Approfondimento sulle clausole vessatorie e sull’eterointegrazione nell’ambito del contratto del consumatore.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile: La Riforma Cartabia della giustizia civile
Indice
1. Giustizia contrattuale
Il legislatore del 1942, nel costruire la disciplina del contratto in generale, ha dato primario rilievo all’autonomia negoziale delle parti, presumendo che le stesse siano dotate della medesima forza contrattuale. In ragione di ciò, il primario obiettivo della normativa vigente è rappresentato dalla necessità di garantire una corretta e libera formazione della volontà, la quale è idonea a preservare la stabilità del contratto, anche laddove possa risultare iniquo e squilibrato. La giustizia contrattuale non rappresenta un obiettivo per il legislatore codicistico, pertanto la caducazione del contratto può verificarsi solo in circostanze specifiche ed eccezionali, quali sono gli eventi (perturbatori dell’originario equilibrio negoziale) presi in considerazione dai rimedi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) o dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1463 c.c.) [1].
Le brevi considerazioni svolte con riferimento a quello che comunemente viene chiamato “primo contratto” sono destinate ad essere sovvertite e disattese quando viene in rilievo la figura del consumatore e, quindi, il “secondo contratto”.
Lo scopo della normativa consumeristica, così come emerge già dall’art. 2 D.Lgs. n. 206 del 2005, si identifica nella necessità di garantire la correttezza, la trasparenza e l’equità nei rapporti contrattuali, in ragione della diversa prospettiva del legislatore europeo, secondo la quale vi è una fisiologica sperequazione dei poteri contrattuali del consumatore rispetto a quelli del professionista. Questa inevitabile alterazione della forza negoziale è la logica conseguenza dell’asimmetria informativa, che caratterizza la relazione tra il consumatore e il professionista.
Tutta la disciplina consumeristica mira, dunque, a compensare quell’asimmetria informativa, destinata a sfociare anche in un’asimmetria giuridica.
La disciplina delle clausole vessatorie, dapprima inserita all’interno del codice civile (artt. 1469 bis e ss. c.c.) e poi trasfusa nel Codice del Consumo, ha rappresentato la prima e anche la più significativa risposta alle esigenze di tutela del consumatore.
L’art. 33 del Codice del Consumo considera vessatorie le clausole che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, facendo così emergere la centralità che in materia ricopre la giustizia contrattuale e, più nello specifico, l’equilibrio normativo del contratto, riservando, solo in casi eccezionali, rilevanza allo squilibrio economico dello stesso (art. 34 Cod. consumo).
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile:
La Riforma Cartabia della giustizia civile
Aggiornata ai decreti attuativi pubblicati il 17 ottobre 2022, la presente opera, che si pone nell’immediatezza di questa varata “rivoluzione”, ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile. Analizzando tutti i punti toccati dalla riforma, il volume tratta delle ricadute pratiche che si avranno con l’introduzione delle nuove disposizioni in materia di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nonché di processo di cognizione e impugnazioni, con uno sguardo particolare al processo di famiglia, quale settore particolarmente inciso dalle novità. Un focus è riservato anche al processo del lavoro, quale rito speciale e alle nuove applicazioni della mediazione e della negoziazione assistita, che il Legislatore pare voler nuovamente caldeggiare. Francesca SassanoAvvocato, è stata cultrice di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Bari. Ha svolto incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione ed è legale accreditato presso enti pubblici e istituti di credito. Ha pubblicato: “La nuova disciplina sulla collaborazione di giustizia”; “Fiabe scritte da Giuristi”; “Il gratuito patrocinio”; “Le trattative prefallimentari”; “La tutela dell’incapace e l’amministrazione di sostegno”; “La tutela dei diritti della personalità”; “Manuale pratico per la protezione dell’incapace”; “Manuale pratico dell’esecuzione mobiliare e immobiliare”; “Manuale pratico delle notificazioni”; “Manuale pratico dell’amministrazione di sostegno”; “Notifiche telematiche. Problemi e soluzioni”.
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2. Le clausole vessatorie
Le clausole vessatorie vengono distinte a seconda della loro appartenenza alla lista c.d. grigia (art. 33, co. 2, Cod. consumo), ovvero alla lista c.d. nera (art. 36, co. 2, Cod. consumo). Le prime sono solo presunte come vessatorie, ragion per cui spetta al professionista, in virtù dell’inversione dell’onere della prova, dimostrare che la clausola riproduce una disposizione di legge o che la stessa sia stata oggetto di trattativa individuale (art. 34 Cod. consumo) [2].
Diversamente, le clausole contenute nella c.d. lista nera sono vessatorie e quindi nulle anche ove venga dimostrata la trattativa individuale. In altri termini, la vessatorietà di quest’ultime non ammette prova contraria.
Le clausole dimostratesi abusive sono nulle e tale patologia opera soltanto a vantaggio del consumatore, ma può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice (art. 36 Cod. consumo), il quale però potrà dichiararla in sentenza solo in assenza di opposizione del consumatore (Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26242 del 2014).
La nullità delle clausole vessatorie si caratterizza per essere una nullità c.d. di protezione [3] e relativa, ovvero a legittimazione ristretta, visto che può essere fatta valere solo dal contraente debole.
Risulta essere, inoltre, una nullità tendenzialmente parziale in quanto il vizio della clausola non è idoneo a ripercuotersi sull’intero contratto, il quale, di conseguenza, “rimane valido per il resto”, come espressamente previsto dall’art 36 comma 1 del Codice del Consumo.
3. Clausole vessatorie ed eterointegrazione: impostazione tradizionale
La disciplina consumeristica, nella misura in cui stabilisce che le clausole vessatorie sono nulle mentre il resto del contratto rimane valido, tradizionalmente è stata interpretata dalla Corte di Giustizia, e di conseguenza dalla giurisprudenza nazionale, nel senso di non consentire al giudice di poter integrare il contratto, sostituendo o riscrivendo il contenuto della clausola abusiva. In altri termini, la disciplina consumeristica, per come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria, non consentirebbe al giudice lo svolgimento di un’attività di eterointegrazione legale o giudiziale del contratto.
Si è sempre osservato che, ove fosse permesso al giudice di modificare o sostituire la clausola abusiva, si rischierebbe di compromettere l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti tramite la pura disapplicazione della stessa. I professionisti, infatti, potrebbero essere indotti ad inserire nei contratti clausole vessatorie, sapendo che, anche ove fossero dichiarate invalide, il contratto potrebbe essere integrato, in modo da preservare almeno in parte i loro interessi.
In definitiva, secondo l’impostazione tradizionale, la normativa in materia di clausole vessatorie ha un duplice obiettivo. In primo luogo, serve a tutelare il consumatore che si trova in una situazione di inferiorità conoscitiva e di forza contrattuale, impedendo per tali ragioni che la clausola abusiva possa produrre effetti vincolanti per lo stesso. In aggiunta, mira a dissuadere i professionisti dalla predisposizione, all’interno del regolamento contrattuale, di clausole abusive. Tale ultimo scopo viene efficacemente raggiunto solo attraverso l’“amputazione” della clausola dal contratto, il quale è destinato a rimanere valido e vincolante così come si presenta all’esito della disapplicazione.
4. Giurisprudenza euro-unitaria recente
La nettezza delle conclusioni tracciate dalla Corte di Giustizia rispetto alle conseguenze derivanti dall’operatività della nullità di protezione, parziale e relativa, sono state messe in discussione dai giudici nazionali nel momento in cui si sono trovati dinanzi a regolamenti negoziali inidonei a restare in piedi senza la clausola abusiva. In presenza di simili situazioni, gli stessi sarebbero stati chiamati a ritenere invalido l’intero contratto, secondo il meccanismo descritto dall’art. 1419 comma 1 c.c., in forza del quale “la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”.
In altri termini, in presenza di una clausola, pur vessatoria, ma essenziale, la nullità parziale non può che finire per investire l’intero contratto.
Nonostante la sua giuridica ammissibilità, tale soluzione rischia di compromettere la realizzazione degli obiettivi sottesi alla disciplina delle clausole vessatorie. Caducare l’intero contratto potrebbe infatti giovare al professionista e, contestualmente, esporre il consumatore a conseguenze eccessivamente dannose, dal momento che l’invalidazione del contratto nella sua interezza aprirebbe la strada alle restituzioni.
Non è un caso che tali problematiche si siano poste con più frequenza in occasione della stipula di contratti di mutuo, la cui integrale caducazione imporrebbe al consumatore di subire la gravosa conseguenza di dover restituire immediatamente l’intero capitale preso in prestito.
In questo contesto sono state sollevate diverse questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia, grazie alle quali la stessa è stata indotta a rivedere il rigore della propria impostazione tradizionale.
Dapprima i giudici sovranazionali hanno ammesso la possibilità che il giudice nazionale possa sostituire la clausola abusiva, valutata in concreto come essenziale, con una disposizione suppletiva del diritto interno [4].
In un secondo momento, la giurisprudenza interna si è posta l’interrogativo su come procedere nel caso in cui non sia presente nell’ordinamento interno una norma suppletiva idonea a sostituire la clausola vessatoria. La Corte di Giustizia, in sede di rinvio pregiudiziale, ha risolto il problema ritenendo che la disciplina comunitaria non osti alla possibilità del giudice di rinviare le parti ad una trattativa individuale, al fine di rideterminare il contenuto della clausola, sempre però nell’ottica di ripristinare l’equilibrio normativo del contratto (causa C-269/19 del 25 novembre 2020) [5].
In questa stessa direzione, per non lasciare vuoti di tutela, ci si è successivamente domandati cosa possa fare il giudice in assenza di una disposizione suppletiva idonea a sostituire la clausola nulla e in assenza di un accordo tra le parti, a seguito della trattativa volta a rideterminare il contenuto della clausola abusiva. In tal caso, l’unica soluzione possibile sarà quella di consentire al giudice di individuare le misure idonee a recuperare l’equilibrio reale tra i diritti e gli obblighi delle parti.
Di recente, la Corte di Giustizia (causa C-645/2022 del 12 ottobre 2023) ha aggiunto che l’intervento “correttivo” del giudice nazionale è ammesso anche qualora detto giudice abbia la possibilità di sostituire tale clausola con una disposizione del diritto interno o con una disposizione applicabile in caso di accordo tra le parti.
Attraverso questo breve e rapido excursus giurisprudenziale emerge nitidamente il cambio di approccio da parte della giurisprudenza sovranazionale, protesa a perseguire la più ampia tutela del consumatore, attraverso la ricerca dell’equità nei rapporti contrattuali (art 2 Cod. Consumo). A tal fine, non viene solo consentita l’integrazione legale del contratto attraverso l’utilizzo delle disposizioni suppletive, ma viene prospettato anche un tanto discusso, almeno nell’ordinamento interno, obbligo di rinegoziazione, inteso come obbligo a trattare per modificare il contenuto della clausola vessatoria, nonché si ritiene consentita, in aggiunta, un’integrazione giudiziale del contratto, di cui tanto si dibatte in materia di primo contratto.
Resta, però, un punto fermo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: tali rimedi posso operare solo nella misura in cui il consumatore si sia avvalso della nullità di protezione e il contratto, in assenza della clausola vessatoria, non possa essere mantenuto.
Note
- [1]
In tema di giustizia contrattuale, si v., in particolare ROPPO, Giustizia contrattuale e libertà economiche: verso una revisione della teoria del contratto?, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 599 ss. e VOLPE, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli, 2004, 255 ss.
- [2]
Sullo squilibrio normativo, quale fattore che determina la nullità delle clausole vessatorie, cfr. VOLPE, Contratto giusto, in D. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, III, t. 1, 2007, pp. 403-404. Inoltre, con riferimento alla circostanza che il giudizio sull’equilibrio normativo non esclude un eventuale coinvolgimento delle clausole che definiscono il contenuto economico del contratto: può vedersi AZZARO e SIRENA, Il giudizio di vessatorietà delle clausole, in Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO, III. I contratti dei consumatori a cura di GABRIELLI e MINERVINI, t. 1, pp. 141 ss.
- [3]
Senza pretesa di esaustività, sulla nullità di protezione si vedano i contributi di Di Marzio, Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore-prime riflessioni sulla previsione generale di vessatorietà, in Giust. civ., 1996, p. 533 ss.; Id., Forme della nullità nel nuovo diritto dei contratti. Appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Giust. civ., 2000, II, p. 475 ss.
- [4]
Con riguardo alla possibilità di utilizzare il diritto dispositivo derogato dalle parti quale strumento di integrazione legale in funzione “correttiva” del regolamento negoziale si veda, in particolare, G. D’Amico, L’integrazione (cogente) del contratto mediante il diritto dispositivo, in Nullità per abuso e integrazione del contratto, p. 63 ss.
- [5]
Sul potere dei contraenti di rimediare allo squilibrio contrattuale determinato dall’inserimento di una clausola abusiva attraverso un nuovo accordo, si veda Del Prato, Qualificazione degli interessi e criteri di valutazione dell’attività privata funzionale tra libertà e discrezionalità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, p. 408.
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