, ciascuna corredata da norma di legge, commento, indicazione dei termini di legge o scadenze, delle preclusioni e delle massime giurisprudenziali.Il Volume si configura come uno strumento completo e operativo di grande utilità per il Professionista che deve impostare un’efficace strategia difensiva nell’ambito del processo civile davanti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.L’opera fornisce per ogni argomento procedurale lo schema della formula, disponibile anche on line in formato editabile e stampabile.Lucilla NigroAutore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

Lucilla Nigro | Maggioli Editore 2023

2. Il diritto all’informazione in materia di salute


Un altro articolo della Carta che offre più spunti di riflessione è l’art. 6 secondo cui ogni bambina ha diritto “di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia e dell’adolescenza femminile”.
A proposito della sfera sessuale lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “Un soggetto prepubere non è in grado di compiere scelte libere e consapevoli in campo sessuale. Al momento della nascita, il bambino, del tutto dipendente dall’adulto, è affidato alla responsabilità di chi di lui cura. Crescendo, acquista più autonomia e indipendenza e, dunque, spazi maggiori di responsabilità. È sempre più in grado di operare scelte consapevoli, ma la capacità di compiere decisioni nella sfera sessuale è tra le ultime a essere raggiunta. Essa presuppone non soltanto una maturità fisiologica, ma anche quella psicologica, che consente di muoversi, senza perdersi, nel gioco più o meno sottile della seduzione, spesso scambiata per normale manifestazione di affetto”. “Sesso”, etimologicamente da “tagliare, separare”, è “ciò che distingue l’uomo dalla donna”. Per poter separare, distinguere occorre conoscere e conoscersi, per questo nell’art. 6 si enuncia “il diritto di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia e dell’adolescenza femminile”, diritto che, conseguentemente, è anche il diritto di ogni bambino.
Su quest’aspetto lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni precisa: “Manca la testimonianza del presupposto di ogni incontro tra le persone, che è la considerazione di ciascuno come persona e non come cosa. Da qui nasce il rispetto dell’altro, del suo corpo come dei suoi sentimenti. Solo su queste basi si può parlare non solo di amore, ma anche di sessualità. E di stati emotivi terribili come la vergogna e la violenza subita o compiuta, che sono così difficili da pensare e quindi da dire. Fa riflettere come i gesti sessuali siano così spesso accomunati alla parola “violenza”. Come se il desiderio sessuale di alcuni venisse rafforzato dalla sofferenza di chi, nella grande maggioranza dei casi donna, subisce questi gesti, dalla sua ribellione, dal suo pianto e dal suo dolore. Imporsi con la forza fisica o con la forza del gruppo è un atto talmente vile che la vergogna dovrebbe appartenere a chi compie questi gesti. E invece colpisce le vittime e le spinge a sottomettersi ulteriormente”.
Incisivo quello che afferma la storica e saggista Lucetta Scaraffia: “Ma la cosa più terribile è che le donne che affittano l’utero, attraverso la firma di un contratto, non solo devono rifiutare già da prima qualsiasi diritto sul bambino che porteranno in grembo, ma sono anche costrette ad abortire se i committenti cambiano idea o se il feto risulta «danneggiato». Per fortuna, almeno una parte delle femministe si è resa conto che si tratta di un nuovo e terribile sfruttamento del corpo femminile, una nuova schiavitù, e ha condannato questo commercio. Ma c’è ancora chi pensa sia legittimo, almeno nel caso in cui avvenga in modo volontario, senza passaggio di denaro. Come se tutto ciò che si trasmette, dal punto di vista biologico e psicologico, tra una donna e il feto che cresce nel suo grembo, non conti niente, che la donna sia un mero contenitore. Non si tratta quindi solo di una gravissima forma di sfruttamento, ma di una pericolosa negazione del valore della maternità e quindi, ancora una volta, della donna”. Riprodursi è “prodursi di nuovo”, quindi qualcosa che viene da sé ed è di sé, non è un semplice fatto, ma è un’esperienza, anzi una relazione che coinvolge l’intera persona e in tal senso occorre educare.
Ancora la storica Scaraffia: “Come si insegna la prevenzione nei confronti delle malattie, delle infezioni, a cominciare dalla semplice ma essenziale prescrizione di lavarsi le mani quando si rientra a casa, così bisogna insegnare a evitare le situazioni critiche, i momenti pericolosi. Ma, chissà perché, di fronte al pericolo di violenza contro le donne questa elementare regola di buon senso non vale più: dietro alla condanna di chi invita le donne a prevenire l’aggressione evitando di uscire sole di notte, magari non tanto in grado di difendersi né di ragionare perché in preda ai fumi dell’alcool o, peggio, di accettare passaggi o comunque proposte da parte di sconosciuti, si vuole sempre vedere un retrogrado antifemminista. Un nemico della libertà delle donne, del loro diritto di comportarsi come gli uomini”. Bisogna educare ad essere donne, “signore, padrone della vita”, e non tanto ad essere femmine: questa la vera femminilità. Come hanno sempre fatto e fanno, contro ogni difficoltà, le donne africane: “Si dimostrano affidabili, responsabili e coraggiose, capaci di abbracciare con entusiasmo il cambiamento, se necessario a garantire il futuro dei figli. È la forza generativa del femminile, che non delude mai” (la giornalista Sabina Fadel). Anche le donne occidentali si devono riappropriare del “bello” (nella cui etimologia c’è un’origine dal concetto di “bene”) dell’essenza femminile sin dall’infanzia.
La sessuologa belga Thérèse Hargot spiega: “[…] la liberazione sessuale, slogan assodato e ripetuto a partire dagli anni Sessanta, è stata tutto tranne che una liberazione. Anzi, essa è divenuta il nuovo tabù intoccabile del nostro tempo, con ricadute pesanti per chi, come l’adolescente, si confronta con le problematiche affettive e sessuali. In questa mentalità, la donna si trova «plasmata» secondo gli standard maschili (anch’essi del tutto discutibili), che identificano la realizzazione con il successo professionale. Da più di cinquant’anni siamo impregnati di un femminismo di fatto materialista perfettamente accordato alla società individualista e consumista che è la nostra. Una bella alleanza, inattesa ma tenace! Da qui il sacrificio di aspetti essenziali della donna, come la maternità, ridotta a un ostacolo o a un affare privato, da portare (eventualmente) avanti in totale solitudine” (in “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, 2017). La femminilità non è non deve essere un’arma a doppio taglio, ma è e deve essere fonte di vita e amore, genialità di emozioni e originalità di soluzioni.
La sessuologa Hargot chiosa: “Il «diritto di disporre del proprio corpo» ha fatto del bambino una proprietà della donna […]. Le donne sono isolate, il legame sociale è spezzato. Tale mentalità ha eroso anche l’identità maschile: il padre risulta essere il grande assente o è del tutto marginale”. Bisogna comprendere e far comprendere che la maternità non è solo un’esperienza personale ma interpersonale, se non sociale.

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3. Il diritto al sostegno durante la pubertà


A completamento dell’art. 6, l’art. 7 stabilisce che ogni bambina ha il diritto “di beneficiare nella pubertà del sostegno positivo da parte della famiglia, della scuola e dei servizi socio-sanitari per poter affrontare i cambiamenti fisici ed emotivi tipici di questo periodo”. Nelle parole del bioeticista Paolo Marino Cattorini: “Il tempo della crescita è irreversibile: si diventa donna rinunciando a essere una perenne adolescente che carezza ancora l’eccitazione febbrile delle prime prove sentimentali”.
A chiusura della nuova Carta si legge nell’art. 9 che ogni bambina ha il diritto “di non essere bersaglio, né tanto meno strumento, di pubblicità per l’apologia di tabacco, alcol, sostanze nocive in genere e di ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”. Formulazione ben più dettagliata rispetto all’art. 9 del testo precedente: “Non essere bersaglio della pubblicità che promuove il fumo, l’alcool e altre sostanze dannose”. Nel nuovo testo attirano l’attenzione le locuzioni “strumento”, “apologia” e “ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”, ciò che si dovrebbe contrastare e che, invece, esiste in ogni ambito. In particolare l’apologia è il contrario della protezione e del trattamento con giustizia enunciati nell’art. 1. Quell’apologia che ha portato all’ipersessualizzazione o erotizzazione, estetizzazione, spettacolarizzazione, culto dell’immagine, precocizzazione di tutto tanto che si è avuto un abbassamento dell’età di molte esperienze o fasi nella vita di una bambina, dal menarca precoce alla richiesta della chirurgia plastica al seno per i 18 anni.
“Ama chi dice all’altro: tu non puoi morire!” (il filosofo francese Gabriel Marcel). L’amore non è né sesso né possesso. L’amore è consesso e contesto di anime, consenso e compenso di vite. Perciò l’amore che si manifesta patologico, possessivo o ossessivo non può essere amore, non è amore, ma egoismo, insano e malsano egoismo. Ed è in tal senso che bisogna educare e deve essere educata ogni bambina e educato ogni bambino nell’amore e all’amore, innanzitutto per se stessi e poi per l’altro e ogni altro che rimane altro da sé.
Dalla lettera-testamento spirituale dell’attrice Audrey Hepburn: “La bellezza di una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo viso o nel modo di sistemare i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perché quella è la porta aperta sul suo cuore, la fonte del suo amore. La bellezza di una donna non risiede nel suo trucco, ma nella sua anima. È nella tenerezza che dà, nell’amore, nella passione che esprime. La bellezza di una donna cresce con gli anni”.

Dott.ssa Marzario Margherita

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