Procacciamento di notizie con modalità insistenti: interviene la Cassazione

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 36407 del 31 agosto 2023 si è pronunciata sul procacciamento di notizie con modalità insistenti e sulla configurabilità del reato di violenza privata in tali contesti.

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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sentenza n. 36407 del 31 agosto 2023

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Indice

1. Il caso

La pronuncia scaturisce da un procedimento nei confronti di un noto intervistatore, il quale, secondo l’imputazione, dopo essersi indebitamente introdotto insieme al cameraman (poi assolto) nello stabile in cui risiedeva la persona offesa, presentandosi al custode come corrieri di ‘Bartolini s.p.a.’, “attendevano il rientro della persona offesa e, con violenza esercitata in modo idoneo a privare quest’ultima coattivamente della libertà di determinazione e di azione, le impedivano dapprima di accedere alla palazzina dove era situata la sua abitazione, costringendola a tollerare la loro presenza con una serie insistente di domande alle quali, fin da subito, la persona offesa dichiarava di non voler rispondere“.
Successivamente, i due impedivano il rientro della persona offesa nel proprio appartamento ostacolando la chiusura delle porte dell’ascensore e proponendo ulteriori domande e riprendendo la stessa con immagini che venivano poi messe in onda in televisione.
In Tribunale, l’imputato è stato condannato a mesi due di reclusione, convertiti, ai sensi dell’art. 53 l.n. 689/1981, in euro 15.000 di multa e al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile.
In Corte d’appello, la sentenza è stata parzialmente riformata con la revoca della concessione della sospensione condizionale della pena, così come richiesto dall’imputato al fine di poter eventualmente beneficiare ancora di tale istituto, alla luce dell’avvenuta conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria.

2. Il ricorso in Cassazione

Arriviamo, così, al giudizio di legittimità. L’imputato, ricorrendo in Cassazione, adduceva i seguenti motivi: vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione all’elemento materiale dell’ascritto reato, nonché violazione di legge, specialmente in relazione all’art. 51 c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), in particolare, in relazione all’esercizio del diritto di cronaca e all’art. 131-bis c.p., per non aver considerato l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, descritto, secondo il ricorrente, in maniera distorta ed esagerata.

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3. La decisione della Corte

Nella decisione dei giudici di legittimità si legge che “sussiste l’elemento oggettivo della violenza privata nell’esercizio di una reiterata, insistente e oppressiva pressione esercitata sulla persona dell’intervistata per il tramite dell’imposizione di domande, di riprese video e di posture fisiche, cui la persona offesa tentava invano di sottrarsi“. La Suprema Corte ha ritenuto, dunque, che tale condotta, “costringendo la vittima a un ‘pati’ (ovverosia a tollerare od omettere una condotta determinata), può certo ricondursi a quella peculiare forma di violenza privata indicata dalla giurisprudenza quale violenza ‘impropria‘, vale a dire un tipo di coartazione dell’altrui libertà che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali“.
Per ciò che concerne, invece, la scriminante del diritto di cronaca, la Corte ha sancito che questa “rileva solo in relazione ai reati commessi con la pubblicazione della notizia e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia, come affermato in un caso nel quale è stata esclusa la configurabilità della scriminante per il giornalista che, utilizzando false generalità, si era introdotto in una struttura medica per acquisire notizie per la realizzazione di un servizio televisivo“.
Nello specifico, la Corte ha argomentato sancendo che “in concreto, la Corte d’appello ha correttamente escluso che il diritto all’informazione possa condurre ad un esito favorevole all’imputato nel bilanciamento dei valori in gioco, quando si pretenda di invocarlo per giustificare forme illecite di compressione della libertà privata“.
In più, “il carattere di mera eventualità dell’acquisizione di una notizia e, soprattutto, la centralità della libertà di autodeterminazione della persona impongono di escludere in radice qualunque favorevole bilanciamento in favore di chi coarti la seconda, perseguendo un obiettivo informativo“.
La soluzione, per la Suprema Corte, era semplice: “limitarsi a dare l’unica notizia possibile: ossia che l’interessata, richiesta di fornire una propria versione dei fatti, si era rifiutata. Pensare che la ricerca delle notizie possa spingersi sino al sacrificio della libertà personale di qualunque potenziale fonte significa supporre un potere inquisitorio persino superiore a quello del quale la pubblica autorità è dotata nel caso di commissione di reati“.

4. Caso analogo: lo stalking dei paparazzi

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un’altra questione inerente il procacciamento di notizie con modalità insistenti.
Nello specifico, le continue ed insistenti chiamate da parte di un paparazzo nei confronti di un manager di alcuni calciatori, il quale ha dovuto rinunciare a recarsi sul luogo di lavoro per le proprie attività professionali e ha dovuto bloccare tutte le chiamate in arrivo, cercando di evitare altri luoghi a lui abituali.
Nel pronunciarsi, la Corte ha sancito che “frequenti appostamenti di fronte all’ingresso dell’ufficio del (omissis) e in altri luoghi frequentati dallo stesso per ragioni lavorative, le insistenti telefonate mirate a ottenere notizie sugli spostamenti dei calciatori, il seguire la vittima in auto, la pretesa, insistita e molesta, che la p.o. intercedesse a suo favore presso calciatori al fine di ottenere servizi fotografici, gli insulti rivolti alla p.o., pubblicamente e con aggressività, per non avere ottenuto dette intercessioni, hanno portato la Corte territoriale a formulare un coerente giudizio di penale responsabilità per atti persecutori […].
A fronte dei comportamenti contestati, a nulla vale il rilievo difensivo teso a giustificare i predetti comportamenti data l’attività di ‘paparazzo’ svolta dall’imputato. L’impatto della condotta dell’imputato sulle abitudini – segnatamente, quelle lavorative – della vittima è chiaramente illustrato dalla Corte territoriale, la quale, nel far riferimento alle ripercussioni negative di quei comportamenti sulla vita e sulle quotidiane abitudini della vittima, ha evidentemente tenuto in conto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’evento tipico della alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa non possa intendersi come puramente occasionale” (Cass. sent. n. 42856/2022).

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