Cenni sullo ius variandi nei contratti tra professionista (istituti bancari) e consumatore (cliente)

Quando si parla di ius variandi si fa riferimento a un diritto potestativo, che trova titolo nelle leggi e/o nelle convenzioni, con cui una delle parti che ha stipulato un contratto è legittimata, nel corso dell’esecuzione, a modificare in senso sfavorevole alla controparte una o più clausole contenute nel negozio contrattuale.

Lo ius variandi nei contratti tra professionista e consumatore è disciplinato, tra l’altro, da due previsioni normative contenute nel Testo Unico Bancario e nel Codice del Consumo:

  1. Art. 118 del Testo Unico Bancario, così come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n° 141, ed ulteriori modificazioni ed integrazioni;
  2. Art. 33, Codice del consumo.

Il primo problema che si pone in tema di ius variandi è a quali categorie di contratti si applica.

A delimitare l’ambito di applicazione di tale diritto è finalizzato l’art. 118 del Testo Unico Bancario, che già nel testo pre-riforma, prevedeva che le modificazioni unilaterali delle condizioni contrattuali sono compatibili con i contratti di durata, con i contratti ad esecuzione periodica ovvero continuativa: lo ius variandi si applica, pertanto, solo a quei contratti dove l’adempimento si protrae nel tempo.

L’art. 33 del Codice del Consumo, al comma 3° prevede, altresì, che se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato il professionista può, modificare, qualora sussista un giustificato motivo, le condizioni del contratto, preavvisando entro un congruo termine il consumatore, che ha diritto di recedere dal contratto.

La norma fa espresso riferimento, anche in questo caso, alla durata del contratto che deve essere a tempo indeterminato, ossia un contratto di durata che si protragga nel tempo.

Infine, anche il nuovo testo dell’art. 118 del Testo Unico Bancario prevede la facoltà di modificare le clausole contrattuali nei contratti a tempo indeterminato, disponendo che nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo.

Il legislatore, nel disciplinare lo ius variandi, ha dovuto, però, tutelare due diverse esigenze:

  1. Da un lato, l’esigenza del professionista di potere predisporre ed utilizzare clausole modificative del contratto nel caso di variazioni di mercato;
  2. Dall’altro, l’esigenza del consumatore di non essere esposto alle continue modifiche del contratto da parte del professionista, modifiche che possono essere sfavorevoli per il consumatore.

Al fine di contemperare tali esigenze, il legislatore ha posto, innanzitutto, quale limite all’esercizio dello ius variandi quello del giustificato motivo, ossia la possibilità di utilizzare tale strumento solo laddove vi sia un peggioramento delle condizioni economiche del cliente- consumatore oppure delle condizioni economiche- finanziarie dell’istituto bancario- professionista.

Il legislatore ha, altresì, previsto, accanto al limite del giustificato motivo, l’obbligo per il professionista di comunicare per iscritto al consumatore e con un congruo termine di preavviso le eventuali modifiche da apportare al negozio contrattuale. Sono due i profili protettevi posti a tutela del consumatore: comunicazione scritta e preavviso. Ed infatti ai comma 2° e 2°-bis, dell’art. 118 del TUB si legge che qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto’, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate. Se il cliente non è un consumatore nè una micro-impresa come definita dall’articolo 1, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto. Ed ancora, al 3° comma, che le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente.

Dal momento che l’esercizio dello ius variandi fa mutare il giudizio di convenienza che la controparte contrattuale aveva formulato in merito alla stipula del contratto, il legislatore ha formulato un correttivo al potere modificativo del diritto e, cioè la possibilità per la controparte di un diritto di recesso ex lege.

Ed infatti, l’art. 118 TUB prevede espressamente la possibilità per il cliente, che non ritenga conveniente la modifica proposta, il diritto di recesso, da esercitare entro il termine previsto per l’applicazione della modifica proposta, ossia nel termine di due mesi. Laddove il consumatore-cliente decida di recedere dal contratto, il recesso è senza spese e questo perché non si tratta di un recesso- pentimento, bensì di recesso causato dalla modifica unilaterale del negozio contrattuale. Il costo del recesso, pertanto, sarà a carico del professionista, il quale ha deciso di mutare le condizioni contrattuali. Con l’introduzione di tale previsione normativa, vengono meno, altresì, i costi di chiusura, normalmente previsti da clausole sottoscritte dal cliente al momento della stipula del contratto con l’istituto bancario (è il caso dei costi di chiusura per conti corrente bancario che il cliente non sarà più obbligato a pagare) e pertanto, le clausole inizialmente sottoscritte perdono la loro efficacia.

Avv. Rossano Valentina

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