Come si deve svolgere il procedimento di riesame nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale: un chiarimento da parte delle Sezioni Unite

(Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 309)

Il fatto

Il Tribunale di Taranto confermava, in sede di riesame, una ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale, dispositiva dell’applicazione, nei confronti dell’indagato, della misura cautelare degli arresti domiciliari — successivamente sostituita dallo stesso Giudice con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria — per i reati di associazione finalizzata alla commissione di delitti di furto di autovetture, ricettazione di parti di ricambio dei mezzi ed estorsione di somme in danno dei derubati per la restituzione dei veicoli e per il concorso nel furto di un’autovettura.

Il provvedimento impugnato, in particolare, era stato pronunciato a seguito di annullamento con rinvio di una precedente ordinanza emessa dello stesso Tribunale disposto con sentenza della Corte di Cassazione con riguardo all’assorbente motivo di ricorso a mezzo del quale era dedotta la mancata risposta all’istanza, presentata dalla difesa al pubblico ministero, di diretto esame delle registrazioni delle intercettazioni e delle videoriprese i cui contenuti sarebbero stati indizianti con riguardo al reato di furto essendosi osservato in proposito con la sentenza rescindente che, pur potendo rinvenirsi tale risposta nel diretto deposito degli atti delle indagini presso il Tribunale, nel caso di specie, la motivazione dell’ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, nella quale si era dato genericamente atto del deposito di un dischetto relativo alle registrazioni utili, non consentiva di comprendere se in tale supporto fossero stati riversati i contenuti oggetto dell’istanza difensiva.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato l’indagato, per il tramite del suo difensore, ricorreva per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio motivazionale sul rigetto dell’eccezione di inefficacia della misura cautelare in conseguenza della tardività della decisione impugnata rispetto al termine di dieci giorni, previsto dall’art. 311 comma 5-bis cod. proc. pen., in cui erano pervenuti al Tribunale gli atti trasmessi dalla Corte di Cassazione con la sentenza rescindente; 2) e 3) violazione di legge e vizio motivazionale sugli effetti della mancata trasmissione al Tribunale delle registrazioni che la difesa aveva chiesto di esaminare; 4) violazione di legge e vizio motivazionale nell’omessa valutazione dell’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, proposta con i motivi di riesame, e dei contenuti specificamente indizianti delle annotazioni di polizia giudiziaria; 5) violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza dei gravi indizi per il reato di furto; 6) violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza dei gravi indizi per il reato associativo.

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La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Sesta Sezione penale, investita della decisione sul ricorso, rilevava preliminarmente l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sull’individuazione della data dalla quale decorre il termine di dieci giorni per la decisione sulla richiesta di riesame in sede di rinvio.

Si osservava in particolare che, secondo un primo orientamento, il termine decorrerebbe dalla data in cui perviene al Tribunale il fascicolo inviato dalla Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio e gli allegati mentre un altro indirizzo colloca il momento di decorrenza del termine nella data in cui il Tribunale riceve gli atti trasmessi dall’autorità procedente a seguito della richiesta in tal senso nuovamente formulata ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen..

Ciò posto, si dava atto dell’esistenza di un ulteriore profilo problematico consistente nell’identificazione dell’ufficio giudiziario la cui ricezione degli atti determina la decorrenza del termine, anch’esso diversamente risolto dalla giurisprudenza di legittimità con il riferimento alla cancelleria centrale del tribunale ovvero a quella della sezione del riesame.

A fronte di tali criticità ermeneutiche, si ritenevano rilevanti tali questioni nel caso di specie in quanto il fascicolo della Corte di Cassazione risultava essere pervenuto alla cancelleria centrale del Tribunale di Taranto il 6 giugno 2019 ed a quella della Sezione per il riesame dello stesso Tribunale non oltre il 7 giugno mentre gli atti richiesti in quest’ultima data alla locale Procura della Repubblica venivano trasmessi il 10 giugno essendo pertanto la decisione di rinvio tempestiva solo rispetto alla seconda di dette date.

Tal che si rendeva necessario rimettere il ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione di siffatto contrasto.

La posizione assunta dalla Pubblica accusa

Con memoria il Pubblico Ministero concludeva, sulla questione rimessa alle Sezioni Unite, conformemente all’orientamento maggioritario nella giurisprudenza per il quale il termine per la decisione del riesame in sede di rinvio decorre dalla data in cui pervengono al Tribunale gli atti dallo stesso nuovamente richiesti all’autorità procedente in considerazione del dato dirimente dell’autonomia del giudizio di rinvio fondato su un pieno esame dell’intero materiale probatorio anche a garanzia della stessa posizione dell’indagato che non può essere delimitato agli atti a suo tempo trasmessi dalla Corte di cassazione e da questa restituiti con la sentenza rescindente indicati dall’art. 100 disp. att. cod. proc. pen. in quelli funzionali per la decisione sull’impugnazione dinanzi alla Cassazione e di regola non comprendenti tutti gli atti utili ai fini della decisione del riesame.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Prima di entrare nel merito della questione, le Sezioni Unite procedevano alla sua delimitazione nei seguenti termini: “Se, in tema di misure caute/ari personali, nel caso di giudizio di rinvio a seguito di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura, il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, previsto per la decisione dall’art. 311, comma 5 – bis cod. proc. pen., decorra dalla data dell’arrivo alla cancelleria del tribunale o alla cancelleria della sezione del riesame del fascicolo relativo al ricorso per cassazione, comprendente la sentenza rescindente e gli atti allegati, ovvero dalla data in cui il tribunale riceva nuovamente dall’autorità giudiziaria procedente gli atti ad essa richiesti a norma dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.”.

Premesso questo, si faceva presente che nella questione da doversi affrontare si distinguevano un primo quesito, accennato nella formulazione appena riportata ma distintamente esposto nell’ordinanza di rimessione, attinente alla determinazione della cancelleria — quella centrale del tribunale ovvero quella della sezione per il riesame — il cui ricevimento degli atti identifica il momento iniziale della decorrenza del termine per la pronuncia della decisione sulla richiesta di riesame, nel caso in cui la stessa sia assunta a seguito di rinvio dalla cassazione ed un secondo quesito relativo all’individuazione degli atti dalla cui ricezione decorre detto termine.

Orbene, una volta rilevato che, come osservato dalla Sezione rimettente, la soluzione di quest’ultimo quesito era decisiva per il giudizio sul primo motivo di ricorso proposto sul rigetto dell’eccezione di inefficacia della misura cautelare personale in conseguenza della tardività della decisione impugnata rispetto al termine di cui sopra, gli Ermellini evidenziavano come su di esso si registrava un contrasto nella giurisprudenza di legittimità rilevandosi al contempo come si trattava di un contrasto di recente insorgenza in quanto esplicitamente posto in essere da una delle ultime pronunce della Corte Suprema con le quali la questione era stata affrontata (Sez. 1, n. 23707 del 29/01/2018) pur essendo detta pronuncia espressiva di un indirizzo implicitamente presupposto da altra decisione avente direttamente ad oggetto l’altro quesito in discussione (Sez. 1, n. 42473 del 17/03/2016).

Precisato ciò, veniva dedotto che, secondo tale orientamento, il termine per la decisione sulla richiesta di riesame, nella fase del giudizio di rinvio a seguito di annullamento del precedente provvedimento impugnato, decorre dal momento in cui perviene al tribunale il fascicolo trasmesso dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente fermo restando che, alla base dell’argomentazione che conduce a questa conclusione, vi è la mancanza nella norma che disciplina questa fase del procedimento, ossia l’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., di un espresso riferimento al passaggio che determinerebbe una diversa e successiva decorrenza del termine; segnatamente, una nuova richiesta del Tribunale di trasmissione degli atti, rivolta all’autorità giudiziaria procedente, corrispondente a quella prevista dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. per il giudizio ordinario del procedimento di riesame e questo dato negativo sarebbe da interpretarsi, secondo la citata pronuncia, nel senso dell’esclusione del passaggio di cui si è detto nella fase del rinvio.

Chiarito da dove origina questo approdo ermeneutico, per i giudici di piazza Cavour, per un primo aspetto, questa lettura sarebbe coerente con la disposizione dell’art. 623, lett. a), cod. proc. pen., per la quale l’annullamento dell’ordinanza impugnata comporta la trasmissione degli atti al giudice che l’ha pronunciata dato che tanto renderebbe non necessario l’ulteriore inoltro di una richiesta di trasmissione degli atti, superato in questa fase dalla disponibilità degli atti già assicurata dalla presenza degli stessi nel fascicolo inviato dalla Corte di cassazione.

Per altro profilo, l’interpretazione più rigorosa della mancata previsione di una nuova richiesta di trasmissione degli atti nella fase del rinvio, nel senso dell’assenza di tale passaggio procedurale, sarebbe conforme al principio affermato dalle Sezioni Unite con riguardo alla stessa norma di cui all’art. 311, comma 5-bis, c.p.p. sulla necessità di intendere in senso altrettanto rigoroso la previsione in detta norma di un termine specifico per il deposito del provvedimento adottato a seguito del giudizio di rinvio pari a trenta giorni e da ritenersi non prorogabile fino al quarantacinquesimo giorno come invece ammesso dall’art. 309, comma 10 per il deposito del provvedimento di primo grado (Sez. U, n. 47970 del 20/07/2017) poichè da tale principio si desumerebbe un più ampio carattere di specificità della disciplina normativa della fase di rinvio, dettata dall’art. 311, comma 5-bis, c.p.p. da ritenersi pertanto autonoma e diversa rispetto a quella prevista per il giudizio ordinario; derivandone l’impossibilità di attribuire alla mancanza di un richiamo alla richiesta di trasmissione degli atti all’autorità procedente, presente nella sequenza procedurale indicata nell’art. 309 c.p.p., il significato di un rinvio sottinteso alla relativa disposizione e dovendosi piuttosto ritenere tale mancanza come espressiva della volontà del legislatore di escludere il momento interlocutorio della richiesta degli atti dalla procedura del giudizio di rinvio.

Oltre a ciò, veniva rilevato che la posizione assunta con la sentenza n. 23707/2018 si inseriva quale dato di discontinuità rispetto ad un indirizzo giurisprudenziale fino a quel momento orientato nel senso della necessità, per la decorrenza del temine previsto per la decisione della fase di rinvio del giudizio di riesame, della ricezione da parte del tribunale degli atti nuovamente richiesti all’autorità giudiziaria procedente.

Si osservava in particolare, a questo proposito (Sez. 2, n. 15695 del 08/01/2016) che anche tale decisione presuppone la disponibilità di tutti gli atti presentati a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare personale e necessita altresì della possibilità di esaminare gli elementi eventualmente sopravvenuti rispetto a tale richiesta e, tenuto conto di ciò, quella stessa esigenza di una stretta interpretazione della norma di cui all’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., che sarebbe poi stata sottolineata anche nella sentenza n. 23707/2018, veniva intesa come conducente nella direzione della lettura della «ricezione degli atti», testualmente indicata nella norma quale momento iniziale della decorrenza del termine, come riferita agli atti ulteriormente richiesti ai sensi dell’art. 309, comma 5, e non a quelli restituiti dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente.

Questa conclusione veniva ribadita dalla giurisprudenza di legittimità sia precedentemente alla sentenza appena citata (Sez. 2, n. 32086 del 15/06/2017; Sez. 6, n. 27093 del 01/03/2017) che successivamente alla stessa (Sez. 4, n. 4923 del 21/01/2020; Sez. 5, n. 21710 del 28/02/2018) fermo restando che le argomentazioni della pronuncia difforme erano state peraltro oggetto di specifici rilievi in altre decisioni di segno contrario (Sez. 2, n. 42329 del 09/07/2019; Sez. 2, n. 31281 del 26/06/2019; Sez. 2, n. 21716 del 08/03/2019; Sez. 2, n. 15622 del 18/12/2018).

Detto questo, quanto in primo luogo al riferimento alla disposizione di trasmissione degli atti dalla Corte di cassazione al giudice che ha pronunciato il provvedimento annullato con rinvio, di cui dell’art. 623, lett. a), cod. proc. pen., nella sentenza  n. 15622/2018 se ne rilevava l’inconferenza per la problematica in discussione dovendosi tenere conto della natura incidentale del procedimento di riesame e della indisponibilità del fascicolo processuale in capo al tribunale dinanzi al quale detto procedimento si svolge; situazione, questa, alla quale si riteneva non idonea a sopperire la restituzione degli atti a suo tempo trasmessi alla Corte di cassazione per il ricorso avverso la prima decisione sul riesame considerato che l’art. 100 disp. att. cod. proc. pen. dispone l’invio alla Corte Suprema, con il ricorso, degli atti occorrenti per la decisione sull’impugnazione, non necessariamente coincidenti con tutti gli atti in possesso del tribunale e valutati per la pronuncia della decisione poi annullata.

Si aggiungeva d’altra parte che la procedura di riesame in fase di rinvio è disciplinata dall’art. 311, comma 5-bis c.p.p. secondo una sequenza parallela a quella dettata dall’art. 309, comma 5, c.p.p., per il giudizio ordinario, da ritenersi pertanto integralmente richiamata per il giudizio di rinvio in assenza di disposizioni allo stesso specificamente riferite.

L’ulteriore richiamo al principio affermato con la decisione delle Sezioni Unite n. 47970/2018 era ritenuto anch’esso irrilevante per il caso di specie in relazione a quanto affermato nella sentenza n. 31281/2019 ove si sottolineava che detto principio, stabilito con riguardo alla specifica disposizione relativa al termine per il deposito dell’ordinanza all’esito del giudizio sul rinvio, non incideva in via, né analogica, né di interpretazione estensiva, sul diverso aspetto del significato da attribuire all’espressione «ricezione degli atti» riportata nell’art. 311, comma 5-bis c.p.p. il quale a sua volta veniva introdotto dall’art. 13 legge 16 aprile 2015, n. 47 ed, intervenendo unicamente sul segmento conclusivo del giudizio di riesame in sede di rinvio e non toccando le precedenti scansioni procedurali, lasciava inferire, ad avviso della Suprema Corte, che la disciplina dell’art. 309, comma 5, c.p.p., in tema di richiesta di trasmissione degli atti all’autorità procedente, non limita la sua operatività all’ordinario giudizio di riesame ma si estende anche alla fase del rinvio caratterizzando la stessa nei termini di una ripartenza del giudizio anche nei suoi passaggi introduttivi.

Oltre a ciò, si segnalava altresì la conformità di tale profilo procedurale alla natura del giudizio di rinvio connotata, anche per il procedimento incidentale del riesame, da una completa rivalutazione del materiale probatorio rilevandosi al contempo ancora l’insufficienza, ai fini di questa esigenza valutativa, della restituzione degli atti trasmessi alla Corte di cassazione in considerazione della fisiologica parzialità della documentazione oggetto di tale trasmissione e della mancanza di disposizioni che prevedano il trattenimento degli atti presso il tribunale del riesame in pendenza del giudizio di Cassazione.

Detto questo, il contrasto, prospettato nei termini summenzionati, si rivelava per la Corte di legittimità come vertente, non tanto sull’individuazione del momento di decorrenza del termine per la decisione sulla richiesta di riesame in fase di rinvio, che della questione costituisce in realtà un aspetto consequenziale, quanto piuttosto su un profilo che attiene propriamente alla configurazione della sequenza procedurale del particolare giudizio di rinvio di cui si discute trattandosi, in altre parole, di stabilire se di tale sequenza, indiscutibilmente introdotta dall’arrivo presso il Tribunale della sentenza rescindente e degli altri atti del fascicolo trasmesso dalla Corte di Cassazione, costituisca o meno passaggio necessario l’avviso all’autorità procedente per l’invio degli atti, evidentemente ulteriore rispetto a quello già formulato nel primo grado del procedimento incidentale cautelare ai sensi dell’ad. 309, comma 5, cod. proc. pen. e, pertanto, se si possa concludere che la decorrenza del termine di cui sopra abbia inizio solo con la ricezione degli atti trasmessi a seguito di detto avviso.

Se si guarda al contenuto della previsione normativa che direttamente si occupa del giudizio di riesame in fase di rinvio, ossia l’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., per la Suprema Corte, non vi è dubbio che lo stesso non contenga alcun riferimento specifico ad una nuova richiesta di atti all’autorità procedente limitandosi la norma a prescrivere che «il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l’ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione», prevedendo di seguito la sanzione di inefficacia della misura cautelare per l’inosservanza di detti termini.

Il problema, a questo punto, invece, per il Supremo Consesso, è se la «ricezione degli atti» menzionata nella disposizione abbia ad oggetto gli atti restituiti dalla Corte di Cassazione o, invece, altri atti inviati dall’autorità procedente a seguito di una richiesta rivolta in tal senso alla stessa ai sensi dell’art. 309, comma 5; norma che sarebbe da intendersi, in questa prospettiva, implicitamente richiamata quale operativa anche in sede di rinvio.

Posto che la formulazione letterale del citato comma dell’art. 311 c.p.p. è in sé compatibile con entrambe le letture, nell’ordinanza di rimessione si pone l’accento sulla continuità testuale ravvisabile fra tale formulazione e quella dell’art. 623, comma 1, lett. a), c.p.p. ove quest’ultima prevede, nel caso in cui un’ordinanza sia annullata in cassazione, la trasmissione degli atti al giudice che l’ha pronunciata ossia una continuità che collegherebbe sistematicamente gli atti trasmessi secondo l’ultima disposizione e quelli la cui ricezione è menzionata dall’art. 311 c.p.p. quale momento iniziale di decorrenza del termine per la decisione in sede di rinvio, nel senso di indicare le due previsioni come riferite agli stessi atti in mancanza di diverse indicazioni desumibili dal testo della norma da ultima citata.

Pur tuttavia, per le Sezioni Unite, questa argomentazione non è tuttavia risolutiva in quanto la riconducibilità delle espressioni dell’art. 623 c.p.p. e dell’art. 311 c.p.p. allo stesso compendio di atti è invero fondata su un dato letterale ossia quello della trasmissione di atti fra diversi uffici giudiziari sia pure nell’ambito dello stesso procedimento, troppo generico sempre per la Cassazione per concluderne che gli atti, la cui ricezione è indicata nel comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p., ai fini appena descritti, coincidano con quelli inviati dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 623 c.p.p. tanto, soprattutto, ove si tenga conto per un verso delle non sovrapponibili estensioni della materie governate dalla due norme delle quali quella di cui all’art. 623 c.p.p. è riferita in generale agli effetti dell’annullamento in Cassazione delle ordinanze mentre la disposizione dell’art. 311 c.p.p. riguarda la più delimitata fattispecie del giudizio di rinvio, a seguito di annullamento, nella procedura di riesame dei provvedimenti cautelari e, per altro, della presenza in quest’ultima procedura di un’articolata e specifica disciplina, dettata dall’art. 309 c.p.p., che prevede per l’ordinario giudizio di riesame la trasmissione di atti dall’autorità procedente al Tribunale alla cui ricezione, distinta e compatibile con quella degli atti provenienti dalla Corte di Cassazione, potrebbe ugualmente riferirsi l’indicazione dell’art. 311 c.p.p..

Rimane pertanto centrale, secondo i giudici di piazza Cavour, la discussione del problema relativo all’accertamento della necessità, per il corretto svolgimento del giudizio di rinvio nel procedimento di riesame, di una nuova richiesta di atti all’autorità procedente, in conseguenza di un implicito richiamo alla previsione posta in tal senso dall’art. 309, comma 5,  c.p.p., per il giudizio ordinario.

Orbene, in questa prospettiva, per i giudici di legittimità ordinaria, occorre partire da una considerazione vale a dire che l’art. 311, comma 5-bis cod. proc. pen., unica sede normativa dedicata al particolare giudizio di rinvio, è stato introdotto solo con l’art. 13 della legge n. 47 del 2015 mentre, in precedenza, questa fase del procedimento cautelare era priva di una disciplina specifica e, dunque, in una situazione siffatta, era evidente, per la Suprema Corte, come tale fase non potesse che ritenersi regolata dalle disposizioni previste dall’art. 309 c.p.p. per l’ordinario giudizio di riesame visto che la giurisprudenza di legittimità richiamava in diverse occasioni tali disposizioni in base alle quali la questione veniva risolta in senso positivo (Sez. 6, n. 51684 del 28/11/2014; Sez. 4, n. 33659 del 19/05/2010).

Perché la disciplina generale dell’art. 309 c.p.p. possa essere considerata in tutto o in parte inoperante per effetto della novella del 2015, pertanto, sempre ad avviso del Supremo Consesso, quest’ultima avrebbe dovuto sovrapporvi una normativa tale da governare in termini altrettanto generali la fase del rinvio e tanto, però, non è ravvisabile anche dalla semplice lettura del testo del comma 5-bis aggiunto all’art. 311 c.p.p. dalla riforma che si risolve nello stabilire precisi termini per la decisione e per il deposito del provvedimento e nell’indicare le conseguenze della violazione di detti termini sull’efficacia della misura cautelare fermo restando che una delimitazione del contenuto della norma, questa, veniva peraltro immediatamente colta dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sulla stessa ove se ne rilevava la natura essenzialmente sanzionatoria della possibile inerzia dell’ufficio giudiziario competente a decidere il riesame in sede di rinvio (Sez. 2, n. 15695 del 08/01/2016) in attuazione di principi di celerità di detta decisione in materia cautelare a tutela della libertà personale, affermati anche in sede comunitaria.

Il comma aggiunto all’art. 311 c.p.p., intervenendo in una situazione pregressa nella quale la fase del rinvio era disciplinata come quella ordinaria dall’art. 309 c.p.p., dunque, riduceva la sua funzione nel regolare la conclusione di detta fase ossia quella della decisione per il solo profilo dell’indicazione della dimensione e della perentorietà dei termini per la pronuncia di tale decisione e per il deposito della relativa motivazione e quindi, con riguardo a tutti i precedenti passaggi procedurali della fase in discussione, la stessa deve ritenersi per le Sezioni Unite tuttora ordinata secondo le disposizioni dell’art. 309 c.p.p. il che è tanto del resto conforme alla natura del procedimento incidentale cautelare nel suo complesso trattandosi, in effetti, di un procedimento le cui espressioni decisorie sono sorrette da valutazioni necessariamente condizionate dallo stato degli atti, nei momenti nei quali sono assunte e dai dati di fatto che in quei momenti sono disponibili; dati inevitabilmente soggetti a progressive modificazioni in una situazione nella quale il procedimento si svolge parallelamente alla fase delle indagini preliminari e tali condizioni non vengono meno evidentemente con la pronuncia di una sentenza di annullamento in cassazione e permangono, dunque, anche nel corso del giudizio di rinvio posto che, in quest’ultima sede, il generale dovere del giudice di rinvio di uniformarsi al principio di diritto stabilito con la sentenza rescindente non preclude l’esame di circostanze sopravvenute, idonee ad incidere sul quadro cautelare.

Le Sezioni Unite, pur affermando la ricorrenza di detto obbligo anche con riguardo al giudizio di rinvio nel procedimento cautelare, invero, ne hanno escluso la violazione nel caso in cui il giudice del rinvio rilevi la sopravvenienza del decreto dispositivo del giudizio di merito ai fini delle possibili implicazioni della stessa per la sussistenza dei gravi indizi (Sez. U, n. 39915 del 30/10/2002) e tale orientamento, lungi dall’essere smentito, ha trovato sostanziale conferma ove, nell’attribuire efficacia preclusiva alla decisione definitiva emessa sull’appello del pubblico ministero contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare, si è precisato come si tratti di una efficacia rebus sic stantibus superabile in presenza di nuove acquisizioni probatorie che determinino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004) tenuto conto altresì del fatto che la possibilità di valutare nel giudizio di rinvio elementi sopravvenuti, purché gli stessi vengano introdotti nel contraddittorio delle parti e detta valutazione sia condotta in conformità al principio di diritto posto con la sentenza di annullamento, è stata ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, oltre con le già menzionate sentenze nn. 51684/2014 e 33659/2019, anche con altre pronunce successive all’aggiunta del comma 5-bis all’art. 311 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22015 del 13/02/2019; Sez. 2, n. 53645 del 08/09/2016; Sez. 2, n. 8854 del 09/02/2016) e ciò in coerenza con l’analoga posizione assunta dalla giurisprudenza con riguardo all’effetto preclusivo del cosiddetto giudicato cautelare derivante dalla precedente decisione di riesame ritenuto anch’esso limitato allo stato degli atti e non ostativo all’esame di elementi nuovi che modifichino il quadro cautelare (Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015; Sez. 5, n. 1241 del 02/10/2014).

Da ciò se ne faceva conseguire che, nel procedimento di impugnazione in materia cautelare, il giudizio in sede di rinvio è condotto in base agli stessi criteri valutativi propri del giudizio ordinario che presuppongono un pieno esame del materiale probatorio disponibile al momento in cui il giudizio si svolge coerentemente con la costante aderenza alla situazione di fatto che è nella natura di tale procedimento ed è pertanto conforme a logica giuridica che, anche sul piano procedurale, il giudizio di rinvio si svolga secondo la stessa sequenza prevista per il giudizio ordinario dall’art. 309 cod. proc. pen. come già emergente dal sistema fino alla novella del 2015 e non modificato sostanzialmente da quest’ultima se non per il limitato aspetto dei tempi della decisione e del deposito della motivazione.

Tal che se ne faceva derivare, come ulteriore conseguenza, che, essendo parte integrante di detta sequenza l’avviso all’autorità procedente perché la stessa trasmetta al tribunale gli atti presentati a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare e quelli eventualmente sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini, previsto dal comma 5 dell’art. 309 del c.p.p., tale passaggio procedurale deve essere seguito anche nel giudizio di rinvio fermo restando che tale conclusione è peraltro rafforzata dal fatto che questo incombente è specificamente funzionale ad assicurare la disponibilità di tutto il materiale utile per la decisione in materia cautelare.

Oltre a ciò, se ne faceva seguire anche la considerazione secondo cui la ricezione di questi atti segna anche in sede di rinvio, come previsto dal comma 10 dell’art. 309 c.p.p. per il giudizio ordinario, la decorrenza del termine per la decisione e che è pertanto a questa ricezione, e non a quella degli atti trasmessi dalla Corte di Cassazione, che il comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. fa riferimento in tal senso.

Ebbene, queste conclusioni sono sorrette per la Suprema Corte anche da un’altra considerazione, ossia che la decorrenza di un termine per la decisione è giustificata dalla disponibilità di atti che consentano di assumere tale decisione e che permettano in particolare al giudice quella piena valutazione del materiale del materiale probatorio che si è visto essere necessaria anche nel giudizio di rinvio.

Inoltre, per la Corte di legittimità, a fronte di ciò, se gli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria che procede in quanto tali rappresentativi dello stato attuale delle indagini, garantiscono questa completezza di valutazione, altrettanto non può dirsi per gli atti restituiti dalla Corte di Cassazione con la sentenza rescindente visto che questi ultimi coincidono con gli atti trasmessi per la decisione del ricorso per Cassazione la cui individuazione è determinata dall’art. 100 disp. att. cod. proc. pen. come in tutti i casi in cui è impugnato un provvedimento riguardante la liberà personale, negli «atti necessari per decidere sull’impugnazione» in quanto è evidente che gli atti, occorrenti nell’orizzonte valutativo del giudizio sul ricorso per Cassazione tenuto conto dei limiti nei quali lo stesso è proponibile, appaiono per ciò solo non necessariamente sufficienti nella ben più ampia prospettiva di valutazione del giudizio di rinvio ma, a parte questo, il riferimento esclusivo a tali atti, ai fini della decisione e quindi della decorrenza del termine per la relativa pronuncia, escluderebbe per il Supremo Consesso la possibilità, per l’autorità di precedente, di porre a disposizione del Tribunale gli elementi sopravvenuti nel corso della celebrazione del giudizio di Cassazione dei quali, invece, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato la rilevabilità nel giudizio di rinvio.

A fronte di tale valutazione giuridica, le Sezioni Unite riteneva come non conducesse in una direzione diversa la pur doverosa attenzione per le esigenze di celerità del procedimento cautelare valorizzate dall’orientamento espresso con la sentenza n. 23707/2018 e indubbiamente perseguite dalla riforma che portava all’introduzione del comma 5-bis dell’art. 311 cod. proc. pen..

Per addivenire a siffatta conclusione, veniva preliminarmente osservato, in linea generale, che tali esigenze devono conciliarsi con quella della completezza degli elementi valutabili per il giudizio anch’essa rilevante in materia cautelare ed assicurata dall’aggiornamento della disponibilità degli atti per effetto della trasmissione degli stessi da parte dell’autorità procedente al momento in cui il giudizio viene pronunciato mentre, quanto poi in particolare al richiamo dell’indirizzo giurisprudenziale minoritario al principio di diritto affermato con la sentenza delle Sezioni Unite n. 47970/2017, lo stesso veniva stimata irrilevante per la problematica trattata ove tale principio, anche nei termini in cui era stato confermato da successive pronunce di legittimità (Sez. 2, n. 37811 del 26/06/2019; Sez. 3, n. 11930 del 31/01/2018), limitava il suo ambito di operatività al contenuto specifico della riforma citata, riguardante per quanto detto solo la parte finale del giudizio di rinvio, sottolineando la tassatività del termine di trenta giorni fissato dalla norma per il deposito dell’ordinanza ed escludendo di conseguenza, per il giudizio di rinvio, la possibilità per il Tribunale di disporre il deposito nel termine prolungato fino al quarantacinquesimo giorno, viceversa consentita dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. per l’ordinario giudizio di riesame.

Da ciò se ne faceva conseguire come ciò non incida sui passaggi precedenti della procedura in sede di rinvio e segnatamente sulla necessità della nuova richiesta di trasmissione degli atti all’autorità procedente funzionale all’esigenza di completezza di cui sopra.

L’ulteriore accenno dell’ordinanza di rimessione alla mancanza, nell’orientamento giurisprudenziale maggioritario, di alcun riferimento alle conseguenze di eventuali ritardi nella trasmissione degli atti nuovamente richiesti, rispetto al termine di cinque giorni stabilito dal comma 5 dell’art. 309, c.p.p., ad avviso delle Sezioni Unite, riguardava un aspetto superato da quanto in precedenza osservato sulla riproduzione, nel giudizio di rinvio, di tutti i passaggi procedurali del giudizio ordinario di riesame fra i quali sono pertanto inclusi quelli relativi alla previsione del termine di cui al citato comma 5 ed alla sanzione di inefficacia della misura cautelare prevista dal successivo comma 10 per la violazione di detto termine.

Il quesito posto dalla Sezione rimettente, relativo all’individuazione degli atti la cui ricezione determina la decorrenza dei termini per la decisione del riesame in sede di rinvio e per il deposito della relativa ordinanza, veniva pertanto risolto, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel senso dell’inizio della decorrenza di detti termini al momento in cui pervengono al tribunale gli atti nuovamente richiesti all’autorità giudiziaria che procede secondo la sequenza procedurale prevista dall’art. 309 cod. proc. pen. per l’ordinario giudizio di riesame e con le sanzioni processuali ivi previste.

Sull’ulteriore quesito nel quale si articolava la questione rimessa alle Sezioni Unite concernente l’individuazione della cancelleria la cui ricezione degli atti determina l’inizio della decorrenza dei termini di cui sopra, veniva preliminarmente rilevato che lo stesso, alla luce della soluzione del quesito precedentemente esaminato, viene ad inquadrarsi in una prospettiva diversa da quella nella quale era collocato nell’ordinanza di rimessione dato che, per un verso, ove specificamente riferito alla ricezione degli atti trasmessi dalla Corte di Cassazione a seguito di annullamento della prima ordinanza pronunciata sulla richiesta di riesame, detto quesito perde indubbiamente rilevanza nel momento in cui tale ricezione non determina la decorrenza dei termini per la decisione in sede di rinvio, per altro verso, tuttavia, il punto in discussione ha incidenza sull’intera sequenza dei passaggi procedurali nei quali la ricezione di determinati atti presso il Tribunale competente per il riesame dà luogo alla previsione di termini tassativi per i passaggi successivi.

Tale sequenza, difatti, ha inizio, per il giudizio di rinvio, proprio con l’arrivo al Tribunale degli atti inviati dalla Corte di Cassazione che, nel parallelismo che sussistente fra detto giudizio e quello ordinario sotto la comune regolamentazione delle disposizioni dell’art. 309 cod. proc. pen., assume la funzione di atto introduttivo della procedura di rinvio corrispondente a quella svolta per la procedura ordinaria dalla presentazione della richiesta di riesame posto che, proprio con riguardo al giudizio ordinario, ha cominciato a manifestarsi un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sull’identificazione della cancelleria presso la quale la presentazione di detto atto introduttivo avvia la procedura con i relativi effetti anche dal punto di vista della decorrenza dei termini.

Un primo orientamento, infatti, faceva iniziare tale decorrenza dalla ricezione della richiesta di riesame da parte della cancelleria centrale del Tribunale e non dal successivo passaggio dell’atto alla cancelleria della sezione del riesame; non avrebbero infatti rilievo, secondo tale indirizzo, i tempi di smistamento degli atti fra le ripartizioni interne del tribunale, costituendo quest’ultimo un unico ufficio giudiziario (Sez. 4, n. 2909 del 20/12/2005).

Altra lettura collocava invece l’avvio della procedura nel momento in cui la richiesta di riesame perviene alla cancelleria della sezione del riesame in quanto competente a decidere sulla stessa (Sez. 3, n. 4417 del 17/12/2009) fermo restando che questa seconda posizione è stata ripresa con specifico riferimento al giudizio di rinvio sul presupposto della decorrenza del termine per la relativa decisione dalla ricezione degli atti provenienti dalla Corte di Cassazione ponendo l’inizio di detta decorrenza al momento in cui detti atti pervengono alla cancelleria della sezione del riesame (Sez. 1, n. 42473 del 17/03/2016) ed era stata confermata, sia pure incidentalmente, nella più volte citata sentenza n. 23707/2018.

Orbene, una volta illustrati questi orientamenti nomofilattici, le Sezioni Unite evidenziavano come, per la soluzione del problema, fosse opportuno osservare che la ricezione degli atti introduttivi della procedura di riesame — la richiesta di riesame per la procedura ordinaria e gli atti inviati dalla Corte di cassazione per quella di rinvio — ha, come effetto immediato per entrambe le procedure, una volta accertata la necessità anche in sede di rinvio dell’avviso all’autorità procedente per la trasmissione degli atti, l’inizio della decorrenza del termine di cinque giorni previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. perché questi ultimi atti pervengano al tribunale la cui inosservanza è sanzionata con l’inefficacia della misura dal successivo comma 10.

La giurisprudenza di legittimità, superando un precedente orientamento di segno contrario (Sez. U, n. 10 del 25/03/1998; Sez. 1, n. 3568 del 16/06/1998), ha invero individuato il momento iniziale di decorrenza del termine nella presentazione della richiesta di riesame e non nel successivo recepimento da parte dell’autorità precedente, dell’avviso di detta presentazione emesso dal presidente del tribunale (Sez. U, n. 25 del 16/12/1998,; Sez. 3, n. 2756 del 26/08/1999; Sez. 1, n. 2925 del 12/04/1999; Sez. 1, n. 243 del 11/01/1999; Sez. 2, n. 6636 del 06/11/1998; Sez. 3, n. 3045 del 17/11/1998; Sez. 4, n. 2295 del 07/07/1998) fermo restando come determinante, in questo senso, fosse stato il pronunciamento della Corte costituzionale sulla proposta questione di legittimità dell’art. 309, comma 5 e 10, cod. proc. pen., nella parte in cui non vi è prevista alcuna sanzione di inefficacia della misura cautelare per la violazione dell’obbligo di immediatezza dell’avviso all’autorità procedente del deposito della richiesta di riesame; questione ritenuta non fondata a condizione che le citate disposizioni fossero interpretate nel senso della decorrenza del termine per la trasmissione degli atti, a cura dell’autorità procedente, dalla presentazione della richiesta (Corte cost., sent. n. 232 del 1998).

La diversa lettura della decorrenza del termine dalla ricezione, da parte della predetta autorità, dell’avviso della presentazione della richiesta, fino a quel momento seguita dalla giurisprudenza, era infatti considerata tale da incorrere nella censura di incostituzionalità ove il decorso di termini perentori, stabiliti dalla norma, ne risultava affidato a scelte di organi giudiziari non vincolate da tassativi vincoli temporali essendo pertanto conforme al dettato costituzionale la diversa interpretazione, compatibile con il testo normativo, che legava il momento iniziale della decorrenza al dato certo della presentazione della richiesta di riesame.

Oltre a ciò, veniva altresì osservato come il principio affermato dalla Corte costituzionale, e ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità, abbia avuto decisive implicazioni in relazione al quesito esaminato nel caso di specie posto che un’indicazione di carattere generale per cui il procedimento di impugnazione in materia cautelare, per la sua incidenza sul valore della libertà personale, richiede una celerità di trattazione che esclude la presenza di intervalli temporali non controllabili e non strettamente funzionali alle esigenze giudiziarie.

La sequenza procedurale, in altre parole, deve essere caratterizzata da cadenze segnate da tempi certi che consentano di giungere ad una sollecita definizione e, nella successione di tali cadenze, non possono inserirsi momenti di stasi dovuti ad esigenze burocratiche tenuto conto altresì del fatto che a questi criteri si ispiravano del resto le Sezioni Unite, pur nell’ambito della superata interpretazione nel senso della decorrenza del termine per la trasmissione degli atti dall’avviso della presentazione della richiesta di riesame ricevuto dall’autorità procedente, ove precisavano che vi è inosservanza del termine per il solo fatto che gli atti non pervengano tempestivamente al Tribunale a nulla rilevando che il loro invio sia avvenuto entro la scadenza del termine (Sez. U, n. 13 del 17/12/1997).

Orbene, per la Suprema Corte, il transito degli atti dalla cancelleria centrale del tribunale, ove gli stessi siano materialmente pervenuti, alla cancelleria della sezione del riesame, costituisce per l’appunto uno dei passaggi burocratici interni all’ufficio giudiziario i cui tempi di espletamento non possono prolungare, secondo i principi appena enunciati, la sequenza del procedimento di impugnazione in materia cautelare il che tanto vale per gli atti introduttivi sia della procedura ordinaria di riesame che per quella di rinvio, quanto in particolare a quest’ultima la ricezione del fascicolo trasmesso dalla Corte di cassazione che dà pertanto inizio al giudizio di rinvio dal momento in cui gli atti stessi pervengono alla cancelleria del tribunale essendo irrilevante il tempo impiegato per il successivo passaggio del fascicolo alla cancelleria della sezione del riesame visto che da quel momento comincia a decorrere il termine di cinque giorni entro il quale l’autorità procedente, all’uopo avvisata, deve provvedere alla trasmissione degli atti richiesti.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, veniva pertanto affermato il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, il procedimento di riesame si svolge seguendo le stesse cadenze temporali e con le stesse sanzioni processuali previste dall’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., con inizio di decorrenza dei relativi termini dal momento in cui gli atti trasmessi dalla Corte di cassazione pervengono alla cancelleria del tribunale“.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa viene spiegato come si deve svolgere il procedimento di riesame nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale.

Difatti, in tale pronuncia, dirimendosi un contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto, viene affermato il principio di diritto secondo il quale, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, il procedimento di riesame si svolge seguendo le stesse cadenze temporali e con le stesse sanzioni processuali previste dall’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., con inizio di decorrenza dei relativi termini dal momento in cui gli atti trasmessi dalla Corte di Cassazione pervengono alla cancelleria del Tribunale.

Pertanto, tale arresto giurisprudenziale deve essere preso nella dovuta considerazione dato che, pure nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, vanno osservate le cadenze temporali previste dall’art. 309, c. 5 e c. 10, c.p.p. pena la sanzione processuale contemplata nel comma decimo.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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