In particolare, la vicenda ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione con il quale l’Ufficio liquidava una maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale, oltre interessi e sanzioni nei confronti di una società, il tutto a seguito di un acquisto di un’azienda della quale veniva rideterminato il valore d’acquisto.
Il fatto
In sostanza, l’Agenzia delle Entrate rideterminava il valore di acquisto del bene compravenduto basandosi esclusivamente sulla stima redatta dall’Agenzia del Territorio, rettificando il valore dichiarato ed elevandolo da € 865.000 ad € 1.722.727.
Avverso l’illegittimo atto impositivo la società proponeva ricorso innanzi alla CTP di Brindisi che, tuttavia, accoglieva solo parzialmente le doglianze della ricorrente, rideterminando il valore degli immobili in complessivi € 1.305.900.
Proposto appello avverso la sentenza di primo grado, la CTR di Lecce confermava il decisum di prime cure con la seguente stringata motivazione: “facendo proprie le argomentazioni ed il convincimento dei Giudici della C.T.P., che in tutto condivide, non può che uniformarsi a quanto già deciso, confermando la sentenza appellata …”.
Orbene, avverso la suddetta illegittima sentenza la società ha proposto ricorso per Cassazione lamentando l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in considerazione del fatto che la sentenza impugnata non aveva tenuto in alcuna considerazione i rilievi contenuti nella perizia di parte che, concernendo elementi non adeguatamente valutati dal CTU nominato in primo grado, avrebbero dovuto condurre ad una decisione differente.
Sul punto i giudici di legittimità hanno dato ragione alla contribuente, richiamando la giurisprudenza di legittimità che anche di recente ha avuto modo di affermare che “allorché’ ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte”, incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 1, n. 23637 del 21 novembre 2016).
Ed infatti, il giudice tributario, pur potendosi limitare a fare proprie le conclusioni del Ctu, è comunque tenuto a motivare in ordine alle specifiche critiche della parte all’elaborato dell’ufficio, a meno che lo stesso Ctu non abbia preso posizione al riguardo (Cassazione n. 1815 del 02 febbraio 2015).
La decisione
Oltre a ciò, i giudici di legittimità hanno rilevato che nella fattispecie in esame la sentenza doveva considerarsi, altresì, nulla per mancanza del requisito di cui all’art. 132, comma 1, n. 4), c.p.c., in quanto la stessa non aveva nemmeno menzionato la Ctu di primo grado e nulla aveva detto in ordine alle contestazioni contenute nella consulenza di parte, essendosi limitata a ritenere adeguata la motivazione ed a fare riferimento ad una relazione allegata all’avviso di rettifica della quale, tuttavia, non aveva riportato, nemmeno in maniera sintetica, il contenuto.
In conclusione, la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di merito si erano limitati a confermare la sentenza appellata senza prendere posizione sulle censure di parte, né valutare, nei limiti del gravame, le prove poste a fondamento della sentenza di prime cure.
Il ricorso della società, pertanto, è stato accolto dalla Corte di Cassazione, con conseguente rinvio del giudizio alla CTR di Lecce in diversa composizione per una nuova decisione nel merito.
A cura degli Avv.ti Maurizio Villani e Alessandra Rizzelli
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