Il paziente danneggiato può dedurre profili di colpa diversi della struttura sanitaria che emergono dalla CTU. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: i danni e la colpa della struttura sanitaria
La paziente di una struttura sanitaria era stata sottoposta ad alcuni interventi chirurgici perché affetta da malformazione dento scheletrica alle mandibole, ma detti interventi non avevano risolto le problematiche cui la stessa era affetta (tanto che la stessa, ancora dopo gli interventi, aveva parestesie ed anestesie del labbro inferiore, dismetria del volto, deficit della masticazione, fuoriuscita del cibo e della saliva dal cavo orale, dolore alla mandibola, ansia, crisi di panico, insonnia, sudorazione). Secondo la paziente, dette problematiche erano riconducibili ad un errore medico della equipe chirurgica nella esecuzione degli interventi di cui sopra: in particolare, per la sovrapposizione di placchette e viti ai canali mandibolari destro e sinistro, con fuoriuscita delle viti metalliche, nonché per la lesione o compromissione del nervo alveolare inferiore omolaterale.
In ragione di ciò e sulla scorta di apposita relazione tecnica di parte (CTP), la paziente conveniva in giudizio la struttura sanitaria dinanzi al Tribunale di Napoli Nord, chiedendo il risarcimento dei danni subiti (sia del danno biologico e del danno da inabilità temporanea, che di quello morale).
Il Tribunale di Napoli Nord rigettava la domanda della paziente, sostenendo che dal procedimento per ATP che era stato preventivamente instaurato dalla paziente medesima, era emerso che il danno dedotto dalla stessa non era riconducibile eziologicamente alla condotta inadempiente della struttura sanitaria che era stata dedotta dalla paziente. Anzi, aggiungeva il giudice di primo grado, che dalla predetta ATP era emersa l’insussistenza di un inadempimento dei sanitari per come qualificato e descritto dalla ricorrente.
La paziente proponeva pertanto appello nei confronti della decisione di prime cure, sulla base di due motivi.
In primo luogo, sostenendo che l’inadempimento della struttura sanitaria per come accertato durante l’ATP, benché diverso dall’inadempimento individuato dal consulente di parte, era stato comunque dedotto nel successivo giudizio di primo grado. In altri termini, l’appellante sosteneva che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado aveva modificato le deduzioni relative all’inadempimento della convenuta (quindi la descrizione delle condotte erronee ad essa imputabili), rispetto alla descrizione dell’inadempimento che invece aveva precedentemente formulato nel ricorso per ATP: in particolare, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, la paziente aveva fatto proprie le conclusioni cui erano giunti i consulenti d’ufficio nel procedimento per ATP. Ebbene, secondo l’appellante ciò aveva determinato una modifica della domanda con riferimento alla causa petendi, ma non l’introduzione di una nuova domanda in quanto la vicenda sostanziale dedotta in giudizio era rimasta invariata.
Con il secondo motivo, l’appellante sosteneva che comunque l’atto introduttivo del giudizio di primo grado non lasciasse dubbi circa la volontà della attrice a che fosse accertata la responsabilità della struttura sanitaria e quindi che la stessa fosse condannata, sulla scorta delle conclusioni cui erano pervenuti i CTU del procedimento per ATP (previa acquisizione della relativa relazione). Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni della Corte di Appello
La Corte di Appello di Napoli ha ritenuto fondato l’appello e conseguentemente ha riformato la sentenza di primo grado, condannando la struttura sanitaria al risarcimento dei danni lamentati dalla paziente, in quanto ha ritenuto non condivisibile la decisione cui era giunto il tribunale.
Secondo il Collegio di secondo grado, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, la paziente ha esposto in maniera esaustiva tutti gli aspetti fattuali della vicenda ed aveva richiamato le conclusioni cui erano pervenuti i CTU del procedimento per ATP (anche se in termini diversi da quelli che invece erano stati ritenuti dal proprio CTP).
Infatti, i CTU, pur ritenendo corretta l’esecuzione degli interventi, avevano ascritto il danno ad un errore tecnico attribuibile all’operatore che durante le manovre di scollamento del mucoperiostio del piano osseo della mandibola (durante uno degli interventi cui era stata sottoposta la paziente), aveva provocato una lesione del nervo mantoniero tale da determinare la comparsa della parestesia.
In secondo luogo, i giudici d’appello hanno evidenziato come la paziente avesse anche quantificato il risarcimento alla stregua delle conclusioni cui erano pervenuti i CTU del procedimento per ATP.
In considerazione di quanto sopra, la Corte d’Appello ha ritenuto che non è possibile sostenere che l’attrice non abbia provato la sussistenza del nesso causale tra il peggioramento del suo stato di salute e l’inadempimento specifico e qualificato allegato dalla stessa nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e suffragato dai risultati della CTU.
A tal proposito, la Corte d’Appello ha evidenziato come, in tema di responsabilità della struttura sanitaria, la deduzione di profili di colpa diversi ed ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati, fondati su circostanze emerse solo all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, non integra una domanda nuova. Infatti, tale nuova deduzione non determina alcun mutamento della causa petendi e dell’ambito di indagine processuale: ciò in quanto non è possibile attribuire portata preclusiva alle specificazioni della condotta inizialmente operate dall’attore, il cui onere di allegazione deve essere rapportato alle informazioni accessibili e alle cognizioni tecnico scientifiche da lui esigibili (senza imporgli di enucleare specifici e peculiari aspetti di responsabilità professionale, conoscibili soltanto dagli esperti di settore).
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3. La decisione del Tribunale
Sulla base di tali considerazioni e del fatto che la struttura sanitaria appellata non aveva formulato argomentazioni idonee a contrastare le motivate conclusioni della CTU (se non in maniera del tutto generica), la Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’appello della paziente, riformando la decisione del giudice di prime cure.
In particolare, i giudici di secondo grado hanno condannato la struttura sanitaria al pagamento a favore della paziente danneggiata dell’importo di €. 32.101,50 (oltre interessi legali) a titolo di danno biologico e di danno da inabilità temporanea nonché a titolo di danno morale, oltre alla refusione delle spese legali relative ad entrambi i gradi di giudizio e delle spese della CTU svolta nel corso del procedimento per ATP.
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