Come richiedere l’accesso agli atti e l’iter previsto per gli immobili abusivi.
Diritto di accesso agli atti ed accesso civico
L’art. 1 della l. n. 241/1990 disciplina il principio di trasparenza che è inteso “come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Il diritto di accesso agli atti è regolamentato dal D.P.R. 184/2006, e prevede che possa essere esercitato nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e ed i soggetti di diritto privato (limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario), da parte di chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso.
Ovviamente, la pubblica amministrazione, cui è indirizzata la citata istanza, notizierà tutti i “controinteressati”, ossia tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Pertanto, entro dieci giorni dalla ricezione di tale comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Qualora, invece, la pubblica amministrazione accerti che nessuna opposizione sia pervenuta, la stessa permetterà all’istante l’accesso, comunicandogli il responsabile del procedimento, un congruo periodo di tempo per prendere visione dei documenti, la sede in cui recarsi e gli orari di ufficio.
Per evitare che l’asserita privacy dei controinteressati possa essere utilizzato come mero espediente per non permettere all’istante di tutelare i propri diritti, si ricorda che l’art. 24, comma 7 della l. n. 241/1990, recita: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Nel campo giudiziario, invece, l’art. 116 cpp permette a chiunque vi abbia interesse di ottenere a proprie spese il rilascio di copie, estratti e certificati riguardanti singoli atti del procedimento, inclusi gli atti non contenuti su supporto cartaceo. Sulla richiesta provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del collegio o il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza[1].
E’ bene sottolineare che spesso, il diritto di accesso agli atti viene confuso con il diritto di accesso civico che è cosa ben diversa. Infatti, quest’ultimo è disciplinato dall’art. 5 del d.lgs. 33/2013, modificato dall’art. 6 del d.lgs. 97/2016, ed altresì dall’art. 3 della l. n. 241/1990, prevedendosi che chiunque ha diritto di richiedere e fruire gratuitamente di documenti, dati o informazioni che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente” dei propri siti istituzionali, nei casi in cui gli stessi non siano stati pubblicati (senza la necessità di dimostrare un interesse diretto, concreto e attuale all’accesso).
Come fare se la pubblica amministrazione non risponde alla richiesta di accesso agli atti?
In Sicilia, l’art. 26 della l.r. n. 7/2019 prevede che al momento della presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni venga rilasciato nell’immediato, anche in forma telematica, una ricevuta che ne attesti la ricezione ed indichi i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza [2].
Tuttavia, nel momento in cui la pubblica amministrazione rimane inerte alla richiesta di accesso agli atti, per il cittadino non rimane altro che diffidarla ad adempiere.
In effetti, per configurarsi il reato di omissione in atti d’ufficio ex art. 328,comma 2 c.p. sarà necessario come elemento oggettivo del reato che vi sia la previa diffida ad adempiere indirizzata alla pubblica amministrazione, pertanto, il richiedente provvederà a rappresentare la situazione di fatto, precisando il suo interesse diretto concreto, attuale e diretto all’accesso, diffidando l’Ente ad esercitare le proprie funzioni entro i termini stabiliti per legge, ed in assenza di determinazione, il termine sarà di 30 giorni dalla ricezione della diffid[3].
In particolare, il cittadino nella diffida non dovrà mancare di richiedere all’Ente: le motivazioni che hanno determinato il suo ritardo nel provvedere, il responsabile del procedimento, l’orario e l’ufficio in cui recarsi per effettuare l’accesso, ed infine rappresentare che qualora l’Ente non provveda entro il termine prestabilito, ci si rivolgerà all’Autorità Giudiziaria competente.
Ed ancora, a parere della scrivente, sarebbe opportuno che il richiedente nella diffida inviti la pubblica amministrazione a fornire una motivazione per iscritto con indicazione della normativa di riferimento che legittimi l’eventuale diniego alle richieste e/o il continuo ritardo nel provvedere.
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Abuso edilizio
Accertato l’abuso edilizio, verrà emessa l’ordinanza di demolizione, che verrà pubblicata sul sito istituzionale del Comune, comunicato anche al Prefetto, e diffidate le società erogatrici di servizi pubblici di non somministrare forniture per le opere prive di permesso di costruire.
Il committente potrà, pertanto, impugnare l’ordinanza dinanzi al TAR/ Capo dello Stato (in Sicilia, davanti al Presidente della Regione) oppure fare richiesta di concessione/autorizzazione in sanatoria, in quest’ultima circostanza il Comune potrà aprire una pratica edilizia oppure comunicare i motivi ostativi all’accoglimento.
Entro n. 10 gg dalla comunicazione del provvedimento, il committente può presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare e dare motivazione del loro eventuale mancato accoglimento nel provvedimento finale. Precisandosi che, eventuali ritardi attribuibili alla pubblica amministrazione non potranno essere considerati come motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del richiedente.
Successivamente ai n. 90 gg dalla notifica dell’ordinanza di demolizione per cui non si è aperto un procedimento di concessione o autorizzazione in sanatoria, si avrà un controllo da parte della Polizia municipale coadiuvato da un tecnico del Comune che provvederanno ad accertare con verbale se il committente abbia ottemperato o meno.
Qualora il verbale sia di inottemperanza, il Comune provvederà ad emettere un’ingiunzione di pagamento a carico del committente, fino ad un importo massimo di euro 20.000,00, ed altresì provvederà ad acquisire gratuitamente l’immobile abusivo, l’area di sedime e quella necessaria, cosicchè si provvederà alla demolizione.
L’acquisizione del bene abusivo al patrimonio comunale e la conseguente trascrizione e voltura dell’effetto ablativo ope legis effettuate sulla base dell’ordinanza con la quale viene accertata la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, non costituiscono il punto di approdo del regime sanzionatorio in quanto, come ha recentemente affermato la Corte Costituzionale, “il fatto che il bene diventi pubblico non comporta che l’opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio. Essa è destinata ad essere demolita con ordinanza del dirigente del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso” (cfr. Corte Cost. 5 luglio 2018, n.140)[4]
Infatti, l’azione amministrativa di repressione degli abusi edilizi ha carattere obbligatorio e vincolato, e ”non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento del bene non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” ( così, Cons. Stato, Ad. Pl. 17.10.2017, n.9)
Occorre precisare che, non può essere utilizzata dal Comune la scusante della mancanza di risorse per provvedere alla demolizione dell’abuso, poiché è previsto per l’attuazione delle demolizioni d’ufficio, l’Ente possa avvalersi delle strutture tecnico-operative del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 2, commi 55 e 56 della legge 23.12.1996, n. 662, sulla base e alle condizioni di cui alla convenzione stipulata tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e il Ministero della Difesa in data 20.3.1998, inoltrando gli atti necessari alla Prefettura. Inoltre, il Comune può utilizzare sia le risorse derivanti dalle speciali sanzioni pecuniarie di cui all’art. 31, comma 4-bis del Dpr n. 380 del 2001 sia le entrate da condono edilizio, oppure, in assenza di copertura finanziaria può fare ricorso all’anticipazione senza interessi di somme del Fondo per le demolizioni delle opere abusive di cui alla legge n. 326 del 2003 gestito dalla Cassa Depositi e prestiti, da restituire in un periodo massimo di 5 anni, utilizzando le somme riscosse a carico degli esecutori degli abusi (cfr. Corte dei Conti SS.RR. in sede consultiva per la Regione siciliana n. 14/2013 e sezione regionale di controllo per la Regione Campania n. 100/2018)[5].
Inoltre, nelle more del procedimento di demolizione, gli immobili abusivi dovrebbero essere posti a sequestro ex art. 321 cpp, con la funzione di impedire la prosecuzione della condotta criminosa “dell’ Abusivo” e anche quella di evitare che coloro che abbiano violato la legge possano continuare a trarre vantaggio dall’illecito posto in essere, allorquando quest’ultimo, ancorchè consumato, dopo l’esaurimento della condotta tipica, continui a produrre conseguenze dannose ( Cass., sez. II, 12 giugno 2001, n. 26785, D’Amora; Cass. pen. 2003, con nota di Cantone. Nello stesso senso v. anche Cass., sez. III, 31 marzo 1994, n. 1148; Cass., sez. III, 15 aprile 1997, n. 668; Cass. , sez III, 10 aprile 2000, Cice). D’altronde, il codice di rito ritiene meritevole di tutela l’esigenza di impedire il protrarsi dei reati in itinere, ma anche quella di evitare che chi abbia agito contro legem possa continuare a beneficiare del prodotto o del profitto del crimine consumato, ancora produttivo di conseguenze dannose[6] .
A riscontro, la Cassazione, Sez. III, con sentenza n. 22442 del 28 maggio 2009,
in materia di sequestro preventivo di immobile abusivo ultimato, si è espressa sostenendo che secondo quanto asserito dalle Sezioni Unite con sentenza n°2/2003, sostenendo che l’aggravio del carico urbanistico, che le unità ad uso abitativo possono determinare, risulta adeguatamente dimostrato quando l’illegittimo complesso immobiliare è di rilevante entità e gli appartamenti risultano arredati (uno già abitato) e si prospetta un loro possibile utilizzo.
Infine, si rappresenta che l’art. 41 del D.P.R. 380/2001 (recepito dinamicamente dall’art. 1 della l.r. siciliana n. 16/16) è stato sostituito dall’art. 10-bis della l. n. 120/2020, cosicchè, oggi è previsto che “1. In caso di mancato avvio delle procedure di demolizione entro il termine di centottanta giorni dall’accertamento dell’abuso, la competenza è trasferita all’ufficio del prefetto che provvede alla demolizione avvalendosi degli uffici del comune nel cui territorio ricade l’abuso edilizio da demolire, per ogni esigenza tecnico-progettuale. Per la materiale esecuzione dell’intervento, il prefetto può avvalersi del concorso del Genio militare, previa intesa con le competenti autorità militari e ferme restando le prioritarie esigenze istituzionali delle Forze armate. 2. Entro il termine di cui al comma 1, i responsabili del comune hanno l’obbligo di trasferire all’ufficio del prefetto tutte le informazioni relative agli abusi edilizi per provvedere alla loro demolizione”.
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Note
[1]https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-penale/libro-secondo/titolo-i/art116.html
[2]L’art. 36 della l.r. Sicilia n. 7/2019 recita: “Per quanto non previsto dalla presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche ed integrazioni ed i relativi provvedimenti di attuazione”.
[3]L’art. 36 della l.r. Sicilia n. 7/2019 recita: “Per quanto non previsto dalla presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche ed integrazioni ed i relativi provvedimenti di attuazione”.
[4]https://www.segretaricomunalivighenzi.it/29-08-2018-adozione-dei-provvedimenti-di-cui-all2019articolo-31-comma-5-del-dpr-n-380-del-2001-e-smi-sugli-immobili-abusivi-acquisiti-al-patrimonio-comunale
[5]https://www.segretaricomunalivighenzi.it/29-08-2018-adozione-dei-provvedimenti-di-cui-all2019articolo-31-comma-5-del-dpr-n-380-del-2001-e-smi-sugli-immobili-abusivi-acquisiti-al-patrimonio-comunale
[6] Paolo Tanda, “ I reati urbanistico-edilizi”, seconda edizione, Cedam, pag. 544
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