Sommario: Premessa. – 1. La fattispecie. – 2. L’ordinanza ex art. 700 c.p.c. – 3. L’ordinanza collegiale.
Premessa.
Può un imprenditore essere costretto (per ordine di un giudice) a creare un’articolazione aziendale in uno specifico luogo, ed ivi esercitare l’attività di impresa? Può un datore di lavoro essere obbligato a proseguire un rapporto di lavoro con un suo dipendente in un luogo ove il primo non ha nessuna unità produttiva, nessun ufficio, niente di niente?
La risposta sembrerebbe essere scontata: in un paese c.d. liberale, basato su un economia di libero mercato (sia pure con tutti i correttivi esistenti, e dettati dalle esigenze di tutela dei “fini sociali” di cui all’art. 41 Cost.), un provvedimento del genere sarebbe difficilmente concepibile, costituendo una palese interferenza con l’autonomia dell’attività di impresa, garantita dalla disposizione costituzionale appena ricordata.
Il quesito, nelle due ordinanze in calce riportate, ha avuto invece un’opposta soluzione: ha infatti risposto positivamente il Tribunale di Roma con l’ordinanza 11.07.2006, resa al termine di un procedimento ex art. 700 c.p.c.; ha risposto negativamente il Tribunale di Roma con l’ordinanza 10.08.2006, resa su reclamo avverso il primo provvedimento.
1) La fattispecie.
Il caso di specie che ha dato origine alle pronunce in esame è piuttosto articolato (e per una sua sintesi si rinvia al testo del primo provvedimento).
Per quanto qui rileva, è invece piuttosto semplice. Due società concludono una cessione di ramo d’azienda: la cedente ha la sede legale ed operativa a Roma; la cessionaria ha sede a Cagliari, ivi esercita la propria attività, ed anzi a Roma non ha alcuna articolazione né alcuna struttura.
Accade però che addetto al ramo d’azienda ceduto sia un lavoratore disabile (invalido al 100%). Questi, non potendo trasferirsi a Cagliari, dove viene spostato il ramo d’azienda ceduto, adisce il giudice del lavoro, proponendo, contestualmente al ricorso ex art. 414 c.p.c., ricorso ex art. 700 c.p.c. affinché il Tribunale ordini alla cedente e/o alla cessionaria di proseguire il rapporto di lavoro in Roma.
La legittimità dell’operazione di cessione del ramo d’azienda non è in discussione.
2) L’ordinanza ex art. 700 c.p.c.
Come sopra si è anticipato, il Tribunale di Roma, con ordinanza 11.07.2006, ha accolto la domanda cautelare proposta nei confronti della cessionaria, sospendendo “in via cautelare l’assegnazione del ricorrente a Cagliari” ed ordinando alla cessionaria stessa “di proseguire il rapporto di lavoro con il ricorrente a Roma”.
In particolare, il Tribunale ha fatto leva sul disposto dell’art. 33, comma 6, L. 104/92, secondo cui “la persona handicappata maggiorenne in condizione di gravità […] ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso”: dopo aver ricordato la finalità di garanzia della dignità umana della norma, l’organo giudicante ha ritenuto (condivisibilmente, ed infatti il punto viene confermato in sede di reclamo) che essa si applichi ad ogni fattispecie di trasferimento del lavoratore, quale che sia lo strumento giuridico utilizzato (trasferimento individuale o cessione d’azienda), e ciò anche in considerazione dell’art. 47 L.428/90, che stabilisce la conservazione, in capo al lavoratore ceduto, del trattamento economico e normativo che aveva presso il cedente.
Da tale premessa, senza peraltro motivare in ordine alle conseguenze che vengono tratte, il Tribunale deduce che il ricorrente abbia diritto a non essere allontanato dal luogo ove lavorava per la cedente, e quindi a proseguire il rapporto di lavoro a Roma: infatti, si dice apoditticamente, “la circostanza che [la cessionaria] non abbia propri uffici a Roma non può determinare la violazione di un diritto individuale sancito dalla legge e rispondente ad un’alta esigenza di tutela delle persone meno fortunate”.
3) L’ordinanza collegiale.
Il Collegio, decidendo sul reclamo proposto dalla cessionaria, ha riformato il primo provvedimento.
Ed infatti, “una volta che la cessione del ramo d’azienda sia stata ritenuta valida ed efficace e che il [lavoratore] sia passato alle dipendenze della società reclamante – la quale pacificamente non dispone di uffici in Roma – il diritto di quest’ultimo al mantenimento della sede di lavoro che occupava presso la [cedente] è destinato a cedere di fronte alla materiale impossibilità di [cessionaria] di ottemperare all’obbligo posto a proprio carico. L’inesistenza dell’oggetto (la sede di lavoro in Roma) opera quale circostanza impeditiva ab origine dell’adempimento al pari dell’impossibilità della prestazione, e preclude certamente al lavoratore di soddisfare il proprio diritto: non si vede infatti in quale modo la società possa mantenere il [lavoratore] in una sede dove non dispone di uffici o dipendenze, se non imponendole la creazione ad hoc di una struttura operativa nella quale inserire quell’unico lavoratore”.
Il ragionamento seguito dal Collegio appare vieppiù corretto e necessitato ove lo si confronti con la giurisprudenza di legittimità in tema di applicazione della L. 104/92, secondo cui i diritti ivi contenuti in favore dei lavoratori disabili non possono essere fatti valere qualora il loro esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell’azienda.
Sul punto, si possono ricordare tra le molte:
Ø Cass. 27.05.2003 n. 8436, Foro it. Rep., 2003, Lavoro (rapporto), n. 1175:“L’art. 33, 5º comma, l. n. 104 del 1992, stabilendo che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, attribuisce un diritto che, in virtù dell’inciso secondo il quale esso può essere esercitato «ove possibile», ed in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora il suo esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell’azienda ed implica che l’handicap sia grave o, comunque, richieda un’assistenza continuativa”;
Ø Cass. 29.08.2002 n. 12692, ivi, 2002, loc. cit., n. 912:“L’art. 33, 5º comma, l. 104 del 1992 deve essere interpretato nel senso che il diritto del genitore o del familiare lavoratore dell’handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre gli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l’interesse comune, posto che secondo il legislatore – come è dimostrato anche dalla presenza dell’inciso «ove possibile» – il diritto alla effettiva tutela dell’handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi – soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico – in un danno per la collettività”;
Ø e lo stesso Tribunale di Roma (sentenza 12.06.1999, ivi, 1999, loc. cit., n. 1147):“Il diritto di scelta della sede di lavoro, assicurato dall’art. 33, 5º comma, l. 5 febbraio 1992 n. 104, al lavoratore che assista con continuità un familiare handicappato convivente, postula che la situazione di fatto normativamente prevista sia già in atto al momento della presentazione della domanda di trasferimento e che la scelta sia possibile, cioè non venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, intese, le prime, non già come esigenze di mero profitto, ma tali da incidere sulla gestibilità ordinaria dell’attività produttiva”.
Il medesimo orientamento è largamente riconosciuto anche in tema di avviamento obbligatorio:
Ø Cass. 26.09.2002 n. 13960, ivi, Lavoro (collocamento), n. 24:“Dalla disciplina in tema di assunzione obbligatoria di lavoratori invalidi discende un obbligo legale a contrarre in capo al datore di lavoro presso il quale l’invalido sia stato avviato, sempreché esistano però nell’azienda posizioni compatibili con il grado e il tipo di menomazioni da cui è affetto il soggetto protetto; ne discende che, se il datore di lavoro è tenuto ad attribuire all’invalido mansioni idonee e compatibili con il suo stato di invalidità, non potendo validamente opporre una generica incollocabilità di questi, non è però tenuto a modificare o adeguare, sostenendo costi aggiuntivi, la sua organizzazione aziendale alle condizioni di salute del lavoratore protetto, né in particolare, a creare per lui un nuovo posto di lavoro concentrando in una sola unità mansioni non difficoltose già facenti parte, con altre più complesse, dei compiti degli altri lavoratori”;
Ø Cass. 24.03.2001 n. 4300, ivi, 2001, Lavoro (collocamento), n. 50:“La creazione di una posizione di lavoro a tempo parziale per l’invalido avviato obbligatoriamente non rientra tra gli obblighi ex lege n. 482/1968, in quanto tale tipologia di rapporto di lavoro può essere conseguenza solo di una legittima esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti e la stessa comunque implica un cambiamento di organizzazione aziendale che esula dagli obblighi di assunzione facenti capo al datore di lavoro, che la legge non contempla come assoluti in quanto è giurisprudenzialmente pacifico che l’obbligo di assunzione dell’invalido non comporta anche l’onere di modificare le strutture materiali o lavorative dell’azienda”.
********************, avvocato in Milano.
TRIBUNALE DI ROMA
ORDINANZA EX ART. 700 C.P.C.
Il Giudice del Lavoro,
a scioglimento della riserva,
premesso che :
con ricorso d’urgenza e contestuale domanda di merito E.N. ha convenuto in giudizio la Z. s.p.a –****** S.A. e la I. s.r.l, ciascuno nella persona del legale rappresentante, esponendo di lavorare alle dipendenze della Z. sin dal 2001, di essere stato assunto ai sensi della legge 68 del 1999 in quanto invalido al 100% e non deambulante, di avere lavorato sino al maggio 2005 come addetto all’ufficio gestione polizze e di essere stato trasferito poi al c.d. Back Office, senza che gli fosse assegnata alcuna mansione;
nell’ottobre 2005 la Z. ha avviato la procedura per la cessione alla I. del ramo d’azienda denominato "Back Office Z."; avverso tale cessione hanno proposto ricorso ex art. 28 legge 300/70 le OOSS di categoria ed il Tribunale di Roma accogliendo il ricorso suddetto ha sospeso i trasferimenti dei lavoratori interessati alla cessione stessa;
intanto il ricorrente ha proposto un primo ricorso d’urgenza al Giudice del Lavoro deducendo l’illegittimità del suo trasferimento alla I. per violazione dell’art. 2 CIA; il ricorso ex art.700 c.p.c. è stato respinto dal Giudice del Lavoro di 1° istanza e così anche il seguente reclamo proposto dal N.;
con lettera del 9.5.2006 la I. gli ha comunicato che con decorrenza dal 21.4.2006 avrebbe dovuto prendere servizio a Cagliari;
con il presente ricorso, depositato in data 6.6.2006, il N. chiede in via d’urgenza al Giudice di sospendere il suo trasferimento a Cagliari ed ordinare alla Z. ovvero alla I. di proseguire il rapporto di lavoro a Roma;
a sostegno della domanda invoca l’art.2 del CIA secondo il quale i lavoratori che si trovino alle dipendenze di una società del Gruppo Z. oggetto di cessione d’azienda, hanno facoltà dì proseguire il rapporto con altra società del gruppo; invoca altresì l’art.9 del CIA secondo il quale il trasferimento dei dipendenti dalle piazze di Milano e Roma può essere disposto solo su consenso dell’interessato; invoca infine la legge 104 del 1992 secondo la quale il lavoratore portatore di grave handicap non può essere trasferito se non con il suo consenso;
a sostegno della domanda d’urgenza precisa di essere assistito, a causa della sua condizione di salute, dai suoi genitori e quindi che il trasferimento a Cagliari lo pone nella impossibilità di ricevere il sostegno necessario per la sua vita quotidiana;
Si sono costituite nella presente procedura la Z. s.p.a – ****** S.A. – *********************** per l’Italia e la I. s.r.l., ciascuno nella persona del legale rappresentante, ed hanno chiesto il rigetto della domanda a loro volta sostenendo in via preliminare l’inammissibilità della stessa in quanto già oggetto di pronunzia da parte del Giudice dell’Urgenza e del Reclamo;
nel merito hanno precisato che la cessione del ramo d’azienda in questione è stata riconosciuta legittima dal Tribunale di Roma in sede di ricorso ex art.28 legge 300/70 ma sospesa solo ai fini del rinnovo dei procedimento di informativa e consultandone sindacale prevista dalla legge, che tale rinnovazione è stata effettuata e che un secondo ricorso ex art.28 proposto dalla OOSS di categoria è stato respinto dal Giudice del Lavoro e non risulta che detto decreto sia stato opposto;
hanno precisato che Part,2 del CIA non trova applicazione al caso in esame in quanto il ricorrente non è mai stato destinatario di "movimentazione" all’interno del Gruppo Z. e che l’art.9 si applica ai trasferimenti individuali mentre nel caso in esame ricorre un’ipotesi di cessione di ramo d’azienda;
la I. inoltre rappresenta l’impossibilità di mantenere il ricorrente a Roma non avendo alcun ufficio in questa città;
nel corso dell’udienza del 3 luglio 2006 le parti hanno discusso il ricorso in contraddittorio tra loro e quindi" il Giudice si è riservato di decidere;
tanto premesso e rilevato che:
Con ricorso d’urgenza depositato il 18 gennaio 2006 il N. ha già contestato davanti a questo Tribunale la legittimità della cessione del ramo d’azienda dalla Z. alla I. chiedendo al Giudice di sospendere in via cautelare l’efficacia della cessione del suo contratto;
con ordinanza depositata in data 23.2.2006 il Giudice del Lavoro di Roma ha respinto la sua domanda ritenendo “valida ed efficace” la cessione del ramo d’azienda e non invocatile nel caso di specie l’art.2 CIA in quanto tale norma si applica solo in caso di cessione di aziende del gruppo a soggetti terzi mentre la I. è società inserita all’interno del gruppo Z.;
tale ordinanza è stata confermata dal Tribunale in sede di reclamo (ordinanza depositata il 25.5.2006) anche se con la precisazione che l’art.2 CIA effettivamente non trova applicazione ma per la diversa ragione che il ricorrente non aveva subito alcuno spostamento interno da una società all’altra del gruppo;
orbene è noto che l’istanza cautelare, ancorché respinta, ben può essere ripresentata dalla parte a condizione che sussistano elementi di fatto e di diritto nuovi non valutati (o valutabili) già nella precedente pronunzia giudiziale (art.669 sepities c.p.c.);
tale necessità risponde ad ovvie ragioni processuali; se fosse consentito ripresentare senza limiti le medesime istanze cautelari si finirebbe por registrare una (ipoteticamente infinita) riproposizione delle stesse domande alla ricerca del Giudice disposto ad accoglierle oppure al fine di integrare e correggere le stesse;
in difetto di questo elemento di novità la nuova domanda cautelare si configura dunque come una sorta di impugnazione della precedente decisione e come tale dovrebbe essere attuata con lo strumento tipico del reclamo;
nel caso in esame le due domande presentate dal N. sono identiche per quanto riguarda le questioni relative alla legittimità della cessione del ramo d’azienda e l’applicazione dell’art.2 CIA; differiscono tuttavia per quanto riguarda la circostanza che, dopo il rigetto della sua prima domanda (con lettera datata 9 maggio 2006 ma ricevuta il 12 maggio) la I. ha invitato il ricorrente a prendere servizio a Cagliari;
è solo rispetto a questa circostanza che appare dunque legittima la riproposizione della domanda cautelare mentre tutte le altre questioni sono precluse in quanto già oggetto di pronunzia in prima istanza ed in sede di reclamo;
fatta questa precisazione, la domanda appare fondata, almeno in questa fase di valutazione sommaria;
è infatti pacifico ed incontroverso che il ricorrente sia invalido al 100% in quanto affetto da atrofia muscolare spinale distale e che non sia autonomamente deambulante;
non può quindi dubitarsi che egli si trovi in una condizione di grave handicap ai sensi della legge 104/92 in quanto tale minorazione rende necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sua sfera individuale e relazionale (art.3 comma 3);
ai sensi dell’art33 comma 6 della legge citata la persona handicappata maggiorenne in condizione di gravità ha diritto di scegliere ove possibile la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede senza il suo consenso;
tale norma attua quella funzione di garanzia della dignità umana e di tutela dei diritti di libertà ed autonomia della persona handicappata, al fine di promuoverne la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nei lavoro e nella società, che la legge stessa sancisce all’art.1 come finalità primaria;
questa finalità induce a leggere anche l’art.33 comma 6 citato non in chiave formale ma sostanziale nel senso che il divieto di trasferimento del lavoratore gravemente handicappato senza il suo consenso deve ritenersi operante quale che sia lo strumento giuridico mediante il quale il trasferimento stesso viene attuato;
in altre parole ritiene il Giudice che la norma ponga un presidio di tutela del lavoratore gravemente handicappato invocabile in ogni caso di spostamento della sua sede di lavoro e quindi sia nel caso di trasferimento individuale ai sensi dell’art.2103 c.c. sia nelle altre ipotesi nelle quali tale spostamento sia frutto di diverse operazioni negoziali come la cessione del ramo d’azienda;
del resto l’art.47 della legge 428/90 espressamente prevede che in caso di trasferimento d’azienda il lavoratore ceduto conservi il diritto al trattamento normativo ed economico che aveva presso il cedente e che dunque possa far valere nei confronti del cessionario i diritti che poteva reclamare dal cedente;
nel caso in esame quindi, pur ritenendo legittima, come del resto ripetutamente è stato chiarito dalle varie pronunzie giudiziali, comprese quelle ex art.28 legge 300/70, la cessione del ramo d’azienda attuata tra la Z. e la I. e quindi non contestabile il passaggio del ricorrente a tale seconda società ritiene il Giudice, che in considerazione della situazione di grave handicap nel quale si trova, il N. abbia diritto a non essere allontanato dal luogo
ove lavorava per la Z. e quindi a proseguire il rapporto di lavoro a Roma;
la circostanza che la I. non abbia propri uffici a Roma non può determinare la violazione di un diritto individuale sancito dalla legge e rispondente ad un’alta esigenza di tutela delle persone meno fortunate;
ricorre anche il periculum in mora che deve ravvisarsi nel grave pregiudizio personale cui il ricorrente sarebbe esposto ove fosse tenuto a trasferirsi a Cagliari, lontano dai genitori che lo assistono e potendo contare solo sulla ridotta retribuzione del suo contratto dì lavoro part-time;
il ricorso quindi dovrà essere accolto nei confronti della I.;
le spese della presente procedura saranno liquidate nella sentenza di merito;
per questi motivi
II Giudice del Lavoro, così provvede:
Sospende in via cautelare l’assegnazione del ricorrente a Cagliari ed ordina alla I. s.r.l di proseguire il rapporto di lavoro con il ricorrente a Roma, con il medesimo trattamento economico e normativo in essere;
Rimanda alla sentenza di merito la decisione in ordine alle spese della presente procedura;
Fissa per la discussione del merito l’udienza del 4 dicembre 2006 ore 11.40;
Dispone che il presente provvedimento aia comunicato alle parti costituite a cura della Cancelleria,
Così deciso in Roma, l’11 luglio 2006
Il Giudice del Lavoro
***************
Depositato in cancelleria
Roma, 11.07.2000
TRIBUNALE DI ROMA
Sezione Lavoro
II Tribunale di Roma, Sezione feriale, composto dai Giudici:
Dr. ******************* – Presidente
Dr. ************* – Giudice
Dr. ********************* – Giudice relatore
A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 10.08.2006 nella procedura n. 50811/2006 R.G. promossa con reclamo depositato il 20.7.2006 e instauratasi tra:
I. S.R.L, – assistita dagli avv.ti ***** e ******************** del foro di Milano e dall’avv. ************* del foro di Roma
e
N. E. – rappresentato e difeso dall’avv. ********************
ha emesso la seguente
ORDINANZA
La reclamante, già cessionaria del ramo d’azienda "back office" da parte di Z. s.p.a. al quale era addetto *****, passato dunque alle proprie dipendenze, lamenta che l’ordinanza ex art. 700 c.p.c. con cui, in accoglimento del ricorso, è stata disposta la sospensione cautelare del trasferimento del lavoratore a Cagliari – avvenuto con comunicazione del 9.5.2006 – è viziata perché:
1) non avrebbe ritenuto inammissibile il ricorso ex art. 700 cpc del N., avendo reputato l’impugnativa del trasferimento a Cagliari una questione nuova rispetto al precedente ricorso cautelare presentato dal medesimo lavoratore al fine di contestare la legittimità della cessione del ramo d’azienda, e coma tale non preclusa; in proposito la reclamante sostiene che “l’invito a prendere servizio costituisce una semplice conseguenza della declaratoria della legittimità della cessione del ramo d’azienda" e delle altre questioni già sollevate dal lavoratore;
2)avrebbe violato nel merito l’art. 41 Cost. ed erroneamente applicato l’art. 33 co. VI L. 104/’92, in quanto avrebbe "ritenuto che la circostanza (pacifica) secondo cui la società cessionaria non abbia uffici a Roma ed ivi non eserciti alcuna attività non possa essere considerata in alcun modo", mentre invece siffatta decisione si pone in contrasto col principio della libertà dell’iniziativa economica privata e col divieto di interpretazione estensiva dell’art. 33 citato; inoltre la necessità del consenso dell’invalido al trasferimento atterrebbe alla materia dei trasferimenti individuali e non riguarderebbe la diversa fattispecie del trasferimento del ramo d’azienda.
Il primo motivo di reclamo non è fondato.
Invero, osserva il Collegio che le argomentazioni spese in proposito dal Giudice di prime cure sono pienamente condivisibili e non ravvisano valide ragioni per discostarsene.
Ed infatti, la precedente fase cautelare attivata dal N. con ricorso ex art. 700 c.p.c. e col successivo reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. aveva avuto ad oggetto unicamente la sospensione dell’efficacia della cessione del contratto di lavoro del ricorrente e dell’intero ramo d’azienda ad I. s.r.l. senza che fosse stato dedotto alcunché in ordine al trasferimento della sede di lavoro (che peraltro è stato disposto nelle more tra l’udienza collegiale del 3.5.2006 ed il deposito dell’ordinanza sul reclamo del 25.5.2006).
Orbene non può negarsi che il trasferimento del lavoratore ceduto dall’originaria sede di lavoro ad altra sede indicata dalla datrice di lavoro cessionaria costituisca una circostanza nuova ed autonoma, di per sé ontologicamente distinta dal fatto-cessione, sicché l’odierna procedura, riguardando fatti nuovi mai prima dedotti sia pure solo ipotizzabili, non valutati né valutabili e perciò non coperti dal pregresso giudicato cautelare tra le parti, è pienamente ammissibile.
Quanto al secondo motivo del reclamo, esso è fondato e deve essere accolto.
Va osservato innanzitutto che non si ravvisano nel sistema normativo disposizioni specifiche o principi generali ostativi all’applicazione ai lavoratori trasferiti a seguito di cessioni d’azienda o di rami d’azienda delle norme a tutela dei lavoratori portatori di handicap, identica apparendo la ratio e affine la situazione di fatto che ne costituisce il presupposto.
Infatti, tanto nel caso di trasferimento del singolo dipendente quanto nel caso di cessione dell’azienda o di un suo ramo, sussiste l’esigenza, profondamente avvertita dal legislatore del 1992 e del 2000 (L. 104/92 e L. 53/2000) di non sacrificare le esigenze del lavoratore invalido a quelle produttive, nell’intento di contemperare la libera iniziativa privata con principi di solidarietà sociale: il diritto alla conservazione del trattamento economico e normativo che il lavoratore ceduto aveva presso il cedente, previsto dall’art. 47 L. 428/90, aggiunge al principio generale su esposto ulteriori ragioni che confortano nella medesima interpretazione.
Il disposto dell’art. 33 VI co, secondo cui “la persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità (…) ha diritto di scegliersi ove possibile la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede senza il suo consenso”, pertanto, deve e può trovare applicazione anche alla fattispecie de quo.
Tuttavia, ritiene il Collegio che quanto sostenuto dal Giudice di prime cure con riferimento alla valutazione della circostanza dell’assenza di sedi di lavoro di I. in Roma, non sia condivisibile.
Ed infatti, una volta che la cessione del ramo d’azienda sia stata ritenuta valida ed efficace e che il N. sia passato alle dipendenze della società reclamante – la quale pacificamente non dispone di uffici in Roma – il diritto di quest’ultimo al mantenimento della sede di lavoro che occupava presso la Z. s.p.a. è destinato a cedere di fronte alla materiale impossibilità di I. s.r.l. di ottemperare all’obbligo posto a proprio carico.
L’inesistenza dell’oggetto (la sede di lavoro in Roma) opera quale circostanza impeditivi ab origine dell’adempimento al pari dell’impossibilità della prestazione, e preclude certamente al lavoratore di soddisfare il proprio diritto: non si vede infatti in quale modo la società possa mantenere il N. in una sede dove non dispone di uffici o dipendenze, se non imponendole la creazione ad hoc di una struttura operativa nella quale inserire quell’unico lavoratore.
Simile soluzione, certamente non voluta dal legislatore, è stata esclusa dalla più accreditata giurisprudenza di legittimità alla quale il Collegio ritiene di aderire, la quale in materia di applicazione della L. 104/’92 ha più volte evidenziato che la tutela delle persone affette da handicap non può realizzarsi in modo da ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro (Cass. nr. 8436 del 2003; Cass. nr. 12692 del 2002).
Da quanto sin qui evidenziato, deve discendere che, in accoglimento del reclamo, l’ordinanza impugnata dev’essere riformata ed il ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato da N.E. il 6.6.2006, respinto.
La complessità e la delicatezza della vicenda trattata, desumibile anche dalla difformità di orientamenti, giustifica la compensazione integrale delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso ex art. 700 c.p.c.
Compensa integralmente tra le parti le spese della procedura.
Roma, 10.8.2006
Depositato in cancelleria
Roma, 11.8.2006
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