Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e pendenza del giudizio sul riconoscimento dell’assegno di divorzio

“In tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile”.

A risoluzione di un dibattuto contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno affermato il summenzionato principio di diritto con la sentenza n. 9004, depositata lo scorso 31 marzo.

La vicenda processuale

Nel 2013 il Tribunale di Lucca, nel pronunciarsi sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, aveva posto a carico del coniuge l’obbligo di corrispondere alla donna l’assegno di divorzio. L’uomo impugnava proprio la parte relativa alla corresponsione dell’assegno divorzile ma la Corte d’Appello di Firenze, nel rigettare il ricorso, richiamava l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del diritto all’assegno di divorzio, ritenendo ampiamente dimostrata la mancanza di mezzi idonei, in capo alla donna e l’impossibilità da parte della stessa, di poter migliorare la propria condizione, a causa dell’età e della diffusa crisi economica. Avverso la sentenza, l’ex marito proponeva ricorso per Cassazione. La causa veniva avviata alla trattazione in camera di consiglio innanzi alla Sesta Sezione Civile la quale, con ordinanza del 9.12.2016, la rinviava alla pubblica udienza della Prima Sezione Civile, rilevando che l’uomo aveva depositato copia di una sentenza dell’11 luglio 2016, con la quale la Corte d’Appello di Firenze aveva reso esecutiva nel nostro ordinamento una sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco, il 28 marzo 1995, e ratificata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il 7 luglio 2014, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio.

Con ordinanza del febbraio 2020, la Prima Sezione Civile rigettava l’eccezione di inefficacia della sentenza di delibazione, dichiarando il suo passaggio in giudicato. Poichè il ricorrente richiedeva, altresì, che fosse dichiarata cessata la materia del contendere, sulla base della sopravvenuta sentenza di nullità del matrimonio, il primo Presidente della Prima Sezione Civile, disponeva l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto il quesito sul se il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, impedisca o meno la prosecuzione del giudizio di divorzio ai fini della decisione in ordine alla domanda di determinazione dell’assegno di divorzio.

Il contrasto giurisprudenziale che ha portato la prima Sezione a richiedere l’intervento delle Sezioni Unite, è nato da una recente decisione della stessa Sezione, originato da una fattispecie molto simile a quella oggetto della sentenza in esame, la quale ha affermato che: “il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del medesimo matrimonio, non impedisce la prosecuzione del giudizio di divorzio ai fini della decisione in ordine alla domanda di determinazione dell’assegno (cfr. Cass., Sez. I, 23.01.2019, n. 1882).

Le Sezioni Unite, in apertura della decisione, esordiscono con la ricostruzione della giurisprudenza di legittimità circa i rapporti tra il giudizio di nullità del matrimonio religioso[1] ed il giudizio di divorzio sì da motivare le ragioni che hanno portato alla dichiarazione di intangibilità del giudicato di divorzio da parte del provvedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità[2]. Partendo, dunque, dalla L. n. 121/1985[3], le SS.UU. sottolineano che, con sentenza  n. 1824 del 13 febbraio 1993, la stessa Corte cristallizzò taluni principi:

  • il giudice italiano, adito preventivamente, può giudicare sulla domanda di nullità di un matrimonio concordatario, con ciò venendo meno, sulla base dell’Accordo del 1984, il principio della riserva di giurisdizione[4];
  • il convenuto in una causa di divorzio può chiedere l’accertamento della nullità del vincolo;
  • la pendenza del giudizio civile nel quale sia stato chiesto l’accertamento della nullità impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica;
  • la sentenza ecclesiastica non può impedire la prosecuzione del giudizio di divorzio neppure quando è stata delibata e, quindi, riconosciuta efficace nel nostro ordinamento.

Partendo da questa base, a parere delle SS. UU., tra il giudizio di nullità del matrimonio e quello di cessazione degli effetti civili, non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, trattandosi di procedimenti autonomi e con finalità differenti :la domanda di nullità del matrimonio concordatario è finalizzata ad ottenere una pronuncia di invalidità originaria – ex tunc- del vincolo coniugale, investendo il cosiddetto matrimonio-atto, mentre quella di cessazione degli effetti civili, incide sul matrimonio-rapporto, avente efficacia ex tunc[5].  Ed è proprio la differenza di natura ed effetti tra la sentenza di nullità e la sentenza di divorzio, riconducibile alla diversità di petitum e di causa petendi delle relative domande, che supporta l’affermazione, delle Sezioni Unite, circa l’inidoneità della sentenza ecclesiastica ad impedire la prosecuzione del giudizio civile ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno di divorzio”.

Conclusioni

A parere della Corte, dunque, “in tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile”. In ossequio al predetto principio, nel caso di specie, deve escludersi che la sentenza con la quale è stata dichiarata efficace, nel nostro ordinamento, la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio risulti idonea a precludere la prosecuzione del giudizio di divorzio, tenuto conto che la decisione di primo grado ha costituito oggetto di impugnazione solo nella parte relativa al riconoscimento della resistente alla corresponsione dell’assegno divorzile e ne ha riconosciuto l’importo. Il passaggio in giudicato della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, verificatasi a seguito della proposizione dell’appello e quindi in data anteriore alla delibazione della sentenza ecclesiastica, consente di escludere l’operatività di quest’ultima, sia per quanto riguarda lo scioglimento del vincolo matrimoniale, sia per quanto riguarda la determinazione delle relative conseguenze economiche.

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Note

[1]Mentre sotto il regime concordatario le sentenze ecclesiastiche erano efficaci nel nostro ordinamento con un procedimento automatico, l’art. 8.2 dell’Accordo, ha statuito che il procedimento di delibazione ha luogo “su domanda delle parti o di una di esse” e si svolge innanzi alla Corte d’Appello competente per territorio (la competenza dipende da dove è ubicato il Comune presso il quale è stato trascritto il matrimonio canonico) la quale è tenuta a verificare sia la regolarità del contraddittorio, sia la conformità della sentenza ecclesistica ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano.

[2]Sul mutamento dei rapporti fra le due giurisdizioni dopo l’entrata in vigore della L. n. 121 del 1985, cfr F.  Finocchiaro, Sentenze ecclesistiche e giurisdizione dello Stato sul matrimonio <<concordatario>>nell’Accordo del 18 febbraio 1984 fra l’Italia e la Santa Sede, in Riv. Dir.proc., 1984, pag. 401 e segg.

[3]“Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede”.

[4]Cfr. Cass., SS.UU., n. 1824/1993, in Dir eccl., 1992, II, pag., 315 e segg., con nota di L. De Luca, Sovranità dello Stato e matrimonio <<concordatario>>.

[5]La dottrina civilistica insiste, concordemente, sulla distinzione tra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto. Nel manuale di “Diritto privato” di F. Galgano, si osserva: “si deve distinguere il matrimonio come atto e il matrimonio come rapporto:il primo è il consenso che, nelle forme proprie della celebrazione del matrimonio, due persone di sesso diverso si scambiano dichiarando che si vogliono prendere rispettivamente in marito e moglie (art. 107 c.c.) dando cosi origine a una famiglia legittima; il secondo è il rapporto giuridico che l’atto instaura fra i coniugi e che perdura fino alla morte di uno di essi, salvo che non sia sciolto per divorzio”.

Sentenza collegata

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francesca de carlo

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