Cass. pen., sez. V, 15 maggio 2008, n. 19405: “La critica è uno strumento di controllo democratico indispensabile”

“Alla critica dura ed aspra si deve rispondere con argomenti e con l’azione, non con querele”.
Parla chiaro la Corte di Cassazione penale, nel tentativo di allontanare dalle aule dei Tribunali i dibattiti ideologici e politici, propri di ogni Paese democratico.
Essi sono espressione, infatti, della libertà di espressione e di critica, che, oltre ad essere garantita dall’art. 21 della Costituzione, “rappresenta uno dei più potenti fattori dello sviluppo culturale dei cittadini italiani”.
Nella sentenza in esame, la Cassazione penale rigetta il ricorso di un consultorio familiare di Merano accusato da una rivista mensile locale di diffondere una cultura dannosa per l’educazione sessuale dei giovani e per l’autorevolezza dell’istituto familiare.
Ad avviso della Corte, i giudici di secondo grado legittimamente hanno ritenuto che gli articoli in discussione si inserivano in una disputa ideologica e che, pertanto, i giudizi poco lusinghieri espressi sull’operato del consultorio familiare fossero espressione di una critica legittima.
La Cassazione penale ha voluto, inoltre, sottolineare che, anche se molte contestazioni possono non essere condivisibili, ciò non significa che esse abbiano una qualche rilevanza penale.
Non può trascurarsi, infatti, il ruolo fondamentale della critica come strumento privilegiato di controllo democratico del Paese, soprattutto quando, come nel caso di specie, si rivolge a strutture che operano in un delicato settore pubblico.
Ne deriva che, una volta riconosciuta la legittimità della condotta del giornalista, ricorre la scriminante del diritto di critica, che consente, ai sensi dell’art. 51 c.p., la non configurabilità del delitto di diffamazione a mezzo stampa.
Sul tema in esame, si richiamano le precedenti sentenze della V^ sezione della Cassazione penale 21 febbraio 2007, n. 25138, in Resp. civ. e prev. 2007, 12 2544 nota *****; 8 febbraio 2008, n. 9048, in Guida al diritto 2008, 15 91; 31 gennaio 2008, n. 16420, in Guida al diritto 2008, 20 72; 15 gennaio 2008, n. 14062, in Diritto & Giustizia 2008, nota **********.
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Testo integrale della sentenza:
 
Corte di cassazione
Sezione V Penale
 
Sentenza 16 aprile 2008, n. 19405
(dep. 15 maggio 2008)
 
 
….omissis….
 
La Corte di Cassazione osserva :
Paregger Michael, quale direttore della rivista mensile Lebe, e ****************, quale autore di due articoli apparsi sulla rivista predetta nel settembre 1999 e nel gennaio 2000 con i numeri 40 e 43, venivano condannati dal Tribunale di Bolzano, con sentenza del 17 settembre 2004, alle pene di giustizia, oltre al risarcimento del danno subito dalla parte lesa costituitasi parte civile, per il delitto di diffamazione in danno del Consultorio familiare Lilith di Merano accusato di diffondere una cultura dannosa per la educazione sessuale dei giovani e per l’autorevolezza dell’istituto familiare .
La Corte di Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 9 maggio 2005, invece, assolveva entrambi gli imputati perché il fatto non costituisce reato sul presupposto che quelle del giornale erano delle critiche che si inserivano in una disputa di carattere ideologico, fatta eccezione per una unica frase che però si riferiva al ****************************** e non al Consultorio familiare Lilith.
Con il ricorso per cassazione, evidentemente agli effetti civili essendo stato abrogato l’articolo 577c.p.p. dalla legge n. 46 del 2006, la parte civile deduceva la inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato perché gli articoli incriminati non potevano essere considerati strumenti di una disputa ideologica, ma mezzi di una vera e propria diffamazione.
I motivi posti a sostegno del ricorso non sono fondati.
Con una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità i giudici di secondo grado hanno ritenuto che gli articoli in discussione si inserivano in una disputa ideologica e che, pertanto, i giudizi poco lusinghieri espressi sull’operato del consultorio familiare Lilith fossero espressione di una critica legittima.
Siffatta conclusione è, invero, sorretta da una motivazione immune da interne contraddizioni .
Si possono o meno condividere le critiche espresse dal mensile Lebe, ma è fuori dubbio che esse fossero espressione di un indirizzo culturale conservatore che non gradiva l’attività educativa svolta dal consultorio .
Si tratta di una critica politica, espressa con toni certamente aspri, ma che, come correttamente stabilito dalla Corte di merito, non ha alcun rilievo penale.
Quanto al fatto che il consultorio oggetto di critica non fosse affiliato alle organizzazioni internazionali menzionate negli articoli , come erroneamente indicato negli articoli, va detto che la cosa non appare rilevante, dal momento che l’erroneo accostamento non è ad organizzazioni delinquenziali, ma a strutture, quali la International Planned Parenthood Federation ( IPPF) ed il ******************************, ben note a livello mondiale che si sono, tra l’altro, distinte per una valida ed efficace politica mondiale di contenimento delle nascite e per una maternità consapevole; l’accostamento, pertanto, ancorché, a quanto sembra, non corretto e frutto di un errore causato da ricerche non accurate, non può essere considerato diffamatorio, perché anzi ai lettori progressisti sarà apparso come un indubbio titolo di merito.
Quanto, infine, all’ultimo periodo del primo capo di imputazione, va detto che la rivista ha riportato giudizi poco lusinghieri sulle organizzazioni internazionali citate di padre ********* OSB; in questo caso si tratta dell’esercizio di un diritto di cronaca perché è di interesse pubblico conoscere l’opinione di un autorevole esponente della cultura conservatrice in materia; ciò a prescindere dal fatto che i giudizi concernevano il Rckefeller Population Council e non certo il Consultorio Lilith.
Infine anche l’ironia sul nome Lilith e sulla sua origine, ancorché pesante e non certo di buon gusto, non può essere considerata diffamatoria .
Per concludere è giusto rilevare che la libertà di espressione e di critica, garantita dall’articolo 21 della Costituzione, costituisce uno dei cardini della democrazia ed è uno dei più potenti fattori dello sviluppo culturale dei cittadini italiani; quando essa poi si rivolge a strutture che operano in un delicato settore pubblico, come nel caso di specie, la critica costituisce uno strumento di controllo democratico indispensabile.
Alla critica dura ed aspra si deve rispondere con argomenti e con l’azione, ma non con querele per fatti e parole , che legittimamente non si condividono, ma che, come correttamente stabilito dalla Corte di merito, non hanno alcun rilievo penale.
Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata a pagare le spese del procedimento.
….omissis….
 
P.Q.M.
 
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del procedimento.
Così deliberato in Camera di consiglio, in Roma, in data 16 aprile 2008.

Falcone Valeria

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