Causalità omissiva ed esposizione a sostanze tossiche

Redazione 10/01/19
Come noto, nel diritto penale per causa dell’evento deve intendersi ogni antecedente logico che è necessario intervenga perché quell’evento possa prodursi. In altri termini, la condotta umana è causa dell’evento quando costituisce, ancorché insieme ad altre cause, condizione necessaria per il suo prodursi (condicio sine qua non).

Causalità omissiva

Per accertare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento il giudice deve operare il c.d. giudizio controfatttuale: il giudice deve chiedersi che cosa sarebbe accaduto se la condotta contestata all’imputato non si fosse mai inserita nella dinamica causale. Solo qualora il giudice rilevi che in mancanza della condotta contestata l’evento non si sarebbe verificato, dovrà concludere che quella condotta umana è condicio sine qua non dell’evento.

Il giudizio controfattuale è destinato ad assumere connotazioni strutturali differenti a seconda che la condotta contestata all’imputato sia una condotta attiva od omissiva e, in particolare, allorché venga in rilievo una fattispecie omissiva impropria.

Nell’ipotesi di reato a condotta attiva il controfattuale è un giudizio di eliminazione mentale. Il giudice, infatti, deve eliminare mentalmente la condotta attiva e verificare se l’evento si sarebbe ugualmente verificato.

Nell’ipotesi di reato omissivo improprio, invece, il giudizio controfattuale è costituito da un’operazione più articolata, in quanto il giudice deve mentalmente sostituire alla condotta omissiva contestata all’imputato la condotta attiva doverosa che lo stesso avrebbe dovuto tenere. Il giudice deve chiedersi, allora, cosa sarebbe accaduto qualora quella doverosa condotta attiva fosse stata posta in essere. Solo ove il giudizio prognostico consenta di sostenere che l’evento non si sarebbe prodotto, sarà possibile pervenire a un addebito di responsabilità penale.

Secondo le note Sezioni Unite Franzese, tale accertamento va condotto facendo ricorso al criterio della elevata probabilità logico processuale. Essendo insufficiente la sola sussistenza di leggi scientifiche che attestino una certa regolarità statistica tra un certo tipo di condotte e un certo tipo di evento, il giudice deve verificare che il materiale probatorio consenta di escludere, ogni oltre ragionevole dubbio, che l’evento abbia spiegazioni causali alternative.

Quando l’omissione del datore di lavoro è causa della morte del dipendente esposto a sostanze tossiche?

Il tema del rapporto tra causalità omissiva ed esposizione a sostanze tossiche si pone in relazione ai casi di malattia professionale e decesso del lavoratore come conseguenza dell’omesso rispetto di regole cautelari che avrebbero imposto al datore di lavoro di limitare o evitare l’esposizione dei dipendenti a sostanze pericolose (quali le fibre di amianto).

In casi siffatti, l’indagine sulla causalità omissiva impone al giudice di chiedersi che cosa sarebbe accaduto se il datore di lavoro avesse osservato le regole a contenuto precauzionale riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro. Solo per il caso in cui la condotta omissiva in discorso rappresenti condicio sine qua non del verificarsi dell’evento morte, secondo un giudizio di elevata probabilità logico processuale, sarà possibile pervenire a un addebito di responsabilità penale a carico del datore di lavoro.

L’indagine sulla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento morte del dipendente è però spesso resa più complicata dal fattore temporale. Innanzitutto, tali vicende si connotano per uno sfasamento tra periodo il cui la società è stata gestita da parte del datore di lavoro a cui si contesta la morte del lavoratore e il periodo (solitamente più lungo) in cui il lavoratore è stato esposto alla sostanza tossica. Ciò è conseguenza del fisiologico avvicendamento di diversi soggetti all’interno degli organi della gestione societaria rispetto alla tendenziale stabilità nel tempo del dipendente sul posto di lavoro. In secondo luogo, talune patologie (come il mesotelioma pleurico) hanno tempi di latenza particolarmente lunghi, il che rende particolarmente difficile l’accertamento dello specifico momento in cui la malattia è stata contratta.

Come si vede, in questo tipo di vicende la verifica sulla causalità che il giudice deve condurre è ritagliata entro precisi limiti di tempo (cioè il periodo in cui l’imputato ha ricoperto una posizione di garanzia), a fronte di un elevato grado di incertezza circa l’individuazione del momento a partire dal quale la patologia (seppur latente) è stata innescata. Risulta quindi spesso difficile sostenere che, ogni oltre ragionevole dubbio, la condotta omissiva tenuta dal singolo imputato in quello specifico lasso di tempo sia di per sé considerabile come condicio sine qua non dell’evento morte del lavoratore.

Al contempo, tale verifica è solitamente legata alle indagini peritali e agli studi scientifici volti a trovare una risposta alla seguente controversa questione: la patologia sviluppata dal lavoratore (ad es. il mesotelioma pleurico causato da esposizione ad amianto) ha natura dose-correlata o dose-indipendente?

Sostenere la natura dose-indipendente della patologia significa affermare che l’inalazione di  un determinato quantitativo di sostanza tossica è sufficiente a determinare l’innesco della malattia (c.d. “trigger dose”), senza l’esposizione successiva abbia rilievo. Ciò condurrebbe a ritenere esenti da responsabilità i soggetti che hanno omesso di osservare le regole cautelari nei periodi successivi alla prima esposizione, giacché l’esito infausto si sarebbe ugualmente verificato a prescindere della loro condotta omissiva (che, pertanto, non può considerarsi condicio sine qua non dell’evento morte del lavoratore).

Viceversa, qualora si sostenga la natura dose-correlata della patologia, l’esposizione ad amianto successiva alla fase dell’innesco della malattia avrebbe rilievo causale, in quanto idonea ad accelerare il processo morboso e il prodursi dell’evento morte. Tale impostazione consente di ravvisare più facilmente la responsabilità dei soggetti che si sono avvicendati nella gestione societaria e che hanno perpetrato condotte omissive già in atto.

Una volta riconosciuta rilevanza causale anche alla esposizione successiva alla “trigger dose”, parte della giurisprudenza ha ridimensionato l’importanza da riconoscere all’accertamento dell’esatto momento dell’innesco (particolarmente difficile da accertare) assegnando piuttosto rilevanza alla natura e ai tempi dell’offesa. Secondo questa impostazione, sussiste nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento morte del dipendente non solo quando sia provato che la condotta doverosa omessa avrebbe evitato il prodursi dell’esito infausto, ma anche qualora sia provato che l’evento morte si sarebbe prodotto in un tempo significativamente più lontano rispetto a quello dell’evento morte considerato hic et nunc.

Occorre tuttavia rilevare come la questione sulla natura dose-correlata o dose indipendente della patologia del mesotelioma pleurico non sia ancora stata risolta in modo del tutto univoco dalla letteratura scientifica ed è capitato che, sulla scorta delle relazioni peritali introdotte in giudizio, i giudici siano pervenuti ad accertamenti di segno opposto nei diversi casi di specie.

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