I Ricercatori stabilizzati hanno diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio sin dall’inizio del periodo di precariato? Per la Corte di Cassazione sì!
Volume consigliato: Testo Unico del Pubblico Impiego
Indice
1. Premessa
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza del 05.06.2023 n. 937 ha riconosciuto il diritto di un ricercatore scientifico del C.N.R. ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio non dall’istaurazione del rapporto a tempo indeterminato – quindi dalla stabilizzazione – bensì da quando è iniziato il periodo di precariato.
La vicenda trae origine da un lungo iter giudiziario che ha visto coinvolto prima il Tribunale di Nocera Inferiore e poi la Corte di Appello di Salerno.
L’assunto in base al quale il ricercatore ha deciso di proporre ricorso è lo stesso C.C.N.L. – personale comportato istruzione e ricerca triennio 2016-2018 – il quale riconosce la parità di trattamento, ai fini giuridici ed economici per il personale assunto a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato. Infatti, l’art. 54 comma 7 stabilisce: «In caso di assunzione a tempo indeterminato, i periodi di lavoro con contratto a tempo determinato già prestati dal dipendente presso la medesima amministrazione, con mansioni del medesimo profilo e area o categoria di inquadramento, concorrono a determinare l’anzianità lavorativa eventualmente richiesta per l’applicazione di determinati istituti contrattuali.».
Quindi, il ricercatore – citando i principi riconosciuti e consolidati dalla Giurisprudenza Comunitaria – ha sempre richiesto che la sua anzianità di servizio fosse riconosciuta sin dall’inizio del rapporto di precariato e non invece solo dalla stabilizzazione avendo svolto sempre identiche mansioni, prima e dopo la definitiva immissione in ruolo.
Cosicché, dopo un lungo iter giudiziario il ricercatore ha avuto il riconoscimento della corretta attribuzione del livello stipendiale spettante e le differenze retributive conseguenti alla ricostruzione della carriera.
Per avere un quadro completo sulla normativa relativa al pubblico impiego, si consiglia il seguente volume il quale, attraverso il puntuale commento di ogni articolo, agevola il lettore nel ritrovare un ordine logico nella ricostruzione delle regole che costituiscono tale disciplina
Testo Unico del Pubblico Impiego (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165)
Il D.Lgs. 165/2001 rappresenta la legge fondamentale per il Pubblico Impiego. Il testo del decreto, nel corso degli anni, è stato modificato e integrato numerose volte (da ultimo dal D.L. 44/2023 convertito dalla legge 21 giugno 2023, n. 74 e dal D.L. 75/2023 convertito dalla legge 10 agosto 2023, n. 112) e i continui interventi ne hanno reso la lettura e l’interpretazione complesse e, in alcuni casi, controverse.L’opera, attraverso il puntuale commento di ogni articolo del decreto n. 165 e del correlato decreto n. 150 del 2009, agevola il lettore nel ritrovare un ordine logico nella ricostruzione di questa lunga e difficile trasformazione delle regole (si pensi al radicale passaggio alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti, non più pubblici ma alle dipendenze di pubbliche amministrazioni) attraverso l’approfondimento sia dei principi ispiratori della riforma del 1993, ma anche delle ragioni che ne hanno portato, in alcuni limitati casi, ad improvvisi cambiamenti di rotta e, nella maggior parte delle volte, solo ad aggiustamenti che si sono resi necessari nel corso degli anni per una coerente attuazione delle regole sul lavoro nel contesto di trasformazione sociale ed economica del Paese.Sempre per facilitare l’esegesi della norma, ogni articolo del Testo Unico è annotato in calce con la normativa collegata, oltre alla prassi e alla giurisprudenza più significative.L’opera riesce così a restituire nella sua completezza il quadro normativo attuale che disciplina la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.Nicola NiglioConsigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dirigente presso il Dipartimento della funzione pubblica e Direttore del personale del Ministero dello sviluppo economico e della Croce Rossa Italiana. Docente di lavoro pubblico presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA). Autore di molteplici pubblicazioni in materia.Stefano SimonettiEsperto di organizzazione e gestione del personale, è autore di numerose pubblicazioni in materia e svolge da più di 20 anni docenze in corsi di formazione e aggiornamento presso aziende sanitarie, università e istituzioni di formazione pubbliche e private. Già negoziatore ARAN, ha partecipato alla stesura e negoziazione di circa 15 contratti collettivi relativi al comparto del Servizio sanitario nazionale e ha ricoperto per 14 anni il ruolo di Direttore amministrativo di aziende sanitarie in Toscana e nel Lazio.
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2. Affinché possa riconoscersi l’anzianità di servizio fin dall’inizio del rapporto di lavoro occorre identicità delle mansioni
Il Tribunale di Nocera Inferiore e poi la Corte di Appello di Salerno correttamente hanno riconosciuto che i ricercatori, assunti a termine o tempo indeterminato, sono equivalenti sotto il profilo dell’attività (di ricerca), delle valutazioni, dei diritti e dei doveri, tant’è che il C.C.N.L. di comparto ne riconosce la parità di trattamento ai fini giuridici ed economici. Non a caso, durante il rapporto a termine la ricercatrice ha avuto il riconoscimento della II fascia stipendiale ai sensi del C.C.N.L. vigente.
Quindi – nella fattispecie trattata dalla Cassazione – il ricercatore, è stato assunto sempre nel medesimo livello professionale nonché medesimo profilo (ricercatore) del C.C.N.L. per il personale del comparto delle Istituzioni e degli Enti di Ricerca e Sperimentazione. Sul punto, si osserva che tutte le mansioni all’interno della medesima area sono considerate professionalmente equivalenti ai sensi del C.C.N.L., infatti, ai sensi dell’art. 15 del C.C.N.L. è previsto al comma 1 che: «Il profilo dei ricercatori è caratterizzato da un’omogenea professionalità e quindi da un unico organico, articolato su tre livelli, denominati: 1 – Dirigente di ricerca; – Primo ricercatore; 3- Ricercatore.».
Pertanto, i compiti, le mansioni e le funzioni svolte dal ricercatore nel periodo precedente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato sono sempre stati identici a quelli svolti successivamente.
Perciò, il ricercatore è stato sempre in possesso di tutti i titoli occorrenti (anzi ne possedeva di maggiori/superiori) per partecipare a concorsi a tempo indeterminato. In particolare riportando e confrontando analiticamente i requisiti che erano stati richiesti per l’assunzione con contratto a tempo determinato e quelli richiesti per l’assunzione a tempo indeterminato presso il CNR, lo stesso art. 15 del CCNL del 2002-2005 prevede al comma 4 che: «Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato per attività di ricerca scientifica o tecnologica attinente al III livello si instaura previo l’espletamento di concorso pubblico. Per accedere alla selezione per il livello III occorre essere in possesso del titolo di studio che consente l’accesso al dottorato. Inoltre occorre essere in possesso del dottorato di ricerca attinente all’attività richiesta del bando ovvero aver svolto per un triennio attività, (…)»; per altro tutti questi requisiti tra cui Dottorato di ricerca e/o attività di ricerca attinente pregressa erano già posseduti dalla Dr. Grimaldi qualificata per partecipare al Bando 798 del 07.05.2003.
Perciò, il CNR, per sostenere la legittimità della propria condotta, avrebbe dovuto sostenere e specificare dettagliatamente l’esistenza di giustificazione oggettiva (che lo esonerava dall’obbligo di rispettare il principio di non discriminazione) consistente in una qualche differenza (oggettiva, precisamente individuata, concreta) inerente le mansioni di fatto svolte dal ricercatore prima e dopo l’assunzione a tempo determinato (e confortare la propria tesi con documenti o formulando istanze istruttorie): invece CNR non ha mai esposto alcunché in fatto (né formulato istanza istruttorie o prodotto documenti sul punto). Ma, a ben vedere, il CNR non avrebbe potuto contraddire la ricostruzione del ricercatore.
Quindi, dalla documentazione versata nei giudizi di merito è emerso che:
– che la dipendente a seguito del confluire dell’Istituto nel Consiglio tutto il personale è passato alle dipendenze del CNR, mantenendo il proprio stato giuridico ed economico, compresa la posizione previdenziale ed assicurativa ed il TFR come previsto dall’art. 23, comma 4, punto c) del D.Lgs. n. 127 del 2003;
– che nel 2007 è stata sottoposta a valutazione da parte della Commissione valutatrice del CNR, valutazione avvenuta nel 2008 e conclusasi positivamente.
Pertanto, parte resistente è stata assunto con il primo contratto a tempo determinato in forza di una procedura concorsuale che prevedeva gli stessi requisiti rispetto a quelli richiesti per l’assunzione a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 15 del C.C.N.L. 2002-2005. Quindi, nel corso del 2007 è intervenuta la procedura di stabilizzazione.
Per di più, si ribadisce che – durante il giudizio di merito – è emerso che la ricercatrice abbia svolto sempre attività di ricerca.
3. Il riconoscimento dell’anzianità di servizio non è soggetta a prescrizione
In merito alla prescrizione si osserva che già i Giudici della Corte dei Conti (Deliberazione n. 33/2019), facendo proprio l’orientamento già consolidato della Corte di Cassazione, hanno chiarito che trattasi di un diritto non soggetto a prescrizione «in quanto l’anzianità di servizio non è uno status o un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, né un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando, piuttosto, la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti, quali quelli all’indennità di fine rapporto o agli scatti di anzianità; essa, pertanto, non può essere oggetto di atti di disposizione, traslativi o abdicativi [Cass. n. 12756 del 01.09.2003; Cass. n. 10131 del 26.04.2018]». Quindi, in linea con un orientamento già consolidatosi nell’ambito dell’impiego privato, l’anzianità di servizio non è uno status né un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti. Pertanto, «l’effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata anche ai fini del riconoscimento del diritto ad una maggiore retribuzione per effetto del computo di un più alto numero di anni di anzianità salvo, in ordine al quantum della somma dovuta al lavoratore, il limite derivante dalla prescrizione quinquennale cui soggiace il diritto alla retribuzione» [Cass. Civ. n. 2232/2020].
Ancora: «(…) si presenta priva di pregio anche l’eccezione di prescrizione, atteso che sia il riconoscimento dell’anzianità di servizio che le relative spettanze retributive ad essa connesse non possono essere riconducibili a pagamenti periodici, come tali soggetti alla prescrizione breve di cui ex art. 2948 n. 4 cc, con la conseguenza che alcun diritto può dirsi affetto da prescrizione estintiva decennale.» [Trib. di Nocera Inf., Sez. Lav., n. 1252/19].
Quindi, l’anzianità di servizio in ruolo configura un mero fatto giuridico, come tale insuscettibile di una prescrizione.
In conclusione, il principio di diritto stabilito dalla Cassazione è che tutti i dipendenti pubblici e privati qualora vengono stabilizzati dopo un periodo di precariato hanno diritto al riconoscimento della anzianità di servizio – ai fini dell’attribuzione di incrementi stipendiali – non dalla stabilizzazione ma da quando è iniziato il rapporto di lavoro a tempo “determinato/precariato”!
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