È quanto chiarito dal Tribunale di Treviso nella sentenza del 30 novembre 2018, n. 2395.
La sentenza n. 2395 del 30 novembre 2018
Nella vicenda in esame, il Tribunale era chiamato a pronunciarsi in merito ad un’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da un creditore nei confronti di una società a responsabilità limitata che, nell’ambito di una sorta di “passaggio generazionale”, era di fatto subentrata nell’esercizio dell’azienda in passato gestita da un’impresa individuale.
Secondo il Giudice l’impresa individuale e la società avevano realizzato una “cessione d’azienda occulta”, desumibile sulla base di plurime presunzioni, ritenute gravi, precise e concordanti, ovvero: l’identità della ditta; l’identità della sede; l’esercizio di attività sostanzialmente similari; l’utilizzo dei medesimi recapiti e di un dominio internet originariamente registrato dall’impresa individuale poi utilizzato dalla società, nel quale, tra l’altro, erano elencati i lavori eseguiti dall’impresa individuale con conseguente godimento da parte della società dell’avviamento di quest’ultima; il licenziamento da parte dell’impresa individuale di tutti i dipendenti, in gran parte riassunti senza soluzione di continuità dalla società; la mancata contestazione da parte della società delle lettere di diffida alla stessa inviate dal creditore prima di avviare l’azione giudiziaria.
Il Tribunale, inoltre, ha precisato che, per costante giurisprudenza, “l’art. 2556, primo comma, cod. civ., ove prescrive la Forma scritta “ad probationem” per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di azienda, opera solo con riguardo alle parti contraenti e non è applicabile ai terzi, da parte dei quali la prova del trasferimento dell’azienda non è soggetta ad alcun limite (e, quindi, può essere data anche con testimonianze e presunzioni) (Cass. 6071/1987)”.
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Il criterio formare dell’iscrizione dei debiti
La sentenza ha, infine, chiarito che in caso di cessione occulta d’azienda non si può ritenere applicabile l’art. 2560, comma 2, cod. civ. (peraltro neppure invocato dalla società), non potendosi applicare il criterio formale dell’iscrizione dei debiti nelle scritture contabili del cedente in difetto, per l’appunto, di cessione formalizzata.
In accoglimento della domanda formulata dal creditore, il Tribunale di Treviso ha così confermato il decreto ingiuntivo opposto, ribadendo la responsabilità della società per il debito sorto nel corso dell’esercizio dell’azienda da parte dell’impresa individuale.
La pronuncia richiamata è rilevante in quanto riconosce tutela ai quei creditori che, proprio malgrado, subiscono una compromissione del proprio diritto a seguito di operazioni deformalizzate poste in essere dai debitori, sussumibili di fatto nell’alveo delle cessioni d’azienda.
Le cessioni aziendali
Le cessioni aziendali costituiscono, infatti, un evento straordinario nell’esercizio dell’attività di impresa e possono essere riconducibili tanto ad iniziative pienamente legittime (es. per ragioni di investimento, sviluppo dell’azienda, cessazione dell’attività, passaggi generazionali, ecc.) quanto a situazioni elusive finalizzate a salvaguardare il patrimonio aziendale in pregiudizio però dei creditori.
Proprio per evitare tale spiacevole conseguenza l’art. 2560, cod. civ., prevede una duplice tutela:
– da un lato l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi abbiano consentito (comma 1),
– dall’altro lato nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (comma 2).
Il primo comma dell’art. 2560, cod. civ., sostanzialmente replica, nello specifico, la generale tutela codicistica approntata per tutte quelle situazioni in cui si verifica una sostituzione del debitore originario con altro soggetto (es. delegazione, espromissione, accollo); il secondo comma introduce una forma di accollo cumulativo ex lege, attribuendo ai creditori dell’azienda una tutela allorché si verifichi, con riguardo alla figura dei debitori, una successione a titolo particolare o universale e o una novazione soggettiva senza la partecipazione dei creditori medesimi.
In merito proprio alla disposizione di cui all’art. 2560, comma 2, cod. civ., non è infrequente negli atti di cessione d’azienda la pattuizione volta ad escludere dalla cessione stessa i debiti maturati in precedenza dall’alienante. Siffatta pattuizione ha, certamente, efficacia tra alienante e cessionario nel senso di riconoscere a quest’ultimo, sostanzialmente, il diritto ad essere tenuto manlevato ed indenne dal primo nel caso di pagamenti di debiti imputabili alla pregressa gestione; essa non ha, invece, effetti nei confronti dei terzi (cfr. ex multis Cass. Civ., Sez. I, Sent., 09.10.2017, n. 23581), non potendo invero derogare alla previsione codicistica, con la conseguenza per cui alienante e cessionario inevitabilmente rispondono in solido dei debiti risultanti dai libri contabili.
Capita però, come detto, che si verifichino situazioni nelle quali la posizione dei creditori è compromessa da operazioni sostanzialmente sussumibili nella cessione d’azienda, che non trovano realizzazione nelle forme imposte dall’ordinamento. A riguardo, infatti, l’art. 2556, cod. civ., prescrive la forma scritta ad probationem per il contratto di trasferimento dell’azienda, nonché l’obbligo di deposito per l’iscrizione al registro delle imprese di tale contratto allorché sia redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Ciononostante le parti possono addivenire all’effetto del trasferimento dell’intera azienda o di parte di essa mediante la cessione di singoli beni o diritti, la cessione della clientela, la successione nei singoli contratti, il subentro nell’attività, ecc.
In queste situazioni il trasferimento è del tutto deformalizzato e, pertanto, per i creditori dell’alienante si verifica un vulnus difensivo, colmato dalla sentenza in esame, che peraltro ha esteso la portata dell’art. 2560, comma 2, cod. civ., i cui limiti, legati all’iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori, non sono neppure invocabili dal cessionario.
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