La CEDU ha avviato formalmente un procedimento contro l’Italia perché lo Stato non ha protetto la salute dei cittadini di Taranto dagli effetti delle emissioni inquinanti dell’Ilva, società che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell’acciaio.
La Corte di Strasburgo, in altre parole, ha ritenuto che le prove presentate dall’accusa sono abbastanza solide da aprire il procedimento contro lo Stato.
Si tratta di un ricorso collettivo presentato da 182 cittadini di Taranto e dei comuni vicini che si sono costituiti fra il 2013 e il 2015. Alcuni cittadini rappresentano i congiunti deceduti, altri i figli minori malati.
I ricorrenti agiscono per la tutela del diritto alla vita e all’integrità psico-fisica ed accusano lo Stato di non aver “adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la loro salute”. Inoltre sostengono che i vari decreti “salva Ilva”, adottati per mantenere in funzione gli impianti siderurgici, rappresentino una violazione del loro diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Fra le prove analizzate dai giudici di Strasburgo, i rapporti del Progetto Sentieri: due studi condotti nel 2012 dall’Istituto superiore di Sanità che definiscono Taranto “un ambiente di vita insalubre”.
Il procedimento a carico dell’Italia non era scontato: solo l’anno scorso la CEDU ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una donna che sosteneva un nesso di causalità tra le emissioni l’impianto Ilva adiacente alla sua residenza, e la leucemia di cui soffriva e che l’ha portata alla morte (caso Smaltini c. Italia, procedimento n. 43961/09).
Pertanto, le prove presentate dai 182 ricorrenti sono state considerate molto forti dalla Corte di Strasburgo.
Intanto, a Taranto è ripartito il processo per il presunto disastro ambientale causato dalle emissioni. Fra gli imputati anche Nichi Vendola, ex governatore della Puglia, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, i fratelli Fabioe Nicola Riva, fra i proprietari dell’Ilva prima del suo commissariamento, l’ex presidente della società, Bruno Ferrante, e l’ex responsabile dei rapporti istituzionali, Girolamo Archinà.
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