Collaborazione coordinata e continuativa: la vicenda di un istituto.

1) fase della nascita  e di sviluppo nell’area dell’autonomia ,fase della deregolazione; 2) fase  della regolamentazione dell’istituto,introduzione delle regole, da parte della legge Biagi; 3) fase attuale del Jobs act

1) fase della nascita  e di sviluppo nell’area dell’autonomia, fase della deregolazione

Così descrive la nascita di un istituto lo studioso tedesco Esser :<una determinata e reale problematica concreta costringe a sviluppare  una soluzione,che dapprima si presenta ancora con i caratteri di una casistica,senza ricerca né prova di principi,in seguito si appoggia programmaticamente a questo o quel passo delle fonti,a proposito dei quali,soltanto quando le contraddizioni sistematiche non possono più a lungo essere celate,si ammette che sono utilizzati unicamente per dare un appoggio sistematico ad un principio giuridico che conduce al di sopra di essi>. Noi ci limitiamo a dire che il mercato del lavoro, così come  tutti i mercati (finanziario,economico in genere ecc.) ,ha le su astuzie.

Nel periodo che va dalla approvazione del codice civile vigente, R.D. 16 marzo 1942 n.262 ,  fino a circa gli anni 2000 la regolamentazione dei rapporti lavorativi ha visto due figure “generali” di lavoro (a) il rapporto di lavoro subordinato ( art. 2094 C.C.  e ss.) e (b) il rapporto di lavoro autonomo ( art. 2222 C.C. e ss.) ciascuna con le proprie caratteristiche .Il primo infatti è caratterizzato come dice il nome medesimo dalla subordinazione; vede due parti di cui una forte ed una  debole e perciò dotata di tutele sia normative che previdenziali. Esso viene individuato da indici ben definiti, ma essenzialmente dalla  subordinazione che consiste nell’ assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro.Il secondo rapporto è caratterizzato dall’autonomia; il classico contratto d’opera, secondo il quale la parte si obbliga a compiere un’opera o servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione; è il lavoro tipico dell’area professionale e artigianale.Secondo la definizione classica nel caso del lavoro subordinato il lavoratore doveva  fornire le operae mentre nel caso del lavoro autonomo  il lavoratore doveva fornire l’opus,  ovvero un risultato.

Nella realtà delle cose restava una fascia indistinta di rapporti di lavoro, non riconducibili appieno né all’una né all’altra delle due suddette categorie, che trovavano fondamento  sul principio generale contenuto nell’art. 1322 C.C. sercondo il quale <le parti possono … concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare,purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico>.Norma riconducibile senz’altro all’art, 41 della Costituzione ( pur posteriore) secondo il quale <L’iniziativa economica privata è libera >.

In questa zona grigia venivano creati dagli operatori economici una serie di rapporti di lavoro, denominati di collaborazione coordinata e continuativa, nei quali il lavoratore non era legato da un vincolo di subordinazione al suo committente,ma ,nel contempo non agiva in piena autonomia perché doveva coordinare la propria attività alle esigenze del committente a cui si rapportava, di talchè  il rapporto lavorativo consisteva ,come dice il nome medesimo,in un rapporto di collaborazione-coordinata.

Questi rapporti presentavano per il datore il pregio di non essere assoggettati, almeno agli inizi, ad alcun obbligo previdenziale ( fino alla creazione della gestione separata dell istituto nazionale della previdenza sociale), di non dovere applicare le rigide regole del rapporto di lavoro subordinato, di prevedere poche e nulle tutele e diritti stabiliti, di beneficiare di grande flessibilità  nella durata.Essi rapporti si fondavano sul classico schema prestazione-remunerazione,- neanche retribuzione- spesso lasciata alla discrezionalità del datore e comunque alla libera contrattazione della parti. Come abbiamo detto l’autonomia del lavoratore era peraltro limitata dalla necessità di coordinarsi alla attività del committente tanto da prendere il nome di lavoro parasubordinato.

Tali tipologie di lavoro, così dette “flessibili” o  “ atipiche”, andavano a coprire tutto lo spazio che si trovava tra le due tipologie principali di rapporto di lavoro ( subordinato e autonomo).Il mercato,per sfuggire alle pesanti regole  normative e burocratiche ( lacci e lacciuoli) del lavoro subordinato ,  talora non richiedendosi nemmeno la partita IVA ,per una larga fascia di lavoratori “medi”, utilizzava ampiamente tale strumento .Si contavano  decine di migliaia  di tali rapporti in quest’area. Non di rado questi rapporti di lavoro c.d. flessibili presentavano l’anomalia d i essere caratterizzati da elementi propri ( indici) della subordinazione senza essere assoggettati alla normativa tipica del rapporto di lavoro subordinato, per cui  manifestavano aspetti elusivi da indurre la magistratura a intervenire o su singole clausole del rapporto o sull’intero rapporto che veniva convertito con provvedimento giudiziario imponendo il trattamento protettivo al lavoratore.

Si era venuta a creare una classe di lavoratori al bivio tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi.Da qui uno dei motivi che spinsero il legislatore a introdurre una importante riforma che portasse ordine.Il che fu fatto con la c.d. legge Biagi,legge 14 febbraio 2003 n.30 e  decreto legislativo  10 settembre 2003 n.276,aprendo in tal modo la seconda fase delle collaborazioni coordinate, quella della regolamentazione.

I primi fondamenti normativi ( v. supra Esser) dell’istituto si rinvengono nella legge 14 luglio 1959 n,741 (c.d. legge Vigorelli), Norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori , che all’art. 2 indica come  suoi destinatari anche” i rapporti di collaborazione che si concretino in prestazione d’opera continuativa e coordinata”  e nella legge 11 agosto 1973 n.533, Disciplina   delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria, che ,modificando il testo dell’art.409  cpc, Controversie individuali di lavoro,vi aggiunge il punto< 3)rapporti di agenzia,di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata,prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato>.

 

2) fase  della regolamentazione,introduzione delle regole, da parte della legge Biagi

La norma base contenuta nel decreto legislativo 10 settembre 2003 n,276, all’art.61, prevedeva:

<1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa.

Nella legge segue una serie di regole abbastanza dettagliate (forma, corrispettivo,altri diritti del collaboratore—gravidanza,malattia e infortunio comportanti la sospensione del rapporto e,solo per la gravidanza ,la proroga dello stesso- l’estinzione del rapporto –che può avvenire per realizzazione del progetto o del programma o della fase o per giusta causa o per le causali o modalità previste dalle parti nel contratto).

L’art. 69 predetto d.lgs.,Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto ,prevedeva inoltre che :< I rapporti di collaborazionecoordinata e continuativa instaurati senza l’indicazione di uno specifico progetto,programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo 61,comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.>.

Si è molto dibattito sul significato di tale norma.

In un primo tempo  si è ravvisato in essa una presunzione di legge e si è dibattuto se trattarsi di presunzione assoluta o relativa.In un secondo tempo ci si è anche orientati sulla natura di una “sanzione”.

Per quest’ultimo orientamento giurisprudenziale vedi Tribunale di Genova 28 maggio 2013 n.658 Giud. Magnanensi (1)

Sarà bene precisare che la c.d. collaborazione a progetto è solo una specie del genere della collaborazione coordinata e continuativa.

Non poche volte è intervenuta la magistratura

Fece subito scalpore,tra le tante, la sentenza del Tribunale di Torino 5 aprile 2005,Giud. Malanetto. Essa  parve significativa per la com­plessa fattispecie che fu oggetto del giudizio. Si trattava ,  nel caso,  di un’azienda che perseguiva lo scopo sociale utilizzando esclusivamente centinaia di contratti di lavoro progetto a fronte di una struttura stabile molto contenuta  (n. 6 impiegati amministrativi).

Una importante modifica fu introdotta dalla c.d. legge Fornero, l. 28 giugno 2012 n.92, all’art.1 comma 23, lettera  a) che,in sostituzione della precedente formulazione –  fermo restando il primo inciso- disponeva :<….i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione…….devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente  e gestiti autonomamente dal collaboratore.>, dove si vede che sono state abolite le parole <o programmi di lavoro o fasi di esso>,forse per la loro indeterminatezza che dava luogo a interpretazioni  discordanti  e a un qualche contenzioso. Di più si richiedeva,nello stesso comma che :<Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente,avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa>, dove si vede una maggiore caratterizzazione del progetto che richiede che esso progetto non possa coincidere con l’oggetto sociale del committente, il che avrebbe praticamente portato il collaboratore, tout court , <nella> organizzazione del committente facendone un lavoratore dipendente <mascherato> sub specie della parasubordinazione e quindi in elusione delle leggi.Infine il nuovo articolato  richiedeva che < il progetto non può comportare [expressis verbis] lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi,che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale>: coerentemente  quindi vengono esclusi “i compiti meramente esecutivi o ripetitivi” in quanto in contraddizione con la caratteristica della gestione autonoma del progetto che richiede un apporto intellettivo che non è compatibile con  tali lavori meramente esecutivi. 

Sono state anche introdotte rigide norme antielusive.

  • In particolare si richiede, al  nuovo comma 1 dell’art,62,lettera b, d.lgs.276/2003, la < descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire>.In altri termini vengono respinte quelle forme contrattuali generiche cui i datori di lavoro ricorrevano nella stipulazione dei contratti.
  • Al comma 2 dell’art.69, d. lgs,.276/2003  è aggiunta tale norma :<Salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.>.

La misura del corrispettivo viene meglio articolata e dettagliata .

Alle motivazioni, per l’estinzione del rapporto,la legge Fornero aggiunge alla giusta causa  <oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore da rendere impossibile la realizzazione del progetto>, dando possibilità al lavoratore di recedere dal contratto  prima della scadenza del termine dandone preavviso solo <nel caso che tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro>.

Infine è aggiunta, sempre nella linea del rigore, una norma interpretativa ( e come tale valida  ex tunc)  del l comma 1dell’articolo 69 d.lgs.276/2003, sulla conversione del contratto,  per la quale tale comma  < si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.>.

Dall’insieme delle modifiche apportate dalla legge Fornero si intende che tale istituto cominciava ad essere considerato come uno strumento di elusione piuttosto che di mera flessibilità e sembrava delinearsi il nuovo orientamento politico su di esso che ha portato alla fase attuale.

3) fase attuale del Jobs act: schema ( provvisorio ndr.) di decreto legislativo recante il testo organico   delle discipline contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni,in attuazione della legge 10 dicembre 2014 n.183 –TitoloII,Capo I

Già il titolo,Riconduzione al lavoro subordinato, ( titolo II schema), preannuncia una operazione simile  a quella operata dal legislatore all’epoca della riforma Biagi.Anzi sotto un certo profilo ancora più incisiva,tant’è che dovrebbe portare alla soppressione del’istituto della collaborazione coordinata.

In primis il decreto legislativo in attuazione della delega prevede,art.47, che, a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.Ma tale norma in sé poco aggiunge alla normativa precedente che, come abbiamo visto, faceva divieto che il contratto di collaborazione coordinata comportasse <lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi>.Non è richiesto, ora, che l’individuazione di tali compiti  sia effettuata dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano sindacale.Anzi, è invece previsto  che restino salve  da quanto disposto al comma 1 ( per i lavori ripetitivi)  le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.Il che può  significare che i CCNL di alcuni settori potrebbero  consentire collaborazioni coordinate per lavori ripetitivi.

Ci pare ,in questa nuova normativa, esserci un vuoto legislativo.Infatti i  <lavori ripetitivi> espunti dal comma 1 , secondo  quanto a noi sembra da una prima lettura  della legge, come sopra detto, potrebbero essere reinseriti dalla contrattazione collettiva.Ammeno che debba interpretarsi, e ci pare più logico nello spirito del provvedimento, nel senso  che comunque i <lavori ripetitivi> debbano essere esclusi, né possano essere reinseriti dalla contrattazione collettiva ,mentre la contrattazione collettiva può introdurre collaborazioni riguardanti altre tipologie di lavori non ripetitivi. Sempre ferme le salvezze di cui  ai punti b) c) d),co.2 art.47, e delle collaborazioni della pubblica amministrazione, co 3 art.47.

Non è comunque una formulazione  legislativa felice.Al di fuori della casistica  prevista dalla contrattazione collettiva ed esclusi comunque i lavori ripetitivi, manca un  espresso divieto   generale  delle collaborazioni coordinate continuative.

E’ quindi previsto una sorta di condono in forza del quale l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del decreto e il 31 dicembre 2015, alle condizioni di cui al comma 1, lettere a) e b), comporta l’estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, salve le violazioni già accertate prima dell’assunzione

Le condizioni richieste dalla legge sono : a) che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all’articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003;b) che  nei dodici mesi successivi alle assunzioni di cui al comma 2, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

Tale beneficio può riguardare soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA.

La finalità dichiarata di tale norma è di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo.

Note

(1) In Guida al   lavoro  n.48/2013:<<Il Tribunale ritiene di aderire alla visione della Corte di appello di Genova,sentenza n.545/2011 e ne richiama dettagliatamente le argomentazioni.La Corte ( 545/-2011)  argomenta nel senso che l’interpretazione che individua nella norma de qua un’ipotesi di presunzione relativa “non trova alcun aggancio nel dato letterale della normativa disciplinante la fattispecie e appare, altresì, confliggente con la ratio dell’istituto”. Si parte dal rilievo per cui, già nella rubrica, viene posto in evidenza il rapporto tra il meccanismo della conversione del contratto di collaborazione  in contratto di lavoro subordinato, il divieto alla costituzione di rapporti di collaboratore coordinato e continuativo atipici, ossia sorti senza rispetto dei requisiti chiesti dal d.lgs. n. 276/20031 stesso. Inoltre, il dato letterale appare formulato “in termini inequivocabili”, là dove afferma che i rapporti stipulati in assenza dei requisiti di legge “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.La sentenza prosegue ancora specificando, condivisibilmente, che “dal tenore letterale della norma può desumersi… che il legislatore ha voluto imporre un effetto legale automatico in tutti i casi di riscontrate irregolarità, disponendo che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici siano considerati alla stregua di rapporti di lavoro subordinato. Non può sfuggire la natura sanzionatoria di un tale meccanismo; va altresì rilevato che l’uso della forma verbale “sono considerati” è indicativa del disinteresse del legislatore per l’effettiva natura (di lavoro subordinato o meno) dei rapporti in questione”. Ciò che accomuna tali rapporti è il fatto di essere stati stipulati senza l’osservanza dei requisiti richiesti dal precedente art. 61, comma 1, e da ciò consegue, ex lege, che essi siano, automaticamente ed indistintamente, considerati rapporti di lavoro subordinato.Aggiunge poi che  se il legislatore si fosse limitato a prevedere una presunzione iuris tantum, avrebbe dovuto introdurre un riferimento alla prova contraria, che invece manca, come osservato dalla medesima Corte d’appello nella sentenza n. 593 del 2011. In quest’ultima pronuncia, la Corte territoriale evidenzia altresì che “i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dai sostenitori della tesi opposta rileverebbero solo se venissero sottratti al giudice poteri qualificatori, mentre nel caso viene introdotta una sanzione che consiste nell’applicazione delle garanzie del lavoro dipendente. Il principio di “indisponibilità del tipo”, infatti, è stato dettato al fine di evitare sottrazioni di tutela al lavoro subordinato ed è quindi sorretto da una ragione verosimilmente univoca e non invocabile nel caso inverso. D’altra parte, il nostro ordinamento non è estraneo alla previsione dell’applicazione delle regole del lavoro subordinato come sanzione in caso di violazioni, elusioni, abusi di determinate forme di contratti di lavoro (v. artt 1, comma 5, della 1. 1369/1960, 1 della 1. 230/1962 e 1 d.lgs. n. 368/2001)”. La nuova formulazione[ legge n.92/2012 ndr.],avente natura di interpretazione autentica, sembra avere accolto la tesi “genovese”:<l’articolo 69,comma 1, del decreto legislativo  10 settembre 2003 n.276,  si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa,la cui mancanza determina  la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato>. Appunto tale tenore ha certamente  forte  “sapore” di sanzione.>>

Avv. Viceconte Massimo

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