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La decisione contenuta nell’ordinanza pronunziata dal Tribunale del Riesame di Perugia pone rimedio ad una scelta di politica giudiziaria apparsa sin dall’inizio del tutto disancorata dal testo della vigente legge Merlin.
Va, infatti, rilevato come il giudice costituito ex art. 309 cpp abbia immediatamente posto l’accento sulla posizione di terzietà, che il “cliente” della prostituta non assume rispetto, essendo soggetto attivo di un rapporto a prestazioni sinallagmatiche, seppure di natura illecita.
Ciò appare in armonia e conformità con l’orientamento espresso nel tempo dalla S.C., la quale, addirittura, con pronunzie recentissime ha delimitato ulteriormente, l’ambito delle condotte penalmente sanzionabili a titolo di favoreggiamento, affermando, addirittura, che “Non e’ qualificabile come favoreggiamento della prostituzione l’attivita’ di domestico addetto all’abitazione della prostituta il quale si limiti ad aprire la porta ai “clienti” e ad intrattenersi con loro nell’attesa che la prostituta li riceva in camera.” (Cassazione penale sez. III, 13 gennaio 1999, n. 2296) Nanno, in Riv. pen. 1999, 247, Giust. pen. 1999,II, 706 -Conforme- Cassazione penale sez. III, 13 gennaio 1999, n. 2269
Si deve, quindi, osservare e ribadire che appare certamente pertinente e corretta l’affermazione del Collegio, che rileva “.. la necessità di conferire al precetto un contenuto specifico, in linea con l’esigenza anche costituzionale di tipicità (la quale, tanto più a fronte dì formulazioni generiche, impone di far riferimento al significato delle parole che si è consolidato nel tempo in un determinato contesto anche di tipo sociologico, e di rifuggire dalle interpretazioni sorprendenti).Ed allora deve prendersi atto che la condotta agevolatrice assume un significato preciso e pregnante solo all’interno di quel rapporto di intermediazione di cui s’è detto.”:
E’, infatti, la cd. posizione di intermediario del favoreggiatore (o dello sfruttatore), che deve essere valorizzata , a fini di comparazione fra condotta materiale e stereotipo normativo.
Ne consegue, quindi, che l’equiparazione del “cliente” al protettore, in punto a responsabilità penale, appare oggi, come d’altronde, appariva qualche mese or sono, più una forzatura propagandistica (sul teorico piano deterrente), che una ipotesi realisticamente praticabile.
Va sottolineato, infatti, che le due condotte (sia materialmente, che psicologicamente) appaiono sul piano naturalistico e su quello ontologico, del tutto diverse tra loro.
Nessuna delle otto ipotesi di cui all’art. 3 L. 75/58 prevede assolutamente la possibilità che il “cliente” possa a qualsivoglia titolo venir indagato.
Neppure la lettera del n. 8) del citato art. 3, che recita: “chiunque a qualsiasi titolo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui” può venir, nonostante il suo carattere di assoluta genericità precettiva (ed il rischio di palese incostituzionalità), applicato all’ipotesi ventilata.
Non può, infatti, venir dimenticato il fatto che, ragionando allo stesso modo del G.I.P. o del P.M., si finisce per confondere attività strumentale ed attività finale.
E’, pertanto, strumentale quell’attività collaborativi che abbia connotati di specificità, e non già di genericità, ponendosi organicamente all’interno dell’attività intermediativa.
Non a caso l’ordinanza de qua sostiene in modo assolutamente condivisibile che “. Ciò dimostra che non ogni aspecifica forma di collaborazione o agevolazione può dirsi punibile, ma soltanto quella che postula l’intermediazione nell’altrui mercimonio. Né può sottacersi che l’estensione al cliente delle sanzioni previste per il favoreggiatore finirebbe per criminalizzare l’accordo come tale e l’atto sessuale che ne deriva, facendo venir meno la ragione dell’esclusione della prostituta dal novero dei destinatari dei precetti penali e dunque rendendo configurabile un profilo di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., impregiudicato un complessivo riassetto normativo del rapporto prostituta-cliente.”
Ne deriva, perciò, che sul piano strettamente penale, che è l’ambito che ci interessa, giacchè ben altro e diverso deve essere il giudizio sul piano etico, non è affatto possibile assimilare la condotta del fruitore le prestazioni sessuali, nè con il favoreggiatore, nè, tanto meno, con lo sfruttatore.
La ratio del favoreggiamento non può non attenere alla “struttura organizzativa” che sottende alla attività esercitata dalla prostituta. Molte volte tale ruolo si confonde e sovrappone con quello dello sfruttatore.
Volendo, però, operare una distinzione fra le due condotte, non è revocabile in dubbio, che essa coinvolga chi e coloro che si limitino a fornire supporti, strumenti ed ausilio alla prestazione od all’offerta della prostituzione, senza necessariamente esercitare quel più spiccato controllo e soggezione personale ed economica che integra lo sfruttamento vero e proprio.
Così chi fornisca l’interessata di profilattici, chi le consenta l’uso di immobili o locali ove esercitare la prostituzione, chi accompagni o prelevi al lavoro la prostituta, chi la controlli durante tale attività, chi le fornisca telefoni cellulari per mantenere contatti e via dicendo, può esser accusato di favoreggiamento.
3) Ancor più evidente è la differenza con lo sfruttatore.
Questi è personaggio che trae il vantaggio della turpe attività, esercitando quel potere di controllo, spesso per il tramite di gravi violenze, e che fruendo di tale illecita posizione dominante, è il terminale economico dell’attività, essendo la figura che incamera (direttamente o indirettamente) i proventi dell’altrui attività.
E’ tutt’altro che raro che il protettore sia lo stesso individuo che importa le ragazze da paesi stranieri, che le attiri con menzogne e false promesse, che le segreghi, infine, facendole soggiacere al suo volere, riducendole anche, in casi estremi, in schiavitù.
Tutto questo insieme di condotte non può venir ascritto in alcun modo all’individuo che decida di fruire della prestazione della prostituta.
Al “cliente”, perchè questi possa essere soggetto di indagine o, indi, per essere destinatario di un giudizio di responsabilità penale, deve poter esse contestata sul piano psicologico una condotta tesa a rafforzare l’insieme degli elementi sopra ricordati, od anche una solo di questi.
Si tratta di una prova, francamente, impossibile da raggiungere, anche perchè il dolo richiesto per la punibilità del reato in oggetto non appartiene certamente al modo di pensare del cliente, che si rapporta in ben altra maniera con la prostituta.
In origine si è ipotizzato da parte degli inquirenti il delitto di “agevolazione dolosa della prostituzione”, sotto il profilo che nel caso posto a fondamento del provvedimento impugnato il delitto sarebbe stato integrato non dal mero rapporto di clientela, bensì da un quid pluris , individuato nella varia utilizzazione della vettura.
Il riferimento è stato ritenuto dal Tribunale privo di fondamento giuridico, e sia consentito affermare risulta, a parere di chi scrive, argomento meramente suggestivo, in quanto omette di valutare il contesto nel quale l’uso del veicolo avviene.
La condotta del cliente che riaccompagna la prostituta nel luogo originario è giuridicamente irrilevante, perché esso di per sé solo non agevola la prostituzione della donna, che potrebbe essere (come lo è effettivamente) esercitata a prescindere da tale casuale aiuto, ed ovunque.
L’uso del veicolo fu oggetto di una ormai obsoleta pronunzia, che, peraltro, non lasciava e non lascia tuttora spazio ad equivoci laddove afferma che “Costituisce agevolazione della prostituzione trasportare con l’auto sistematicamente una prostituta sul luogo del meretricio e successivamente ivi recarsi per rilevarla.” Cassazione penale, sez. III, 17 febbraio 1978, Avalone, Giust. pen. 1979, 96,II (s.m.). Cass. pen. 1980, 557.
Non sfuggirà, neppure al lettore più distratto l’uso dell’avverbio “sistematicamente”, che appare l’elemento decisivo di connotazione della condotta cd. di intermediazione evidenziata nell’ordinanza.
Francamente le osservazioni sin qui svolte portano a ribadire i già avanzati dubbi di genericità di una previsione eminentemente residuale, rispetto alle sette precedenti; ma, soprattutto, al di là di tali dubbi, la norma in questione fa esplicito riferimento alle condotte di favoreggiamento e sfruttamento.
Escluso a priori lo sfruttamento, è, quindi, a parere di chi scrive, del tutto improponibile sul piano giuridico considerare il cd. “utente finale” come un soggetto che apporti un contributo concausale teso a favorire la prostituzione.
Pare di capire che il ragionamento sotteso potrebbe essere quello di nautra squisitamente mercantile, in base a quale la cessazione della richiesta di illecite prestazioni, farebbe crollare il mercato dell’offerta delle stesse.
Se questo dovesse essere il pensiero degli inquirenti, sia consentito essere piuttosto scettici sulla sua fondatezza e sulle concrete possibilità di positivo risultato.
Si dimentica, infatti, che la prostituzione esiste a prescindere dalla richiesta di “sesso a buon mercato”.
Soprattutto, a parere dello scrivente, si confonde il piano etico (sul quale non vi possono esser dubbi e differenze di posizione) e quello penale, che postula, invece, non solo una astratta antigiuridicità di comportamenti, ma anche una rispondenza degli stessi allo stereotipo legislativo nonchè la presenza di un elemento psicologico, che la norma disegni a priori.
4) La scelta cassata dal Tribunale diverrebbe estremamente seria ed allarmante, laddove, oltre alla contestazione di cui all’art. 3, gli organi inquirenti giungano anche a ritenere sussistente una della aggravanti di cui al successivo art. 4 L. 75/58.
Si potrà obbiettare che talune delle stesse hanno natura soggettiva, e che il paracadute fornito dall’art. 59 co. 2° cp, ben può essere applicato in concreto.
Tale obbiezione, peraltro, peccherebbe di superficialità, posto che riguarda un giudizio ex post, che si forma spesso in una fase successiva, quale può esser quella o dell’udienza preliminare o del dibattimento.
Nulla impedirebbe, per il tramite di una contestazione apparentemente corretta con un giudizio ex ante, di arrestare un cliente, non solo come già può avvenire per l’ipotesi semplice dell’art. 3, ma addirittura, in forza ad esempio dell’aggravante dell’art. 4 n. 7 bis, che si riferisce alla persona tossicodipendente.
Non dimentichiamo mai che la prostituzione non si esercita solo per la strada, e che i tossicodipendenti non sono solo gli assuntori di eroina, tristemente ben individuabili.
Sicchè deve esprimersi assoluta condivisione per un pronunciamento estremamente equilibrato, che rafforzà la perplessità espressa a suo tempo per una scelta di indagine, che per quanto pubblicizzata e meritevole di rispetto, quanto meno per lo sforzo di ingegnarsi di chi l’ha concepita, non può avere condivisione giuridica.
6) Da ultimo si osserva che il fenomeno della prostituzione sinora ad ora è stato affrontato solo con paliativi e spinte emozionali.
a) La prostituzione non si combatte con gli slogan o le fiaccolate. Senza voler criminalizzare alcuno, non si può notare la stranezza del fatto che la legge persegue una condotta di fiancheggiamento e sfruttamento di una attività, non considerata penalmente illecita.
La stessa situazione si avrebbe se venisse punito chi produce o favorisce lo spaccio di stupefacenti, mentre fosse ritenuta irrilevante penalmente proprio quest’ultima condotta.
Non è certo rendendo reato la prostituzione che il fenomeno cesserà.
Vi è certamente necessità di rivedere una legge, che idolatrata per anni, ha finito per fallire completamente gli obbiettivi di libertà e salvezza delle donne, che si prefiggeva. Anche sul punto il Tribunale appare attento percependo e rilevando l’inadeguatezza del dato normativo vigente.
Il vero problema, però, attiene al recupero del controllo del territorio da parte degli enti amministrativi e delle forze dell’ordine, con una attenta verifica di coloro che entrano nel nostro paese, visto che il fenomeno è chiaramente in mani straniere.
Gli stessi permessi di soggiorno premiali destinati a quelle ragazze che escano dal turpe giro e denuncino i loro sfruttatori sono stati enfatizzati oltremodo, ed appaiono uno strumento, cui si dovrebbe ricorrere con maggiore attenzione.
L’esperienza professionale e giudiziaria quotidiana insegna, infatti, che troppe volte ci si è trovati dinanzi a persone che pur di avere un permesso di soggiorno nel nostro paese, che diversamente mai avrebbero conseguito, hanno collaborato con le forze dell’ordine, denunciando anche chicchessia, non solo i veri responsabili.
Spesso, poi, una volta terminata la collaborazione hanno ripreso la loro attività, magari sostituendo i denunciati arrestati.
E’ quindi necessario ripensare molto più articolatamente il problema, non delegando la soluzione alla buona volontà di organi deputati a ben altri incarichi.
Ritiene chi scrive che altre strade, in attesa di una riforma delle vigenti norme (ed in questo si potrebbe prendere una volta tanto ad esempio la legislazione straniera, ad esempio la recentissima legge olandese), potrebbero esser percorse.
Qualche hanno fa si tentò di scoraggiare la clientela delle prostitute con il ricorso a denunzie per atti osceni, che legittimavano il sequestro del veicolo utilizzato per consumare il rapporto sessuale.
Non sarà stata una scelta rivoluzionaria; certo è che in quell’occasione nessuno potè contestare la correttezza della contestazione di reato e la sua conformità alle concrete condotte tenute da i protagonisti.
Tutto ciò, si ribadisce, resta comunque, un palliativo, un intervento emergenziale, a fronte della ricordata necessità di un contesto legislativo, di natura penale, fiscale, sanitaria e (perché no?) societaria, che fornisca una regolamentazione del fenomeno, sottraendolo a quel sottobosco di comportamenti collaterali, che prosperano in un simile contesto.
Regolare la prostituzione, attraverso interventi che prevedano anche la costituzione di aggregazioni quali le cooperative, che soggiacciano a norme sanitarie, fiscali significa, sottrarre al crimine una fetta di proventi importante, riutilizzabile in altri settori.
Significa, altresì, liberare quelle persone che sono effettivamente in stato di coercizione, lasciando operare solo chi effettivamente voglia usare il proprio corpo a fini economici, ma entro precise regole , che se violate comportino responsabilità di ordine penale.
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