Succede, talora, di imbattersi in pronunzie giurisprudenziali che suscitano non poche perplessità, atteso che risultano contraddire – inspiegabilmente – orientamenti ed insegnamenti, non solo pacifici, ma, indubbiamente muniti di caratteri di logicità.
E’ il caso della sentenza n. 17008/14 resa lo scorso 25 febbraio 2014 (ma depositata il 17 aprile 2014) dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, la quale, dichiarando inammissibile un ricorso avverso una decisione della Corte di Appello di Napoli, in materia di applicazione dell’istituto della lieve entità, ai sensi del comma 5° dell’art. 73, (concernente un fatto commesso nel marzo 2013), non tiene, però, in debito conto i reali effetti quoad poenam prodotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32.
In buona sostanza, il Collegio di legittimità, per individuare quale possa essere la norma da applicare alla fattispecie, pone in comparazione la L. 49/2006 – abrogata – solamente con il DL. 146/2013 (che ha innovato radicalmente il regime dell’istituto della lieve entità portandolo da circostanza aggravante ad effetto speciale a reato autonomo), omettendo, invece, di considerare che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis DL 272/2005 – che coinvolge direttamente l’art. 73 (e, quindi, anche il comma 5°) – determina l’effetto della riviviscenza del testo vigente anteriormente alla data del 28 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della L. FINI-GIOVANARDI).
Dunque, il giudizio di valenza, che avrebbe dovuto essere, comunque, svolto dal giudice di legittimità anche in presenza di un ricorso per cassazione che si potesse rivelare inammissibile [Cfr. Prime riflessioni sulle possibili ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sul trattamento sanzionatorio in materia di sostanze stupefacenti (a cura di: Matilde Brancaccio, Giorgio Fidelbo, Raffaele Piccirillo, Roberta Zizanovich)] avrebbe dovuto utilizzare, quali fondamentali termini di paragone, da un lato, l’aart. 73 come modificato dalla L. 49/2006 – disposizione in base alla quale era stata emessa la sentenza soggetta ad impugnazione – e, dall’altro, l’art. 73 nella formulazione JERVOLINO-VASSALLI, costituendo quest’ultima edizione della norma la lex mitior da prendere in esame (prevedendo al comma 5° una pena per gli stupefacenti di cui alle tabelle II e IV della reclusione da 6 mesi a 4 anni, oltre alla multa).
Incomprensibilmente, quindi, il Supremo Collegio – pur sollevando opportunamente l’argomento della determinazione in concreto di quale avrebbe potuto essere la legge da applicare effettivamente al caso concreto – non considerano la retroattività dell’intervento demolitorio del giudice delle leggi, che permette di ritenere come sempre vigente la norma che era stata sostituita dalla disposizione dichiarata incostituzionale.
La sentenza non considera, inoltre, che le SS.UU. (con la sentenza 22 marzo 2005 n. 232428 Bracale) ebbero ad affermare che l’inammissibilità di un’impugnazione, pur precludendo la possibilità di fare valere specifiche cause estintive del reato (quale la la prescrizione), ammettono, però, la cognizione del giudice dell’impugnazione in relazione “all’accertamento dell’abolitio criminis o della dichiarazione di costituzionalità della norma incriminatrice formante oggetto dell’imputazione”.
In aderenza a tale principio proprio la Sez. VI (16 maggio 2013, n. 21982, Ingordini), in una situazione analoga a quella in esame, pur rilevando l’inammissibilità del ricorso, ha annullato la sentenza impugnata, in quanto nella more del giudizio di cassazione era stata dichiarata la incostituzionalità del divieto di prevalenza dell’allora circostanza attenuante della lieve entità (art. 73 co. 5) sulla recidiva ex art. 99 co. 4 cp .
Ritiene, pertanto, chi scrive che, in relazione alla questione risolta con la sentenza in commento, la Corte Suprema avrebbe dovuto
1) procedere alla preliminare comparazione fra il DPR 309/90, il DL 272/2005 conv. in L. 49/2006 ed il DL. 146/2013 conv. in L. 10/2014, onde inferire tra i tre testi richiamati la legge più favorevole;
2) individuare, quindi, nel testo originario del comma 5° dell’art. 73, la norma da applicare al caso concreto, in virtù del ripristino – nel lasso di tempo che va dal 28 febbraio 2006 al 24 dicembre 2013 – della JERVOLINO-VASSALLI, vale a dire la lex mitior, atteso il trattamento sanzionatorio di maggiore favore.
Come osservato dallo studio sopra richiamato (Prime riflessioni sulle possibili ricadute cit.) se il divieto di irretrotattività della legge penale sfavorevole deriva dall’art. 25/2° Cost. , il principio di retroattività della lex mitior, a propria volta, “è insediato nel principio di uguaglianza, che……impone di equiparare il trattamento dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice”
Sia consentito osservare che la circostanza che alla data dell’udienza (25 febbraio 2014) non fosse stata pubblicata espressamente la sentenza n. 32 (o meglio fosse conosciuta informalmente ed ufficiosamente, con il deposito in Cancelleria), avrebbe dovuto indurre tutte le parti (Corte in primis) ad un prudente differimento dell’udienza.
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