La I Sezione del Consiglio di Stato (n. 291 del 13 marzo 2024) ha espresso parere negativo sul gravame interposto da luogotenente dell’Esercito Italiano che aveva prestato servizio presso un Reggimento degli Alpini, che nel 2020 aveva presentato richiesta di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una patologia cardiaca e la concessione del beneficio dell’equo indennizzo, già respinta in primo grado.
Indice
1. L’intervallo di tempo nel riconoscimento della causa di servizio
Quanto alle missioni prestate all’estero, il Consiglio di Stato ha osservato che nel gravame l’uomo non ha esposto deduzioni circa il notevole intervallo di tempo intercorso tra l’ultima missione all’estero e il settembre 2019, quando riferisce di aver scoperto la patologia cardiologica, tale da fornire almeno un indizio della sussistenza di un rapporto di causalità tra le condizioni di svolgimento del servizio nelle missioni, o in altre circostanze, e la patologia cardiaca, nonostante il medesimo intervallo di tempo. Il gravame è stato incentrato sulla tesi della riconduzione della patologia sia alla presenza di nano particelle di metalli pesanti causate da esplosioni belliche nell’ambiente in cui l’uomo ha prestato servizio, che sarebbe dimostrata dalla presenza nel sangue dell’interessato (notevole rispetto alla generalità della popolazione italiana), sia alla sottoposizione a vaccinazioni senza il rispetto delle indicazioni del Ministero della Salute.
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2. I metalli pesanti
Col supporto di una perizia di parte, di analisi cliniche e di un’indagine sulla presenza di metalli sul territorio nazionale in relazione alla popolazione italiana, il ricorrente ha affermato che la presenza nel sangue di metalli pesanti “assenti nella popolazione italiana di riferimento” conferma che egli “non ha potuto contrarre la patologia per cui è causa sul suolo nazionale”. Tale tesi, per i giudici, è risultata priva di un adeguato supporto motivazionale in merito all’insorgenza della stessa patologia dopo circa 15 anni dall’ultima missione internazionale e dall’incerta datazione delle vaccinazioni.
3. Come confutare il parere del CVCS
Il Consiglio di Stato ha richiamato l’indirizzo secondo cui conclusioni diverse da quelle del CVCS “risultanti da perizie, relazioni e/o certificazioni mediche di parte non sono idonee, di norma, a confutare l’attendibilità del giudizio tecnico del Comitato, atteso che le valutazioni mediche formulate da organi sanitari diversi da quelli dell’Amministrazione non hanno rilevanza per quest’ultima quando risultino in contrasto con i referti emessi dagli organi tecnici della stessa Amministrazione” (Cons. Stato, sez. I, parere 13 luglio 2023, n. 1030). Dunque, per porre in discussione il parere del CVCS di esclusione della causalità di servizio da parte occorre una riconducibilità effettiva e comprovata dell’infermità, almeno in termini di concausalità, al servizio svolto, poiché l’art. 11 del d.P.R. n. 461/2001, il quale prevede che il CVCS “accerta la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l’infermità o lesione” (c. I) – “non ritiene sufficiente, a tale fine, la mera ‘possibile’ valenza patogenetica del servizio prestato, ma, di contro, impone la puntuale verifica, connotata da certezza o da alto grado di credibilità logica e razionale, della valenza del servizio prestato quale fattore eziologicamente assorbente o, quanto meno, preponderante nella genesi della patologia” ( Cons. Stato, Sez. II, 8 maggio 2019, n. 2975).
5. Il principio della causalità adeguata
Per il Consiglio di stato ai fini del riconoscimento della causa di servizio occorre che l’attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendo farsi ricorso a presunzioni di sorta e non trovando applicazione, diversamente dalla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni. Il principio della causalità adeguata richiede sempre la riconoscibilità dell’esistenza di fattori riconducibili al servizio che rivestano un ruolo di adeguata efficiente incidenza nell’insorgenza e nello sviluppo del processo morboso, mentre devono ritenersi totalmente escluse tutte le altre condizioni che un tale grado di concausale ingerenza non presentino, le quali, benché parimenti verificatesi in servizio, restano tuttavia riguardabili solo come ‘mere occasioni rivelatrici’ di un’infermità non avente alcun nesso di causalità o concausalità con le condizioni di servizio (Cons. Stato, sez. II, n. 2101/2023).
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