Clausola che impedisce l’apertura di un ambulatorio per stranieri nel caseggiato

La clausola di natura contrattuale che impedisce l’apertura di un ambulatorio per stranieri nel caseggiato non è sempre opponibile ai terzi acquirenti

Riferimenti normativi: art. 1138 c.c.

Precedenti giurisprudenziali: Corte di cassazione – sez. II, sentenza n. 25139 del 08/10/2019

Indice:

  1. La vicenda
  2. La questione
  3. La soluzione
  4. Le riflessioni conclusive

La vicenda

Una fondazione aveva acquistato un’unità immobiliare facente parte di un caseggiato, disposta su due piani, seminterrato e interrato, collegati da una scala interna; successivamente, per dare attuazione ai propri scopi statutari, dava i locali in comodato ad un’associazione per la volontaria assistenza socio sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri rom e sinti. La comodataria dava corso ad una ristrutturazione dell’immobile per destinarlo ad ambulatorio medico; tuttavia gli altri condomini si mostravano contrari all’apertura dell’ambulatorio e con delibera assembleare decidevano di non autorizzare la destinazione d’uso delle unità immobiliari ad ambulatorio medico per extracomunitari non in regola e non in possesso del permesso di soggiorno, per contrarietà all’art. 3 del regolamento. Tale norma vietava qualsiasi attività dei condomini nelle proprietà esclusive che fosse incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità degli altri condomini o con il decoro dell’edificio e con la sua sicurezza. Per la fondazione – che impugnava la menzionata delibera condominiale – il regolamento non gli era opponibile in quanto non trascritto nei registri immobiliari, e la clausola sopra detta era stata erroneamente interpretata. Il Tribunale dichiarava la nullità dell’impugnata deliberazione assembleare nella parte concernente la destinazione d’uso dell’unità immobiliare dell’attrice. Tale regolamento, precisava il Tribunale, non risultava trascritto, né il titolo d’acquisto della fondazione conteneva alcuno specifico riferimento ad esso, limitandosi ad affermare come alla compratrice competesse la proporzionale quota di comproprietà sulle parti comuni dell’edificio. La Corte di appello, preso atto della mancata trascrizione del regolamento condominiale, riteneva quest’ultimo opponibile alla fondazione in forza dei richiami ad esso contenuti nell’atto di acquisto della stessa. Tuttavia, in considerazione del notevole accesso di persone nell’ambulatorio e dell’attitudine di questo a divenire luogo di incontro e di aggregazione tra extracomunitari irregolari ed anche nomadi, i giudici di secondo grado ritenevano che l’ambulatorio fosse lesivo delle esigenze di tranquillità dei condomini e, quindi, violasse il regolamento. L’associazione ricorreva in cassazione.

La questione

La clausola di natura contrattuale che impedisce l’apertura di un ambulatorio nel caseggiato non è sempre opponibile ai terzi acquirenti?

La soluzione

Dopo alterne vicende processuali, la Cassazione dava torto ai condomini. Secondo i giudici supremi, infatti, le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio volte a vietare lo svolgimento di determinate attività costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione.

Le riflessioni conclusive

La sentenza della Cassazione consolida quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui le clausole limitative del diritto di destinazione delle singole unità immobiliari rientrano nella categoria delle servitù (reciproche) atipiche con la conseguenza che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti (cioè quelli successivi al primo acquirente che ha acquistato direttamente dal costruttore -venditore) deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù, mediante l’indicazione, in apposita nota delle specifiche clausole che vietano determinate attività o pregiudizi, non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale contenuto nel rogito di acquisto.

Di conseguenza, qualora tali clausole limitative siano inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell’edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un’unità immobiliare e delle clausole che limitano l’uso delle abitazioni dei singoli condomini (creando vincolo reale reciproco), si determina l’opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, cioè ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente; successivamente, in occasione delle vendite delle altre unità immobiliari, non sarà sufficiente richiamare il regolamento di condominio, ma sarà necessaria una ulteriore trascrizione per le clausole che impongono le servitù.

In assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono altrimenti soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d’acquisto.

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Sentenza collegata

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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