Cassazione: immobile in comunione legale può essere espropriato per intero

Allegati

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 150 del 4 gennaio 2023, ha chiarito che il bene immobile oggetto della comunione legale può essere espropriato per l’intero.

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Corte di Cassazione – Sez. III Civ. – Ord. n. 150 del 04/01/2023

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Indice

1. Inquadramento della tematica

Com’è noto, manente il rapporto di matrimonio, qualora i coniugi non abbiano rinunciato al regime della comunione legale, in quest’ultima ricadono, tra l’altro, gli acquisti dei beni compiuti da uno od entrambi i coniugi durante il matrimonio.
L’art. 177, primo comma, lett. a), C.c., stabilisce che “…gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali…”.
Orbene, è pacifico che tra i beni che i coniugi, in regime di comunione legale possono acquistare, si possono ricomprendere anche i beni immobili.
Tuttavia, possiam domandarci quale potrebbe essere la sorte dei beni cadenti in regime di comunione legale, a fronte d’obbligazioni inadempiute da uno dei due coniugi e contratte in epoca precedente al matrimonio.
Il principio di massima è che i beni facenti parte della comunione legale son chiamati a rispondere anche delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima di contrarre il matrimonio, e ciò fino alla misura concorrente del valore della sua quota. Laddove i beni personali del coniuge debitore non siano sufficienti, i creditori di quest’ultimo potranno, in via sussidiaria, soddisfarsi sui beni della comunione legale.
Si osserva, ai sensi dell’art. 189, secondo comma, C.c., che “I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione.”.
Se tra i beni facenti parte della comunione legale, vi sono anche immobili, per il principio testé enunciato, anch’essi saranno aggrediti, in via sussidiaria, dai creditori personali del coniuge debitore, ove i beni personali di quest’ultimo non siano sufficienti a soddisfare le ragioni del ceto creditorio.
Il quesito giuridico che si pone alla nostra attenzione è se, a fronte d’un debito d’uno dei coniugi, ove i creditori personali di quest’ultimo decidano d’aggredire un immobile acquistato durante il matrimonio, indi in regime di comunione legale, esso possa o meno esser espropriato per l’intero.

2. La comunione legale è una comunione senza quote

Per dare una risposta al quesito posto, è opportuno prendere le mosse da un altro quesito, e, cioè, se la comunione legale possa esser considerata come quella ordinaria, sicché una comunione ove ogni coniuge, ovvero “comunista”, sia titolare della propria quota sui beni oggetto della medesima.
Ed a tal quesito soccorre la giurisprudenza della Suprema Corte, rammentandoci che, invero, la comunione legale, regolata dall’art. 177, C.c., e seguenti, è una comunione senza quote.
Diversamente dalla comunione ordinaria, dove i comunisti son titolari di quote aventi ad oggetto un diritto personale ed individuale sui beni, nella comunione legale, invece, i coniugi non sono titolari d’un diritto di quota, bensì solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione.
In tal senso, la giurisprudenza della Suprema Corte ha statuito che “…la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei…”. (Cass. civ., Sez. III, Sent. n. 6575 del 14 marzo 2013).
Il principio giuridico evocato nella rassegnata pronuncia, e, di poi, ripreso anche nelle successive pronunce dell’organo nomofilattico, è stato attinto dalla pronuncia della Consulta, la quale precisò che “…Dalla disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Questa è una comunione per quote, quella è una comunione senza quote; nell’una le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (arg. ex art. 2825 c.c.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell’altra i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, comma secondo) …”. (Corte Cost. Sent. n. 311 del 1988).
Assodato che la comunione tra coniugi è una comunione senza quote, la ragione consiste in ciò, che la costruzione d’una comunione senza quote è un artificio tecnico – giuridico, elaborato al fine di consentire al coniuge di non entrare in rapporti con estranei alla comunione, e, ciò, onde “…difendere il patrimonio familiare da inframmettenze di terzi…”. (Cass. Civ., Sez. I, Sent. n. 8803 del 5 aprile 2017).
L’esigenza di difendere dai terzi i beni della comunione legale, ha richiesto, indi, la necessità che essa fosse ricostruita come una comunione senza quote, ove il coniuge è titolare, solidalmente, unitamente all’altro coniuge, d’un diritto su tutti i beni ricadenti nella comunione, con la possibilità di ciascuno di poter disporre dei beni nella loro interezza.
Tanto discende, argomentando dall’art. 184, C.c., dalla possibilità che i coniugi possano alienare un bene immobile nella sua interezza, e che l’alienazione, compiuta senza l’autorizzazione dell’altro coniuge, in quanto atto di straordinaria amministrazione, possa, tuttavia, considerarsi valido giuridicamente, laddove giunga l’autorizzazione dell’altro coniuge ovvero qualora l’atto di disposizione non sia stato impugnato da quest’ultimo entro un anno da cui ne ebbe conoscenza ovvero entro un anno dalla sua trascrizione nei registri immobiliari, oppure, ancora, ove non ne abbia avuto una pregressa conoscenza, entro un anno dallo scioglimento della comunione ex art. 191, C.c.
Dunque, ciò che prevale è l’esigenza di tutelare il patrimonio familiare, rappresentato dai beni facenti parte della comunione legale, dalle possibili azioni esperite dai terzi.
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3. L’immobile in comunione legale può essere espropriato per l’intero: Cassazione conferma principio

Orbene, risolto, a valle, il quesito circa la qualificazione giuridica della comunione legale come una comunione senza quote, possiamo affrontare quello posto a monte, e, cioè, se l’intero immobile, cadente nel regime di comunione legale, possa esser espropriato a seguito di pregressi debiti contratti da uno dei coniugi prima del matrimonio.
Al predetto quesito la Suprema Corte dà esito positivo, ove si afferma che il creditore del coniuge debitore, ove i beni di quest’ultimo non siano capienti per soddisfare le proprie ragioni, può aggredire i beni cadenti nella comunione legale, sicché anche un immobile, ed esso sarà oggetto d’espropriazione per l’intero, e non per quota. (Cfr. Cass. civ., Sez. III, Sent. 6230 del 31 marzo 2016).
Al principio testé evocato è data continuità dall’Ordinanza n. 150  del 2023 della Suprema Corte, che stabilisce “…per il debito di uno dei coniugi, correttamente è sottoposto ad esecuzione per l’intero il bene ricadente nella comunione legale con l’altro coniuge, con esclusione di ogni irritualità o illegittimità degli atti della procedura, fino al trasferimento del bene a terzi, non potendosi riconoscere al coniuge non debitore il diritto di caducare tali atti, né quello di ottenere la separazione di parti o di quote del bene staggito (…) salva la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuto in dipendenza dello scioglimento, limitatamente, a quel bene, della comunione senza quote…”. (Cass. Civ., Sez.III, Ord. n. 150 del 4 gennaio 2023).
Ne viene, indi, che il creditore del coniuge debitore, ove i beni personali di quest’ultimo non siano sufficienti per soddisfare le proprie ragioni di credito, può aggredire, in via sussidiaria, ex art. 189, comma due, C.c., i beni cadenti in comunione legale, e, fra questi, espropriare anche un bene immobile nella sua interezza, con conseguente scioglimento della comunione limitatamente a quel bene ex art. 191, C.c., riconoscendosi, al coniuge non debitore, il diritto di conseguire, al lordo, la metà del ricavato della vendita forzata.

4. Il coniuge non debitore e l’esperibilità dell’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c.

A conclusione di questa trattazione, occorre dar conto, altresì, seppur succintamente, della reazione che il coniuge non debitore esprime, a fronte dell’espropriazione dell’intero bene immobile, per via dell’azione esecutiva avviata dal creditore del coniuge debitore, esperendo l’opposizione di terzo ex art. 619, C.p.c.
Ai sensi dell’art. 619, comma 1, C.p.c., ” il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta le vendite o l’assegnazione dei beni…”.
Dalle pronunce in esame, emerge che il coniuge non debitore, di fronte all’espropriazione intera d’un immobile oggetto di comunione legale, insorge con l’opposizione di terzo ex art.619, C.p.c., coltivando la speranza, sterilizzata dalla giurisprudenza di legittimità, come vedremo poco più avanti, di poter impedire la vendita a terzi dell’immobile espropriato per il debito dell’altro coniuge.
E, difatti, la giurisprudenza appena richiamata, ha escluso la legittimità del coniuge non debitore circa la possibilità d’avvalersi dello strumento dell’opposizione di terzo per contestare la legittimità della procedure e dei singoli che la compongono, e ciò in quanto con tal strumento processuale il coniuge non potrà pretendere di escludere dall’espropriazione una quota del bene “…di cui, fino allo scioglimento della comunione, anche solo limitatamente a quel bene e dovuto alla conclusione del procedimento espropriativo che lo aveva ad oggetto – non è titolare..”. (Cass. civ., Sez. III, Sent. 6230/2016, cit.).
Tal limitazione in alcun modo altera la funzione dell’opposizione di terzo, in quanto dal coniuge non debitore essa potrà esser esperita per far valere, per esempio, che l’immobile espropriato è di sua proprietà, sicché non cadente nella comunione legale, ovvero rappresentare che il bene staggito non è un bene sussidiario della comunione legale, esistendo beni del coniuge debitore utilmente aggredibili onde soddisfare le ragioni del creditore personale, oppure, ancora, far valere la violazione del suo diritto a percepire la metà del valore del bene espropriato in sede di distribuzione del ricavato della vendita. (Cass. civ., Sez. III, Sent. 6230/2016, cit.).

5. Conclusioni

Alla luce delle superiori argomentazioni giuridiche, possiam rassegnare le seguenti conclusioni.
Posto che la comunione legale tra i coniugi non è una comunione per quote, a fronte d’una azione esecutiva compiuta dal creditore personale del coniuge debitore, il bene immobile, pur cadente in comunione, viene espropriato nella sua interezza.
il coniuge non debitore, può insorgere, avverso la procedura esecutiva, con l’opposizione di terzo, ex art. 619, C.p.c., soltanto per far valere la proprietà personale del bene esecutato, sicché non oggetto di comunione legale, ovvero per indicare che tal bene non ha valore sussidiario, ex. art. 189, comma 2, C.c., in quanto vi son altri beni personali del coniuge debitore che potrebbero esser aggrediti dai creditori di questi, giammai per contestare la legittimità della procedura esecutiva.

Giovanni Stampone

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