La causa estintiva di cui all’art. 162-ter cod. pen. ha natura soggettiva
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 162-ter)
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1. La questione
La Corte di Appello di Perugia integralmente confermava una sentenza di condanna emessa dal Tribunale della medesima città nei confronti di una persona accusata del delitto di cui agli artt. 110 e 640 cod. pen..
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione della legge penale, in riferimento all’art. 162-ter cod. pen., censurandosi la mancata estensione da parte del giudice di merito dell’effetto estintivo del reato a seguito delle condotte riparative poste in essere da altro imputato.
In particolare, sosteneva il ricorrente, l’applicazione, in questa circostanza, della disciplina dettata dall’art. 182 cod. pen. sarebbe da stigmatizzare, poiché a fronte dell’effettivo annullamento dell’offesa al bene giuridico tutelato e del risarcimento del danno arrecato all’interesse privato, la lettura in chiave esclusivamente soggettiva della causa di estinzione del reato andrebbe in insanabile contrasto con i principi dettati dagli artt. 3 e 24 Cost..
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La doglianza succitata era reputata infondata.
Nel dettaglio, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione, rilevando prima di tutto, da un lato, che l’art. 162-ter cod. pen., introdotto dall’art, 1, legge 4 dicembre 2017, n. 103, rubricato «Estinzione del reato per condotte riparatorie», prevede che, per i reati procedibili a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, quando verifica che l’imputato abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ne abbia eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose, dall’altro, che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la causa estintiva in questione presuppone condotte restitutorie o risarcitorie spontanee e non coartate (Sez. 5, n. 14030 del 25/02/2020; Sez. 5, n. 47221 del 10/06/2019, in motivazione; Sez. 5, n. 21922 del 03/04/2018. Cfr. anche la conforme Sez. 4, n. 10107 del 12/11/2019. In proposito, è stato ivi condivisibilmente precisato: «come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 5941 del 22/01/2009) in tema di circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., il legislatore ha privilegiato non il concreto soddisfacimento degli interessi della persona offesa del reato, bensì l’aspetto psicologico e volontaristico della riparazione, ossia “la condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere”. [ … La disposizione di cui all’art. 162-ter cod. pen.] appare espressione della medesima ratio della circostanza attenuante sopra esaminata, per cui le valutazioni di cui al paragrafo precedente possono essere trasposte alla nuova causa estintiva. La manifestazione di un serio intento risarcitorio estrinsecatasi in atti concreti, quindi, anche in relazione all’istituto in esame, costituisce il dato rilevante ai fini dell’apprezzamento circa l’estensibilità del beneficio al soggetto che non abbia materialmente risarcito il danno tramite danaro proveniente dal proprio patrimonio. L’istituto in esame implica che la riparazione debba essere spontanea, integralmente satisfattiva né indotta attraverso provvedimento giurisdizionale»).
Alla stregua di ciò, gli Ermellini rilevavano pertanto come il legislatore del 2017, per il nuovo istituto (di natura inequivocabilmente premiale), si sia ispirato dunque alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen. nonché alla struttura procedimentale delineata dall’art. 35, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che disciplina l’analogo meccanismo estintivo per intervenuta riparazione del danno nel procedimento dinanzi al giudice di pace, atteso che già la consolidata linea ermeneutica in materia dell’attenuante del risarcimento del danno era netta nell’affermare che, quando il danno sia stato cagionato da più persone concorrenti nel reato, la circostanza non può essere riconosciuta al singolo che non abbia contribuito all’adempimento, di modo che, qualora uno solo dei còrrei abbia provveduto, in modo integrale, al risarcimento stesso, l’altro concorrente, per fruire della menzionata attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno cagionato, non più direttamente verso la parte lesa — ormai priva di titolo a ricevere altro – ma indirettamente, provando di avere rimborsato al complice più diligente la propria quota, prima del giudizio (Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003. Cfr. Sez. U, n. 5941 del 22/01/2009, secondo cui, ove un solo concorrente abbia provveduto all’integrale risarcimento del danno, la relativa circostanza attenuante non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno).
Oltre a ciò, era altresì fatto presente come pure il Giudice delle leggi, con la sentenza n. 138 del 20 aprile 1998, in merito alla medesima circostanza di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., avesse affermato la necessaria riferibilità dell’evento risarcitorio all’imputato, sia pure in chiave non meramente soggettiva, anche valorizzando l’istituto dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.
Ebbene, conclusa questa prima disamina di ordine giurisprudenziale, i giudici di piazza Cavour notavano oltre tutto come il requisito imprescindibile della spontaneità fosse, d’altronde, già assodato anche nella esegesi dell’art. 35, d.lgs. n. 274 del 2000 (cfr. Sez. 4, n. 48651 del 06/12/2022, che ha annullato con rinvio la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato a fronte del risarcimento del danno operato dalla compagnia assicuratrice dell’autoveicolo, di proprietà di un terzo estraneo al processo, sul presupposto che le condotte riparatorie e risarcitorie in favore della persona offesa dal reato debbano necessariamente essere realizzate, direttamente o quantomeno indirettamente, dall’imputato. Conforme anche Sez. 4, n. 44959 del 04/11/2021, secondo la quale il risarcimento effettuato dall’INAIL non costituisce condotta riparatoria idonea a consentire la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta riparazione del danno, in quanto l’ente previdenziale, a differenza della compagnia assicuratrice della responsabilità civile, non agisce per conto del debitore), tenuto conto altresì del fatto che, nonostante non manchino evidenti intenti deflattivi nella Novella che ha introdotto la nuova causa estintiva, limitata ai reati che incidono esclusivamente su interessi privati, in mancanza di espresse disposizioni contrarie, deve comunque valorizzarsi la finalità del nuovo istituto tesa primariamente a favorire il risarcimento del danno da reato (così Sez. 6, n. 22098 del 28/04/2021, che ha ritenuto che la causa estintiva del reato per condotte riparatorie operi anche nei procedimenti cumulativi in cui sono contestati reati aventi differente regime di procedibilità, ancorché produca effetto limitatamente ai soli reati procedibili a querela di parte soggetta a remissione).
Orbene, da quanto sin qui esposto se ne faceva conseguire come non possa essere ragionevolmente posta in discussione la natura schiettamente soggettiva della causa estintiva di cui all’art. 162-ter cod. pen., che opera in favore di chi voglia sottrarsi rapidamente al circuito penale, riparando le conseguenze negative delle proprie azioni od omissioni e dando mostra in qualche modo di un comportamento sintomatico di ravvedimento e di minore pericolosità sociale (al pari, ad esempio dell’oblazione obbligatoria o facoltativa ex artt. 162 e 162-bis cod. pen. o di quanto previsto dall’art. 168-ter cod. pen. in caso di esito positivo della messa alla prova) e, pertanto, l’estinzione del reato, ai sensi dell’art. 182 cod. pen., ha effetto «soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce».
Tra l’altro, preso atto di come, sia la Corte territoriale, che il Tribunale, avessero fatto un buon governo dei principi succitati, escludendo che della condotta riparatoria posta in essere da un imputato possano beneficiare anche ulteriori soggetti chiamati a rispondere dello stesso addebito, i giudici di piazza Cavour, inoltre, reputavano come nessuna tensione avrebbe potuto ravvisarsi tra la conclusione che precede e i valori costituzionali, dal momento che il principio di ragionevolezza consacrato dall’art. 3 Cost. impone di trattare in modo diverso situazioni diverse e in modo uguale situazioni uguali, considerato, del resto, che, nel caso di specie, in particolare, il fondamento premiale dell’istituto scatta allorquando è meritevolmente rimossa, per quanto possibile, l’offesa conseguente al reato (comprensiva del cosiddetto “danno criminale“).
Per il Supremo Consesso, quindi, era inconferente, in primo luogo, il paragone, ventilato dalla difesa, con l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, atteso che i parametri di valutazione di cui all’art. 131-bis cod. pen. hanno viceversa natura e struttura schiettamente oggettive ed operano su un piano diverso da quelli relativi alla personalità del reo (cfr. Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016), così come neppure altre norme, che prevedono un’efficacia oggettiva della causa di estinzione – ad esempio, la concessione della sanatoria ordinaria ex artt. 36 e 45, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (già artt. 13 e 22, legge 28 febbraio 1985, n. 47) – sono, sempre per la Corte di legittimità, valutabili alla stregua di tertium comparationis, dal momento che si fondano, al contrario dei delitti contro il patrimonio che qui vengono in rilievo, sulla natura meramente formale dell’offesa al bene protetto (il rilascio della sanatoria presuppone il doppio accertamento di conformità dell’opera abusiva agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione sia in quello della richiesta, che in forza di apposita disposizione consente un omologo trattamento penale tra tutti gli autori della violazione, senza che, per fruire del beneficio, occorra che la domanda sia proposta da tutti costoro, tanto più se si osserva che, in caso di condono di opera originariamente illecita ex art. 38 della legge citata, invece, l’estinzione del reato non opera affatto oggettivamente. Cfr. Sez. 3, n. 26123 del 12/04/2005; Sez. 3, n. 9521 del 07/06/2000, entrambe coerenti con il dictum di Corte cost., sent. n. 370 del 1988, che sottolinea come l’intera fattispecie estintiva degli illeciti penali abbia una particolare natura, risolvendosi essa in un accertamento dell’inesistenza del danno urbanistico, e cioè dell’inesistenza ex tunc dell’antigiuridicità sostanziale del fatto di reato; la causa speciale di estinzione del reato urbanistico si fonda dunque sulla constatata inesistenza originaria dell’antigiuridicità sostanziale, e, cioè, su un dato attinente all’oggettiva lesività del fatto).
Né, sempre ad avviso del Supremo Consesso, può dirsi vulnerato il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., liberamente dispiegabile dall’odierno ricorrente in ogni sede procedimentale ed extragiudiziaria, nei termini perentori voluti dal legislatore non irrazionali in un’ottica di contenimento della durata del processo e di limitazione di pratiche dilatorie, oltre che di deflazione che ha imposto di valutare ta condotta riparatoria con sentenza predibattimentale, secondo la disciplina dettata dall’art. 469 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 39252 del 22/06/2021).
3. Conclusioni
Con la decisione in esame la Cassazione afferma la natura soggettiva della causa estintiva di cui all’art. 162-ter cod. pen., postulando per l’appunto che siffatta causa opera solo in favore di chi voglia sottrarsi rapidamente al circuito penale, riparando le conseguenze negative delle proprie azioni od omissioni e dando mostra in qualche modo di un comportamento sintomatico di ravvedimento e di minore pericolosità sociale.
Da ciò consegue, argomentando a contrario, come la causa di estinzione del reato qui in esame, come rilevato nel caso di specie dai giudici di merito, laddove la condotta riparatoria sia posta in essere da un imputato, non può essere riconosciuta anche agli ulteriori soggetti chiamati a rispondere dello stesso addebito in qualità di coimputati.
E’ dunque sconsigliabile, perlomeno alla stregua di siffatto approdo ermeneutico, intraprendere una linea difensiva che al contrario sostenga l’applicabilità dell’art. 162-ter cod. pen., ove la condotta riparatoria non sia stata compiuta dal proprio assistito.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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Cristina Marzagalli | Maggioli Editore 2023
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