Sulla base di tale assunto il Consiglio nazionale forense, con sentenza n. 2/2017 depositata il 23 gennaio 2017, ha confermato la condanna disciplinare (sospensione per un anno dall’esercizio della professione) a carico di un avvocato, cui veniva contestato, a seguito di diversi esposti, di condurre con modalità poco professionali i colloqui aventi ad oggetto lo svolgimento della pratica forense da parte di alcune praticanti avvocato.
Il legale incolpato, nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al Coa cosi come nel ricorso al Cnf, non aveva mai smentito le circostanze contestategli, offrendo piuttosto una differente e più innocente interpretazione alle ritenute “insistenze e molestie” nei confronti delle aspiranti collaboratrici, classificando le suddette attenzioni come mere gentilezze.
Una interpretazione tuttavia non accolta dal Cnf, secondo cui l’ampia descrizione delle “gentilezze” negli esposti presentati dalle praticanti e gli ulteriori elementi emersi in sede di assunzione testimoniale, confermano come l’addebito mosso all’avvocato in questione non si basi su mere e labili percezioni soggettive delle esponenti – tra l’altro tutte tra loro estranee e dunque non influenzatesi reciprocamente – ma su fatti che, oggettivamente, vadano considerati per ciò che sono: comportamenti molesti, caratterizzati da insistenza eccessiva, perciò fastidiosa, di arrogante invadenza ed intromissione anche pressante nell’altrui sfera di quiete e libertà.
Avvocato: probità, correttezza e decoro anche fuori dall’attività professionale
Il particolare disvalore – si legge nella sentenza – del comportamento assunto dall’incolpato, sta dunque nella contrarietà ai generali principi di probità, correttezza e decoro, che l’avvocato deve rispettare anche fuori dall’attività professionale, poiché connotano la stessa essenza del ruolo etico e sociale del professionista forense. Ad aggiungere disvalore alla condotta, inoltre, è la particolare posizione che il legale aveva nei confronti delle aspiranti collaboratrici: quella di dominus, a cui tutte si erano rivolte con fiducia, che avrebbe potuto offrire loro uno studio ove poter accrescere le competenze grazie ai suoi insegnamenti.
Compromessa l’immagine dell’avvocato
La violazione deontologica, peraltro – conclude il Consiglio – sussiste a prescindere dalla notorietà dei fatti, poiché in ogni caso l’immagine dell’avvocato risulta compromessa, non solo agli occhi degli altri operatori del diritto, ma addirittura, nel caso di specie, il disagio sofferto dalle esponenti è stato manifestato senz’altro all’esterno e la conoscenza delle reiterate molestie condotte dal professionista ha gettato discredito sull’intera categoria.
Favor rei: non più cancellazione ma sospensione dalla professione
Infine, quanto alla sanzione, è noto come la cancellazione dall’albo (originariamente contestata all’incolpato) non sia più prevista nel nuovo Codice deontologico forense. Secondo giurisprudenza ormai costante, lo stesso Cnf, considerata anche l’indubbia natura afflittiva della cancellazione, ritiene applicabile il principio generale del favor rei per una primaria esigenza di parità sostanziale tra incolpati. Conseguentemente, deve ritenersi che le norme del vigente Codice deontologico si applichino anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore (come quello di specie), se più favorevoli per l’incolpato. Ciò detto il Consiglio, alla luce dei molteplici fatti contestati e delle plurime violazioni deontologiche, reputa congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale per un anno.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento