Al fine di comprendere la complessa figura del condominio, è necessario spiegare, seppur brevemente, l’istituto della comunione. Il condominio negli edifici, difatti, non è altro che una forma di “comunione speciale”, autonomamente previsto e regolato dalla legge (artt. 1117 e ss. c.c.).
L’istituto giuridico della comunione, di cui agli artt. 1100 e ss. c.c., opera quando un diritto soggettivo appartiene a più soggetti, i quali ne risultano dunque tutti contitolari.
In particolare, il diritto di proprietà di ciascuno dei contitolari investe l’intero bene, nel senso che il diritto di ciascuno dei soggetti non ricade in parti specifiche del bene bensì sul cespite nella sua totalità, seppure l’esercizio del diritto subisca il limite dell’esistenza dell’eguale diritto spettante agli altri compartecipi.
La misura del diritto spettante a ciascun partecipante alla comunione è data dalla quota ideale sull’intero bene.
Precisato quanto sopra, possiamo adesso comprendere meglio la figura del condominio. Come già detto, tale istituto giuridico è una forma di “comunione speciale”, nel senso che trova la sue disciplina sia in una regolamentazione specifica che nelle norme che regolano la comunione ordinaria, ove con esse siano compatibili.
Il condominio negli edifici si caratterizza per la coesistenza tra parti di “proprietà comune” e parti di “proprietà esclusiva” dei singoli condomini. Le parti di “proprietà comune” sono collegate alle parti di edificio di “proprietà esclusiva” dei condomini da un rapporto di accessorietà necessario e perpetuo. Si tratta difatti di una comunione di natura forzosa e perpetua posto che ove vi sono delle proprietà suddivise per piani, devono necessariamente esservi delle parti dell’intero edificio strutturalmente e funzionalmente connesse al complesso delle prime. Da ciò ne scaturisce che al diritto di proprietà pieno ed esclusivo del singolo condomino si affianca anche una contitolarità delle parti comuni.
Posto che la disciplina del codice civile sul condominio è stata modificata recentemente con la legge 11 dicembre 2012 n. 220, si deve ricordare quanto previsto dall’art. 1117 c.c. il quale dispone che, salvo che sia diversamente previsto dal titolo, che comprova il diritto del singolo condomino, le parti comuni si presume che appartengano in comunione a tutti i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari site nell’edificio “pro quota”, ovvero in proporzione al valore di dette unità rispetto al valore dell’intero stabile.
Quanto alla natura del diritto di comproprietà sulle parti in comune del condominio, è determinante l’art. 1102 c.c., in combinato disposto con l’art. 1117-quater c.c., il quale stabilisce il potere di godimento spettante a ciascun contitolare.
Detto potere può manifestarsi nell’utilizzo delle parti comuni dell’edificio, a condizione che vengano tutelati i diritti degli altri compartecipi. In particolare, non è possibile alterare la destinazione del bene per intero e non si può impedire agli altri contitolari di potere parimenti utilizzare la cosa comune in proporzione al diritto di ciascuno.
E’ chiaro pertanto che l’art. 1102 c.c. delinea le concrete modalità di godimento della cosa comune che rappresentano il contenuto di una posizione possessoria tutelabile contro tutte le attività con le quali uno dei compossessori contitolari ponga in essere una modificazione o alterazione nell’utilizzo del diritto sulla cosa comune che introduca un turbamento o una molestia nel possesso esercitato dagli altri condomini.
Come noto, il legislatore pone a disposizione del possessore delle azioni possessorie contro la privazione o la turbativa nel possesso: l’azione di reintegrazione (o spoglio) e l’azione di manutenzione..
In particolare, l’azione di manutenzione, di cui all’art. 1170 c.c., è volta a reintegrare nel possesso del bene colui che ne sia stato privato mediante uno spoglio che non è nè violento nè clandestino, ovvero che non si sia verificato contro la volontà espressa o presunta del possessore. Inoltre detta azione provvede a far cessare le turbative e molestie compiute contro il possessore.
La molestia o turbativa consiste in una attività che rechi al possessore un particolare disturbo sia che si estrinsechi mediante un fatto specifico, sia che si manifesti in un atto giuridico che faccia temere imminenti azioni materiali contrastanti con la situazione possessoria. In tale ipotesi occorre che vi sia unicamente la consapevolezza del soggetto agente di recare un pregiudizio al possessore col proprio atto, ossia il c.d. animus turbandi.
Orbene a tal proposito ci si domanda se la condotta di un comproprietario in un condominio, consistente nell’occupazione, mediante il parcheggio della propria autovettura, di una porzione di cortile comune impedendo ed ostacolando agli altri comproprietari di entrare od uscire dalla rispettiva area di sosta possa configurare un atto di molestia o di turbativa nel possesso.
Una risposta esauriente a tale quesito è stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità la quale ha statuito che la condotta di cui sopra posta in essere dal comproprietario e volta all’occupazione di una porzione del cortile comune configura un vero e proprio abuso e dunque turbativa nel possesso in quanto non consente agli altri comproprietari di partecipare all’utilizzo dell’area comune, ostacolando l’esercizio del diritto di godimento di ciascuno ( v. Cass. Civ. 24/02/2004 n. 3640).
Sulla scia della precedente pronuncia si pone altresì una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, per la quale ai fini della configurabilità della molestia possessoria basta anche soltanto che vi sia la volontarietà del fatto che determina la diminuzione del godimento del bene da parte del possessore, nonchè la consapevolezza che questo sia obiettivamente atto a limitarne l’esercizio. Non occorre invece che venga dimostrata la volontà specifica del soggetto agente di molestare il possessore, nè la consapevolezza di costui di aver violato la norma posta a tutela del pieno esercizio del possesso (v. Cass Civ. n. 10624/2016).
Gli Ermellini precisano poi che la disposizione di cui al II comma dell’art. 1102 c.c., per la quale il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune se non compie atti idonei a mutare il titolo del possesso, impedisce al possessore che abbia fatto uso della cosa comune oltre i limiti della propria quota, sia l’usucapione che la tutela possessoria.
Alla luce di tutto quanto sopra delineato appare evidente come una delle modalità mediante la quale può essere recata turbativa o molestia nel possesso in un contesto condominiale è l’occupazione abusiva, mediante parcheggio della propria vettura in un’area comune, che impedisca ai condomini di entrare od uscire liberamente dalla rispettiva area di sosta. Posto che, come si è già visto, in tal caso è presente la turbativa ed è sufficiente anche soltanto la sussistenza della consapevolezza da parte del soggetto agente di recare un pregiudizio agli altri condomini, i comproprietari compossessori dell’area comune, i quali hanno subito la diminuzione del loro potere di godimento, possono senza alcun dubbio esperire l’azione di manutenzione del possesso, ex art. 1170 c.c., al fine di chiedere sia la reintegrazione nella loro situazione possessoria che la cessazione immediata della turbativa.
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