L’ambito penale sostanziale, dimora prediletta dell’oralità e bersaglio di sfogo di autorevole dottrina, è costituito da una serie di istituti ognuno dei quali ha un posto a sé e che, nel loro insieme, rappresentano l’anatomia del diritto penale.
Spesso, come accade nella realtà ove per salvare la vita di un essere umano è necessario che ci sia la donazione di un organo da parte di un altro, anche nel diritto, il subentro di determinati istituti in altri, può rendere un fatto previsto dalla legge come reato diversamente tale. Quindi il soggetto attivo è salvo.
E’ il caso delle cause di giustificazione e dell’antigiuridicità.
Leggi anche:” La collocazione delle cause di giustificazione nella struttura del reato”
Le cause di giustificazione
Ora, se illecito è il comportamento in contrasto con i precetti del diritto, e lecito ogni altro comportamento, la condotta umana, nei confronti delle prescrizioni del diritto, non può essere che illecita o lecita[1].
Tale giudizio di illiceità, poiché cade sul fatto e lo valuta non limitatamente a questa piuttosto che quella branca del diritto, ma per la relazione con le norme giuridiche, così che un fatto è punibile non soltanto perché si trova in contrasto con le norme del diritto penale, ma anche perché questo contrasto non è eliminato per essere il fatto lecito per altri rami del diritto, avendo rilievo per il giudizio sulla sua illiceità l’intero ordinamento giuridico, in quanto è nei suoi confronti che si deve giudicare se esistono cause che l’escludono, giustificando il fatto, sotto questo più ampio e diverso profilo non è errato attribuire carattere generale alle cause che escludono l’illiceità stessa[2].
Le cause di giustificazione[3] del reato, chiamate anche scriminanti[4]o cause di esclusione dell’antigiuridicità, sono delle particolari situazioni, normativamente previste, in presenza delle quali un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice, che altrimenti costituirebbe reato, non acquista tale carattere e viene considerato ab origine lecito perché consentito o imposto dall’ordinamento giuridico.
Dall’altro canto, considerato che il reato consiste nella violazione di un precetto dell’ordinamento giuridico-penale, sua nota fondamentale è il contrasto, l’opposizione col diritto[5].
Questa contraddizione viene indicata con il termine antigiuridicità ed anche illiceità[6].
Le cause di giustificazione[7], pur essendo estranee alla tipicità penale, includono la fattispecie penale tipica in una più ampia fattispecie giustificata, costituita dalla fattispecie illecita con l’aggiunta della situazione giustificante quale elemento ulteriore[8].
L’antigiuridicità
Posto che l’istituto delle scriminanti è strettamente connesso alla nozione di antigiuridicità, quest’ultima viene meno se si è in presenza della prima, ossia nell’ipotesi in cui una norma, diversa da quella incriminatrice, facoltizza o impone un determinato fatto tipico al fine di salvaguardare un bene ritenuto preminente rispetto a quello tutelato dalla norma penale incriminatrice[9].
Se il principio di non contraddizione è, dunque, il fondamento logico-giuridico delle cause di giustificazione[10], il loro fondamento sostanziale ovvero politico è sempre da individuare in un’esigenza di equo contemperamento tra almeno due interessi in conflitto: l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice e un altro interesse che, nella situazione definita dalla norma giustificante, viene privilegiato dall’ordinamento giuridico[11].
Dunque, tali cause di giustificazione, impediscono che il reato sorga, per venir meno non già un suo elemento soltanto, ma la stessa illiceità del fatto, i, quanto per esse, appunto, manca il contrasto tra il fatto e l’ordinamento giuridico[12].
Di talchè, le medesime escludono la responsabilità[13] o la colpevolezza per difetto dell’imputazione[14] o dello scopo criminoso[15] o per il movente[16].
Per quanto concerne le conseguenze applicative delle cause di giustificazione, poichè le norme che le prevedono non sono di diritto eccezionale[17] ma di diritto regolare[18], risultano notevoli come, ad esempio, l’ammissibilità della loro applicazione analogica.[19]
Dipoi, il fatto che le scriminanti possano trarsi dall’intero ordinamento giuridico ha come risultato che le norme che le prevedono non hanno carattere specificamente penale, sicchè non sono assoggettabili al principio della riserva di legge[20] che vige in ambito penale, oltre che al divieto di analogia come detto in precedenza.
Per quanto riguarda l’ambito processuale ai fini della decisione, sempre tale carattere lecito del fatto posto in essere in presenza di una situazione che scrimina, fa sì che la formula assolutoria sia quella perché il fatto non costituisce reato e non perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, poiché il fatto, al di fuori della situazione scriminante, è reato, né perché il fatto non sussiste, visto che in rerum natura il fatto esiste[21].
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Note
[1] S. RANIERI, Manuale di diritto penale, vol. I, Parte generale, Cedam, Padova, 1968, p. 149.
[2] MANZINI, Trattato cit., 101.
[3] Sulla definizione di cause di giustificazione v. A. ANGIOINI, Le cause che escludono l’illiceità obiettiva penale, Milano, 1930; MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2007, 232 ss.
[4] Comuni, speciali, tipiche, atipiche.
[5] F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, decima edizione, Giuffrè editore, Milano, p. 165.
[6] Ricchissima è la letteratura su questo tema. V. DELITALA, Il fatto, p. 13 ss; F. ALIMENA, Appunti di teoria generale del reato, Milano, 1938; S. MESSINA, L’antigiuridicità nella teoria del reato, Spoleto 1942 e i lavori del PETROCELLI, L’antigiuridicità, Padova, quarta edizione, 1966; MORO, L’antigiuridicità penale, Palermo, 1947; DELL’ ANDRO, Antigiuridicità , in Encicloped. Dir, v. II, 1958, 542 ss; TESAURO, L’antigiuridicità penale, in Foro pen., 1961, I, ss; HEINITZ, Svolgimenti sulla dottrina dell’illiceità materiale (traduz) in Jiu 1964, 1 ss.
[7] Dalle cause di giustificazione vanno inoltre distinte le c.d. scusanti, che non escludono neppure l’illiceità del fatto lesivo, ma solo la colpevolezza di colui che l’illecito ha commesso. Proprio perché incidono sull’elemento soggettivo del reato e non fanno venir meno l’illiceità del fatto antidoveroso, sono applicabili solamente a vantaggio dei soggetti cui si riferiscono, non potendosi estendere anche agli eventuali concorrenti nel reato.
[8] A. NAPPI, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè Editore, Milano, Marzo 2010.
[9] F. CARINGELLA – F. DELLA VALLE – M. DE PALMA, Manuale di diritto penale, parte generale, Dike Giuridica Editrice, VI edizione, Roma, ottobre 2016.
[10] F. MANTOVANI, Diritto penale, IV ed., Cedam, 2001, p. 250.
[11] GAMBERINI, Le scriminanti, in giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. BRICOLA e V. ZAGRELBESCKY, vol. II Utet, 1996, p. 4 ss.; PADOVANI, Diritto penale, 2002, p. 131 ss.; M. ROMANO, Commento sistematico del codice penale, vol I, II ed, Giuffrè 1995, p. 487.
[12] S. RANIERI, Manuale di diritto penale, vol I, Parte generale, Cedam, Padova, 1968, p. 148.
[13] MANZINI, Trattato, II, 251 ss.
[14] FERRI, op. cit., 462.
[15] ROCCO, Lezioni di diritto penale., 1932-1933, 200.
[16] FLORIAN, op. cit., 523.
[17] Ciò deriva dal fatto che le stesse escludono la punibilità di un fatto illecito che, seoondo la regola, dovrebbe essere punito.
[18] Nel senso che il fatto è lecito e, pertanto, non rientra nella sfera applicativa della norma incriminatrice.
[19] F. CARINGELLA – F. DELLA VALLE – M. DE PALMA, Manuale di diritto penale, parte generale, Dike Giuridica, VI edizione, Roma, ottobre 2016, p. 704.
[20] In merito a tale principio v. P. POERIO, Il principio di legalità, La Rondine Editore, Catanzaro, aprile 2019.
[21] In questo senso, Cass., Sez. Un. 29 maggio2008, n. 40049. Oltre alla sentenza di assoluzione (art. 530, comma 3, c.p.p.), la causa di giustificazione comporta l’inapplicabilità di misure cautelari. Circa l’onere della prova della sussistenza di scriminanti, la giurisprudenza di legittimità ritiene che incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onore probatorio, in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quantomeno la probabilità di sussistenza dell’esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 c.p.p., risolvendosi il dubbio sull’esistenza dell’esimente nell’assoluta mancanza di prova al riguardo (tra le altre, Cass., Sez. VI, 12 febbraio 2004, n. 15484).
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