La mediazione chiama e la giurisprudenza risponde.
A fronte della circostanza, spesso lamentata dai pochi sostenitori dell’istituto, che i giudici opporrebbero (anch’essi, oltre agli avvocati) resistenza alla mediazione civile e commerciale, un filo rosso collega alcuni importanti arresti della giurisprudenza di merito, che muovono in direzione opposta, a favore dell’istituto. E’ noto che la l. 28/2010, con i suoi successivi mutamenti, rappresenta una scommessa del legislatore italiano su forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie. Per invogliare (rectius obbligare) l’utilizzo del “nuovo strumento” si è prevista l’obbligatorietà dell’istanza di mediazione (e dell’incontro informativo) da parte di chi si accinge ad agire in giudizio; è un’obbligatorietà relativa – va detto – atteso che in mancanza di questo passaggio procedimentale si produce un mero effetto sanzionatorio (dunque non del tutto preclusivo di un’iniziativa processuale “tradizionale”) qual è quello del pagamento di una sanzione pecuniaria per un importo pari a quello del contributo unificato. Dire che la scelta sia stata efficace, o addirittura strategica, è ipotesi peregrina: sembra che la previsione non invogli nessuno a “brandire l’arma della conciliazione”, così come sembra che la sanzione non spaventi nessuno. Accade così che l’afflusso agli organismi di mediazione registri, con l’incedere dei mesi, preoccupanti frenate ed episodici arresti.
Non si perda la speranza (di chi crede nella mediazione). Uno degli snodi fondamentali per il (buon) funzionamento dell’istituto è rappresentato dall’indagine sull’avveramento della condizione di procedibilità, consistente appunto nell’esperimento del tentativo di conciliazione, ai fini dell’avvio del giudizio nelle materie oggetto di mediazione obbligatoria. Proprio su questo si registrano importanti novità nell’applicazione della normativa.
Non si danno facilmente casi in cui si adisca l’autorità giudiziaria senza aver esperito il tentativo di mediazione; del resto, ove ciò accadesse, si incorrerebbe prevedibilmente nella c.d. mediazione delegata, deferita dal giudice per garantire il rispetto delle condizioni di legge.
Più problematico è l’atteggiamento di chi viene chiamato in mediazione; in particolare, la condotta della parte invitata va presa in esame al fine di valutare l’avveramento della condizione di procedibilità prevista per legge, e sanzionata, con il pagamento di una somma pari al contributo unificato, a titolo di mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione.
L’acme dell’indirizzo giurisprudenziale rigorista (cioè favorevole all’istituto mediatizio) è assai vicina: il Tribunale Roma ha recentemente chiarito (due settimane or sono) che «Il contatto delle parti con il mediatore mediante fax, telegramma et similia non integra la condizione di procedibilità prevista dalla norma» (sez. XIII Civile, sent. 29/9/2014).
La stessa sentenza indica come approcciarsi all’ipotesi in cui non vi sia alcun incontro (delle parti e/o dei loro avvocati) con il mediatore: secondo «un’interpretazione piana e del tutto coerente con lo spirito delle norme … [occorre ritenere che] laddove non vi sia un incontro (delle parti e/o dei loro avvocati) con il mediatore non si possa considerare realizzata la condizione di procedibilità della domanda. … Il citato art. 2 bis dell’art. 5 decr. Lgls 28/10 come modificato dal d.l. 96/2013 prevede al fine di considerare avverata la condizione di procedibilità che si sia verificato almeno un primo incontro dinanzi al mediatore sia pure conclusosi senza l’accordo. Poiché solo con acrobazie dialettiche si potrebbe parificare l’incontro (fisico) di cui parla la norma ad un incontro solo cartaceo, qual è quello che si determina, come nel caso in esame, in presenza di missive, telegrammi, fax o simili, inviati, dalle parti resistenti, al mediatore, si deve affermare con certezza che in questo secondo caso, che è quello che qui interessa, non si sia realizzata la condizione di procedibilità prevista dalla legge».
Si rende opportuno aggiungere, sempre sulla scorta di significative sentenze di merito, che il comportamento della parte invitata, in relazione alla chiamata in mediazione, non può essere dettato dalla mera volontà della stessa di aderire o no alla conciliazione, atteso che «Le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1 bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lg. 28/10 (e succ. mod.) sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previste a pena di improcedibilità dell’azione; difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa» (così Tribunale Firenze, sez. III, 17/3/2014). Inoltre, la giurisprudenza di merito ha espressamente chiarito che la mancata ed ingiustificata (nel senso appena chiarito) partecipazione al primo incontro comporta l’inflizione di una sanzione automatica da parte del giudice, possibile anche quando la parte convenuta adduca l’erroneità della tesi avversa e pertanto l’inutilità della propria partecipazione al tentativo di mediazione (Tribunale Roma, sent. 1390/2012). Ad ulteriore censura di comportamenti illegittimi, sotto il profilo dell’intento dilatorio e della scarsa collaborazione alla risoluzione della controversia, si sono applicati gli istituti della resistenza temeraria (Tribunale Roma, sent. 4140/2014) e della lite temeraria (Tribunale Santa Maria Capua Vetere, sent. 23/12/2013).
Resta ferma, peraltro, la possibile valutazione del comportamento della parte come argomento di prova nel successivo giudizio, ex art. 116 co. 2 c.p.c., che in questo contesto assume espresso rilievo ex art. 8, comma 4-bis, d. Lgs. 28/2010.
Cosa aggiungere? Di più, forse, non si poteva dire, nello spirito di un rigore esegetico che vuole vivificare predicati normativi dismessi nella prassi.
Purtroppo, a chi vive oggi gli incontri di mediazione non sfugge la constatazione che l’approccio è spesso superficiale, connotato da sfiducia e talvolta vissuto con la scaltrezza di “rubare” alla parte istante informazioni utili all’instaurando processo; altro, nell’esperienza quotidiana, non si chiede alla mediazione.
La giurisprudenza, nel tracciare un percorso coerente di valorizzazione dell’istituto, pone le premesse per una diversa cultura della conciliazione, forse alimentata dalla paura della sanzione automatica; ma la sanzione automatica cosa è, in realtà, se non il simbolo di una caparbia fiducia nelle possibilità dell’istituto?
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