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La situazione durante l’ancien régime
L’origine degli istituti della giustizia amministrativa è connessa alla promulgazione delle Carte costituzionali e alla nascita dello Stato di diritto dal momento che, durante l’ancien régime, l’attività del monarca era stata sottratta a qualunque forma di controllo da parte degli organi giurisdizionali, il cui unico compito era l’amministrazione della giustizia tra i sudditi, infatti gli ordinamenti dell’antico regime erano privi di istituti processuali amministrativi[1].
Nell’editto di St. Germain di Luigi XIII, emanato nel 1641, era stato formulato questo principio: le corti giudiziarie erano competenti a definire le questioni di diritto privato e ad esse era vietato di dirimere controversie ove fosse coinvolta l’amministrazione statale, dal momento che questa materia era di esclusiva pertinenza del principe[2], come ha scritto Zanobini: «gli atti delle pubbliche autorità, pur dovendo tener conto degli interessi dei singoli, non potevano in alcun modo essere dichiarati illegittimi o lesivi degli altrui diritti: i privati, che si ritenessero danneggiati nei loro interessi, potevano solo rivolgersi alle autorità superiori e talora al sovrano stesso, chiedendo la riparazione del torto in via di grazia, non mai in via di giustizia[3]». Il divieto per i giudici ordinari di ingerirsi negli affari pubblici era espressione del privilegio della corona e dell’irresponsabilità del re, con il relativo rafforzamento del sistema del contenzioso amministrativo, caratterizzato appunto dal veto per gli organi giurisdizionali di sindacare gli atti dell’amministrazione statale.
Alcuni rapporti patrimoniali potevano formare oggetto di controversie giurisdizionali: amministrazione e vendita dei beni statali; riscossione dei tributi e delle imposte; responsabilità civile dei pubblici funzionari; tuttavia le vertenze di tale natura erano di competenza di giurisdizioni speciali, quali intendente di finanza o Camera di Conti, mentre era posto il divieto di intromissioni da parte degli organi giurisdizionali negli affari del governo e della pubblica amministrazione[4].
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Le modifiche introdotte nel periodo rivoluzionario e napoleonico
La rivoluzione francese mutò profondamente l’assetto costituzionale ma, paradossalmente, non modificò l’ordinamento amministrativo, poiché fu ritenuto essenziale limitare i diritti dei cittadini nell’ambito della legislazione amministrativa, per difendere la Repubblica sia contro i nemici interni, ovvero i nostalgici dell’ancien regime che contro i nemici esterni ovvero le potenze europee, decise a restaurare i Borbone sul trono di Francia. Era stata però avvertita l’esigenza di dare un fondamento dottrinale e costituzionale al sistema, quindi con legge del 1790 fu stabilito: «La costituzione sarebbe violata se i tribunali potessero ingerirsi nelle cose dell’amministrazione o turbare in qualche modo i corpi amministrativi nell’esercizio delle loro funzioni. Ogni atto degli organi giudiziari, che tenda ad ostacolare o sospendere l’azione amministrativa, essendo incostituzionale, dovrà restare senza efficacia»; la soluzione delle controversine fu demandata pertanto agli stessi organi amministrativi e si delineò un sistema in cui, per dirla con le parole di Sandulli: «l’azione, la deliberazione, la giurisdizione amministrativa erano confuse nelle stesse mani»; la giustificazione teorica di questo assetto fu individuata nel principio della separazione dei poteri: il potere Giudiziario non doveva né poteva interferire con il potere Legislativo, sospendendo l’esecuzione delle Leggi, né con l’Esecutivo, contestandone gli atti[5].
La Costituzione dell’anno VIII introdusse sia una primordiale forma di giustizia amministrativa che norme applicative della stessa; la Carta costituzionale e la legge di organizzazione amministrativa provocarono una radicale trasformazione del sistema legislativa francese e posero le basi per la nascita del diritto pubblico moderno[6]; con la legge del 28 piovoso dell’anno VIII (17-2-1800)[7] furono istituiti i Consigli di Prefettura, organi interni all’amministrazione, mentre al Consiglio di Stato furono attribuite funzioni consultive per le sentenze d’appello, le decisioni infatti restavano al Capo dello Stato[8]; la legislazione attuativa da un lato attribuiva ai tribunali ordinari controversie di diritto privato e di natura tributaria, dall’altro lato demandava ai Consigli di Prefettura – si trattava di Collegi amministrativi locali – le vertenze relative all’esercizio dei pubblici poteri; infine conferiva speciali competenze giurisdizionali alla Corte dei Conti e affidava al Consiglio di Stato una potestà di natura generale sulla legittimità dei provvedimenti ministeriali, sull’impugnazione delle sentenze dei Consigli di Prefettura e sui conflitti di competenza tra tribunali e pubblica amministrazione; l’attività del Consiglio di Stato non rappresentava però l’esercizio di una funzione giurisdizionale, era solo una funzione consultiva, mentre era riservato al Capo dello Stato il decreto destinato a dare esecuzione alle deliberazioni prese.
Era nato il sistema del contenzioso amministrativo, caratterizzato dall’attribuzione a speciali organi delle controversie di diritto amministrativo; questa struttura fu perfezionata durante la Terza Repubblica del 1872, con l’attribuzione al Consiglio di Stato di competenze giurisdizionali e con l’istituzione di un Tribunale dei conflitti[9].
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L’introduzione del contenzioso amministrativo in Italia
Il modello del contenzioso amministrativo fu introdotto in Italia durante la dominazione napoleonica poiché la legislazione francese, i principi e gli istituti del contenzioso amministrativo furono estesi al Regno d’Italia; nella penisola fu istituito un Consiglio di Stato mentre il paese fu ripartito in dipartimenti, con un corrispondente numero di Consigli di Prefettura. Il Consiglio di Stato e i Consigli di Prefettura furono dotati di funzioni consultive e giurisdizionali; tuttavia le funzioni giurisdizionali potevano essere esercitare solo in forma di pareri o di proposte, che diventavano esecutive solo se sanzionati con un decreto del sovrano[10].
Durante la Restaurazione gli stati italiani – ad eccezione del Ducato di Parma che mantenne l’assetto del contenzioso amministrativo di origine francese – richiamarono in vita l’antica legislazione e la tutela degli interessi dei cittadini fu affidata all’arbitrio dei funzionari amministrativi. Le correnti liberali fecero pressione sui governi per spingerli ad adottare nel campo del contenzioso istituti analoghi a quelli francesi; le sollecitazioni delle forze progressiste per riformare il sistema amministrativo, dal momento che non mettevano in discussione l’autorità delle dinastie degli Stati restaurati, non trovarono resistenza da parte delle case regnanti nella penisola; dapprima nel Regno delle Due Sicilie fu emanata il 21 marzo 1817 una legge sui giudici del contenzioso amministrativo per le provincie continentali, mentre nel Regno di Sardegna furono istituiti speciali tribunali amministrativi con le regie patenti del 25 agosto e del 31 dicembre 1842; nello Stato sabaudo le funzioni di giudici ordinari del contenzioso amministrativo furono attribuite ai Consigli d’intendenza, mentre giudice di secondo grado era la Camera dei conti, ad eccezione di alcune materie – quale la responsabilità contabile – ove pronunciava come giudice di unica istanza.
Dopo la concessione dello Statuto Albertino fu avvertita nel Regno di Sardegna l’esigenza di procedere ad una maggiore razionalizzazione della distinzione delle competenze tra giudici amministrativi e giudici ordinari; pertanto con d.lg. N.3708 del 30-10-1859 furono attribuite alle autorità amministrative le vertenze che non riguardavano diritti soggettivi, mentre alla giurisdizione ordinaria furono attribuite le controversie di diritto privato e alcune vertenze di natura pubblicistica, quali i procedimento elettorali e le imposte dirette, invece ai giudici ordinari del contenzioso amministrativo furono demandati i procedimenti di diritto pubblico in una serie di materie previste espressamente dalla legge.
Dopo l’unità d’Italia la legislazione piemontese fu estesa alla Lombardia e al Veneto, mentre in Umbria e in Romagna, dopo la soppressione dei Tribunali amministrativi, le competenze furono attribuite ai Tribunali ordinari; nelle regioni meridionali furono mantenuti gli istituti del passato regime, così come a Parma; l’unificazione legislativa avvenne infine con la legge 20.03.1865 n. 2248, Allegato E sull’abolizione del contenzioso amministrativo.
Bibliografia
Carrozza, Di Giovine, Ferrari., Diritto Costituzionale Comparato, Roma – Bari, Laterza, 2014
Sandulli A. M., Manuale di Diritto Amministrativo, 12° Ed., Napoli, Jovene, 1979.
Zanobini G., Corso di Diritto Amministrativo, Volume Secondo, Milano, Giuffrè, 1958.
[1] G. Zanobini, Corso di Diritto Amministrativo, Volume Secondo, 8° Ed, Milano, Giuffrè, 1958, pag. 10
[2] A. M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, 12° Ed, 1979 Jovene, Napoli, pag. 800
[3] G. Zanobini, Corso di Diritto Amministrativo, Volume Secondo, 8° Ed, Milano, Giuffrè, 1958, pag. 10
[4] A. M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, 12° Ed, 1979 Jovene, Napoli, pag. 801.
[5] P. Carrozza, A. Di Giovine, G.F. Ferrari, Diritto Costituzionale Comparato, Tomo II, Roma – Bari, Laterza, pag. 1000.
[6] G. Zanobini, Corso di Diritto Amministrativo, Volume Secondo, 8° Ed, Milano, Giuffrè, 1958, pag. 12
[7] P. Carrozza, A. Di Giovine, G.F. Ferrari, Diritto Costituzionale Comparato, Tomo II, Roma – Bari, Laterza, pag. 1000.
[8] Ibidem.
[9] A. M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, 12° Ed, 1979 Jovene, Napoli, pag. 801.
[10] Ibidem.
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