Come evitare la confrontabilità tra le denominazioni di due diverse società

a cura della Dott.ssa Serena Biondi

La sentenza della cassazione civile, numero 13921, sez. i, 06/07/2020

  1. Premessa: il quadro normativo

Articolo 21 c.p.i.:

I diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi di correttezza professionale:

  1. del loro nome o indirizzo, purché si tratti di una persona fisica.”

Articolo 2564 c.c.:

“Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è  esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla.

Per le imprese commerciali l’obbligo dell’integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.”

Articolo 2567 c.c.:

“La ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai titoli V e VI di questo libro.

Tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell’art. 2564.”

Questi articoli sono utili per analizzare il caso che segue:

La vicenda

Nel 2011 il Tribunale di Roma – sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale – rigettava le domande proposte da S. Costruzioni s.p.a., con le quali chiedeva di inibire alle convenute, tra gli altri, l’illegittimo uso del patronimico “S.” nella denominazione sociale.

La causa è successivamente giunta dinanzi alla Corte d’Appello di Roma – sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale – la quale ha accolto in parte l’appello accertando che l’uso del patronimico nella denominazione sociale in questione, costituisse atto di concorrenza sleale e violazione del diritto dell’attrice all’uso esclusivo della sua denominazione sociale.

La Corte aveva invero osservato che l’uso del patronimico “S.” nelle ragioni sociali delle società convenute aveva creato confusione con il nome e l’attività di parte attrice perché era in grado di far ritenere che le due appartenessero allo stesso gruppo imprenditoriale.

Ebbene, è stato presentato ricorso per Cassazione.

La sentenza della cassazione civile, numero 13921, sez. I, 06/07/2020

La questione di diritto che qui rileva, su cui la Corte di Cassazione si è in questa sede pronunciata, riguarda la portata dell’efficacia scriminante dell’articolo 21 c.p.i comma 1 lettera a) in tema di uso nell’attività economica del patronimico.

Si specifica che per risolvere la controversia oggetto di causa la Corte ha dovuto analizzare la disciplina originaria del codice, prima delle modifiche del 2019 (quindi la versione precedente rispetto a quella sopra riportata), dato che l’adozione della denominazione sociale da parte delle ricorrenti era avvenuta molti anni prima.

Ebbene, i ricorrenti avevano ritenuto che la norma in esame dovesse essere letta unitamente al principio generale dell’unitarietà dei segni distintivi di cui all’articolo 22 e articolo 12 c.p.i.; avevano quindi proposto non una lettura circoscritta alla materia dei marchi ma  estesa anche alle denominazioni di società di capitali. Tale principio, hanno gli stessi sostenuto, andava armonizzato con quanto previsto dall’articolo 2567 c.c. che in tema di denominazione sociale richiama la regola dettata per le ditte di cui all’articolo 2564 c.c., come chiarito nel quadro normativo.

A tal proposito, la Corte d’Appello non aveva escluso la possibilità di inserire nella denominazione sociale successiva il nome patronimico del fondatore, tuttavia aveva chiarito che le norme in tema di denominazione sociale divergono da quelle dettate per la ditta individuale. Nella sentenza impugnata si legge invero che l’ammissibilità di principio dell’inserzione del patronimico nella denominazione sociale adottata successivamente, va verificarla in concreto sotto il profilo della confondibilità dei nomi commerciali delle società in conflitto.

Questo giudizio, così si è espressa la Corte di Cassazione, richiede (come del resto rilevato dalla Corte d’Appello) un metro più severo dato che non opera il temperamento del principio di verità nella formazione del nome commerciale della società; d’altra parte, si legge nella sentenza, la valutazione non può prescindere da un accertamento di fatto circa il pericolo di confusione tra le due imprese. Del resto, anche l’articolo 21 c.p.i. richiede il rispetto del canone generale della conformità alla correttezza professionale che implica un riscontro in concreto del rapporto di concorrenza tra le due imprese

Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto la decisione impugnata conforme agli orientamenti della Corte stessa la quale in una recente pronuncia ha stabilito che quando due società di capitali hanno la stessa denominazione occorre dare prevalenza all’iscrizione nel registro delle imprese o nel registro delle società che è avvenuta per prima, senza che assuma rilievo il mero pregresso utilizzo né che la denominazione coincida con il nome di uno dei soci.

Del resto, già con sentenze molto più risalenti la Cassazione aveva osservato che se due società di capitali inseriscono nella propria denominazione lo stesso cognome e si verifica la possibilità di confusione tra le stesse,  l’obbligo di modificare la denominazione, posto dall’articolo 2564 del c.c. a carico della società che per seconda abbia usato quella uguale o simile, non trova deroga per la legittimità dell’inserimento e per il fatto che si trattasse del cognome di imprenditore individuale la cui impresa fosse conferita nella società.

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Dott. Lione Federico

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