Con la sentenza n. 7610 del 27 febbraio 2012 la Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo che era stato condannato in sede di merito per il reato di esercizio di giuochi d’azzardo, di cui all’art. 718 del codice penale.
L’imputato, possessore di una sala giochi, vi aveva installato all’interno tre apparecchi elettronici del tipo videopoker, di quelli che consentono vincite puramente aleatorie a prescindere dalla abilità fisica, mentale o strategica del giocatore.
Ma i giudici di legittimità hanno escluso il reato di giochi d’azzardo in assenza di elementi che dimostrino che lo scopo del gioco è di procurare vincite in soldi o di altra natura.
Il ricorso è stato quindi accolto, proprio in relazione alla omessa motivazione di un elemento essenziale affinché possa considerarsi realizzato il reato di gioco d’azzardo, cioè il fine di lucro.
Infatti, precisa la Corte che «il fine di lucro non possa essere ritenuto esistente solo perché l’apparecchio automatico riproduce un gioco vietato, ma debba essere valutato considerando anche l’entità della posta, la durata delle partite, la possibile ripetizione di queste e il tipo di premi erogabili, in denaro o in natura (…) La mera appartenenza dell’apparecchio alla tipologia dei videopoker è di per sé sola sufficiente e provare il reato di gioco d’azzardo, ove non siano acquisiti elementi tali da dimostrare che il gioco consenta in concreto di lucrare vincite in denaro o in altre utilità economicamente apprezzabili».
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