È valido il divieto sine die di destinare gli appartamenti e gli altri enti dello stabile a uso diverso da quello figurante nel rogito di acquisto contenuto in una clausola di natura contrattuale del regolamento?
riferimenti normativi: art. 1138 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass., sez. III, Sentenza n. 1735 del 25/01/2011
Per approfondimenti: Le verifiche di conformità per la commercializzazione degli immobili
Indice
1. La vicenda
Una società condomina impugnava ex art. 1137 c.c. la delibera dell’assemblea che le aveva impedito di destinare ad asilo nido l’unità immobiliare di sua proprietà; in particolare l’immobile dell’attore era stato locato alla conduttrice per uso, appunto, di asilo nido, ludoteca e centro per famiglie e bambini. L’assemblea condominiale, nell’impugnata delibera, aveva evidenziato che il divieto, contenuto nell’art. 9 del regolamento di condominio, consisteva nel non destinare gli appartamenti e gli altri enti dello stabile ad uso diverso da quello figurante nel rogito di acquisto; lo stesso articolo vietava di destinare gli alloggi ad uso sanitario, gabinetti di cura, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, scuole di musica, di canto, di ballo e pensioni.
L’attrice pretendeva che detta norma del regolamento fosse dichiarata nulla.
Tenendo conto dei divieti regolamentari, il convenuto condominio – che si costituiva in giudizio – proponeva domanda riconvenzionale per ottenere la condanna dell’attrice a cessare la destinazione asilo nido dei locali di proprietà della stessa, nonché al risarcimento dei danni. A fronte di tale riconvenzionale, la locatrice condomina chiamava in causa il conduttore per essere tenuta indenne in caso di condanna al risarcimento dei danni. Il conduttore nel costituirsi proponeva a sua volta domanda risarcitoria contro la locatrice, per non avere la stessa garantito l’idoneità dell’immobile locato alla destinazione pattuita nel contratto di locazione.Il Tribunale dava ragione al condominio e condannava locatore e conduttore alla immediata cessazione dell’attività di asilo nido, giacché contraria al regolamento di condominio. La sentenza di primo grado rigettava poi
la domanda dell’attrice diretta a far dichiarare nullità della clausola regolamentare, nonché la domanda risarcitoria del condominio; respingeva poi tutte le altre domande. La Corte di Appello confermava la decisione di primo grado. Secondo la stessa Corte l’attività di asilo nido privato, esercitata dalla conduttrice, comportava sia un mutamento della destinazione d’uso (espressamente vietato) sia lo svolgimento di una delle attività specificamente vietate dal regolamento essendo l’asilo una scuola dove si pratica notoriamente anche musica e canto oltre ad altre attività didattiche che, per l’affollamento dell’utenza, comportano quelle condizioni di rumorosità che la norma regolamentare intendeva del tutto vietare.
In ogni caso la Corte d’Appello faceva presente che la chiamata in garanzia della conduttrice ad opera della stessa locatrice aveva “esteso il contraddittorio” in ordine alla pretesa del condominio, il che bastava a giustificare la condanna solidale delle due società.
La conduttrice ricorreva in cassazione ponendo dubbi sulla validità e opponibilità al locatore della clausola del regolamento in questione.
2. La questione
È valido il divieto sine die di destinare gli appartamenti e gli altri enti dello stabile ad uso diverso da quello figurante nel rogito di acquisto contenuta in una clausola di natura contrattuale del regolamento?
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3. La soluzione
La Cassazione ha dato sostanzialmente ragione alla conduttrice. I giudici supremi hanno notato, tra l’altro, che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva, contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche. Secondo la Cassazione la costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa, allora, una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, seppur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può risolversi nella totale elisione delle facoltà di disposizione del fondo servente, precludendo al titolare dello stesso ogni possibile mutamento di destinazione. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio della causa alla Corte di Appello in diversa composizione.
4. Le riflessioni conclusive
Le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca. Ne consegue che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica. Tali disposizioni esorbitano dalle attribuzioni dell’assemblea, alla quale è conferito il potere regolamentare di gestione della cosa comune, provvedendo a disciplinarne l’uso e il godimento (Cass. civ., Sez. II, 15/02/2011, n. 3705). Inoltre, trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze, e non possono quindi dar luogo ad un’interpretazione estensiva delle relative norme (Cass. civ., Sez. II, 1/10/1997, n. 9564). Come ricorda la sentenza in commento, però, la servitù è un “diritto reale speciale”, sicché il contenuto di essa, ove il peso imposto consista in un non facere, non può mai essere un indeterminato divieto di astensione da ogni diversa destinazione all’utilizzazione del fondo servente, che ne svuoti la proprietà.
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Andrea Ferruti | Maggioli Editore 2021
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