di Alessio Antonelli
Sommario
1. Introduzione
2. Inquadramento normativo
3. Le problematiche sollevate dalla pronuncia della Cassazione n. 3709 dell’8 febbraio 2019
4. La successiva ordinanza n. 24160 del 27 settembre 2019
5. I chiarimenti resi dalla Cassazione con l’ordinanza di correzione di errore materiale n. 29749 del 15 novembre 2019
6. Conclusioni
1. Introduzione
Nel corso del 2019 gli avvocati si sono visti “colpire” da un arresto della Suprema Corte, segnatamente la pronuncia n. 3709/2019[1], mediante la quale è stato rilevato che – ai fini delle notifiche telematiche – il domicilio digitale di ciascun avvocato corrisponde all’indirizzo PEC che il legale ha comunicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della Giustizia.
Nel provvedimento in questione, la Suprema Corte si limita solamente ad aggiungere che solo la notifica all’indirizzo risultante dal ReGIndE sarebbe corretta.
La decisione ha destato non poche perplessità, da un lato perché esclude il registro INI-PEC dal novero di quelli utilizzabili per le notifiche (registro invece che gli articoli 16 ter e sexies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 includono tra gli elenchi validi per le notifiche telematiche al pari del ReGIndE), dall’altro perché il provvedimento in realtà cita senza motivo il registro INI-PEC in una fattispecie nella quale avrebbe dovuto essere tutt’al più valutata la validità dell’indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) dato che si parlava di notifiche all’Avvocatura dello Stato.
Perplessità che il Consiglio Nazionale Forense ha avuto modo di compendiare in una lettera inviata il 5 marzo 2019 al Primo Presidente della Corte di Cassazione[2].
L’orientamento assunto dalla Cassazione, nonostante le preoccupazioni esternate dal Consiglio Nazionale Forense, è stato successivamente dalla stessa confermato nell’ordinanza n. 24160/2019[3], la quale ha generato un nuovo intervento da parte del Consiglio Nazionale Forense.
Si è quindi arrivati alla recente ordinanza di correzione di errore materiale n. 29749 del 15 novembre 2019 che ha, fortunatamente, “corretto il tiro”.
[1] Corte di Cassazione, Sezione 3^ Civile, n. 3709 dell’8 febbraio 2019.
[2] Nella citata missiva il Presidente del CNF ha portato all’attenzione del Primo Presidente della Suprema Corte la circostanza per cui la citata sentenza n. 3709/2019 “pare contenere un errore materiale, laddove si sostiene la nullità delle notifiche effettuate ad un indirizzo estratto da INI-PEC”, laddove invece la pronuncia intendeva far riferimento al diverso registro Indici P.A.
[3] Corte di Cassazione, Sezione 6^ Civile, n. 24160 del 27 settembre 2019.
2. Inquadramento normativo
Una delle novità introdotte dal menzionato D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 è costituita dalla possibilità per l’avvocato di effettuare la notifica degli atti processuali tramite posta elettronica certificata (PEC).
L’articolo 16 quater, comma 1, lettera a), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, come introdotto dalla relativa legge di conversione [articolo 1, comma 19, punto 2, Legge 24 dicembre 2012, n. 228] è infatti intervenuto inserendo, nel testo della Legge 21 gennaio 1994, n. 53 in tema “Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati”, l’art. 3 bis[4] in tema di notificazione con modalità telematiche.
Per quanto in questa sede di interesse, va evidenziato come sia l’indirizzo PEC del notificante che quello del destinatario debbano essere quelli risultanti da pubblici elenchi.
Per capire quali siano questi “pubblici elenchi” occorre fare riferimento all’art. 16 ter della Legge 17 dicembre 2012, n. 221[5] di conversione, con modificazioni, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, così come a sua volta modificato dall’art. 45 bis, comma 2, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 convertito con la Legge 11 agosto 2014, n. 114 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 agosto 2014 ed in vigore dal 19 agosto 2014.
La lettura della predetta norma consente di sintetizzare, di seguito, l’elenco dei pubblici elenchi (tralasciando il Domicilio Digitale del Cittadino, non ancora una effettiva realtà):
-Registro Generale degp>
Gestito dal Ministero della Giustizia, è il registro dei c.d. soggetti abilitati esterni.
-Registro delle imprese delle CC.I.AA.
Gestito dalle Camere di Commercio, è il registro in cui le imprese devono obbligatoriamente indicare la PEC.
-Indice nazionale degp>
Gestito dal Ministero dello Sviluppo Economico, accorpa i dati del ReGIndE e del registro delle imprese.
-Registro delle Pubbp>
Gestito dal Governo, è il registro in cui devono essere inseriti tutti gli indirizzi delle PP.AA., che sostituisce l’Indice PP.AA.
Nessun dubbio può esservi (sarebbe forse meglio dire “poteva”), quindi, in ordine al fatto che l’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata di professionisti e imprese INI-PEC sia uno dei “pubblici elenchi” previsti proprio all’art. 16 ter della Legge 17 dicembre 2012, n. 221.
[4] L’art. 3 bis della Legge 21 gennaio 1994, n. 53 prevede, al primo comma, che “ La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi “.
[5] Detta disposizione di legge sancisce che “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”.
3. Le problematiche sollevate dalla pronuncia della Cassazione n. 3709 dell’8 febbraio 2019
Con la sentenza n. 3709/2019, tuttavia, gli Ermellini sembrano dimenticare totalmente l’esistenza del summenzionato art. 16 ter della Legge 17 dicembre 2012, n. 221.
Sembrano, in realtà, in quanto appare evidente come detto arresto sia viziato da un mero errore materiale (il quale, è bene in ogni caso precisarlo, ha causato non pochi problemi agli avvocati).
Tra le varie questioni trattate nella pronuncia de qua vi è anche quella attinente al decorso del termine per impugnare ed alla tempestività dell’impugnazione[6].
Ha sostenuto l’Avvocatura dello Stato che la notificazione a mezzo PEC sarebbe inefficace in quanto spedita ad un indirizzo elettronico inidoneo a ricevere le notifiche telematiche.
Trattasi, infatti, di un indirizzo risultante dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC), ma non registrato al Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della Giustizia.
In particolare, l’indirizzo elettronico in questione viene utilizzato dall’Avvocatura dello Stato per scopi amministrativi e non giudiziali.
La Suprema Corte ha dato atto di aver affrontato la questione in altri precedenti arresti, pervenendo alla conclusione che, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, la notificazione dell’impugnazione va eseguita all’indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGIndE.
Solo quest’ultimo, a detta degli Ermellini, sarebbe qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’organizzazione preordinata all’effettiva difesa, non essendo idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo di PEC diverso da quello inserito nel ReGIndE (Sez. 6-3, Ordinanza n. 30139 del 14 dicembre 2017, Rv. 647189; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 13224 del 25 maggio 2018, Rv. 648685).
In continuità con detto orientamento, la Suprema Corte ha pertanto affermato il seguente principio di diritto:
“II domicilio digitale previsto dall’art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in I. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., in I. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)”.
[6] II problema si è posto in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 26 ottobre 2016 e notificata a mezzo PEC il 28 ottobre 2016, mentre il ricorso e stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione il 26 aprile 2017, quindi nel rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c. ma ben oltre la scadenza del termine c.d. “breve” di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c.
4. La successiva ordinanza n. 24160 del 27 settembre 2019
Con l’ordinanza n. 24160 del 27 settembre 2019 la Corte di Cassazione, richiamando la propria precedente sentenza n. 3709/2019, ha ribadito il principio secondo cui in tema di notifiche telematiche sarebbe idoneo alla produzione di effetti soltanto il ReGindE (Registro generale degli Indirizzi Elettronici), escludendo che si possa fare ricorso agli indirizzi tratti da INI-PEC (Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata).
Nel caso sottoposto al vaglio degli Ermellini, come si avrà modo di chiarire meglio anche nel corso del successivo paragrafo, è stata dichiarata l’inammissibilità di un regolamento di competenza in ragione del fatto che, tra l’altro, il relativo ricorso veniva notificato ad un indirizzo di posta elettronica (cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ed anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze), estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INI PEC, indice ritenuto inattendibile, appunto, dalla precedente pronuncia n. 3709/2019.
L’adozione di tale indirizzo giurisprudenziale ha provocato, anche in questo caso, la reazione del Presidente del Consiglio Nazionale Forense, il quale ha inviato una nuova lettera il 9 ottobre 2019 al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, volta a spingere all’adozione di un unico indirizzo[7].
Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense ha altresì esposto preoccupazione “dal momento che, ove il principio rimanesse fermo, verrebbero messe in discussione centinaia di migliaia di notifiche già effettuate, e con esse i diritti dei cittadini, nonché l’affidamento sulle enormi potenzialità che l’innovazione apporta e potrà apportare a beneficio del processo civile: è infatti di poco fa la notizia che il Tribunale di Cosenza ha applicato il principio di diritto della sentenza, dichiarando la nullità della notifica di un decreto ingiuntivo effettuata ad una società il cui indirizzo PEC era stato estratto da INI-PEC”.
[7] Si legge nel testo di tale missiva: “il registro INI-PEC è stato istituito dall’art. 5 del D.L. 179/2012 ed è regolato dall’art.6-bis del Codice dell’Amministrazione Digitale che lo qualifica espressamente come pubblico elenco. Tale qualificazione gli è attribuita anche dall’art16-ter D.L. 179/2012, agli specifici fini della “notificazione e comunicazione degli atti in materiale civile, penale, amministrativa e stragiudiziale”. Da tale elenco è pertanto possibile estrarre l’indirizzo PEC ai sensi dell’art. 3-bis della L. 53/1994, ed è peraltro l’unico elenco pubblico dal quale è possibile estrarre gli indirizzi di Posta Certificata delle Imprese e degli Enti Pubblici, non inseriti nel Re.G.In.D.E. Il Reginde non gestisce informazioni già presenti in registri disponibili alle PP.AA., nell’ambito dei quali sono recuperati, ad esempio ai fini di eseguire notifiche ex art. 149 bis c.p.c., gli indirizzi di PEC delle imprese o le CEC-PAC dei cittadini”.
5. I chiarimenti resi dalla Cassazione con l’ordinanza di correzione di errore materiale n. 29749 del 15 novembre 2019
All’esito delle suddette sollecitazioni del Consiglio Nazionale Forense la Suprema Corte ha fortunatamente adottato gli opportuni provvedimenti, emettendo lo scorso 15 novembre 2019 l’ordinanza di correzione di errore materiale n. 29749.
La vicenda da cui scaturisce il provvedimento in analisi, come precedentemente accennato, prende le mosse da un ricorso per regolamento di competenza con cui veniva impugnata l’ordinanza del Tribunale di Genova mediante la quale quest’ultimo – investito di una controversia di querela di falso ai sensi dell’articolo 221 c.p.c. proposta nei confronti di un magistrato del Tribunale di Firenze, in riferimento a provvedimenti da questo emessi nell’ambito di un giudizio civile – aveva d’ufficio rilevato l’incompetenza territoriale ai sensi dell’articolo 18 c.p.c. in favore del Tribunale di Firenze e rinviato la causa per consentire all’attrice di munirsi di nuovo difensore e per l’eventuale deposito di memorie.
Il ricorso per regolamento veniva avviato a trattazione con il procedimento di cui all’art. 380 ter c.p.c. ed all’esito del deposito delle conclusioni del Pubblico Ministero, deciso con l’ordinanza n. 24160/2019 la quale dichiarava il regolamento di competenza inammissibile.
L’inammissibilità veniva dichiarata in quanto tale regolamento veniva proposto nei confronti di una ordinanza priva del carattere di provvedimento impugnabile con il regolamento di competenza, in quanto carente del carattere di definitività ai fini della risoluzione della questione di competenza.
In via gradata veniva altresì ravvisata anche un’ulteriore causa di inammissibilità per inosservanza del requisito dell’art. 366 n. 3 c.p.c.
La Corte, inoltre, nell’affermare l’inammissibilità del regolamento per le ragioni indicate, precisava che “questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al [o] ‘con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze’ a un indirizzo di posta elettronica che è quello delta cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC, elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del [o] è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui ‘per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INIPEC’). Questo indipendentemente dal fatto che la notifica ad un magistrato non può essere validamente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o del protocollo del Tribunale di appartenenza”.
Avvedutasi dell’errore, la Cassazione è tornata sui propri passi e ha modificato parzialmente il testo del precedente provvedimento n. 24160/2019 nella parte in cui aveva negato attendibilità al registro INI-PEC.
Gli Ermellini precisano che l’errore materiale si annida nella parte della motivazione dell’ordinanza in cui si è affermata l’inidoneità del registro INI-PEC nella sua oggettività, indicandolo espressamente come “dichiarato non attendibile” da altro provvedimento precedente della Corte (n. 3709/2019).
E, anticipa la Cassazione, anche su tale ordinanza (la citata n. 3709/2019, per l’appunto) risulta in corso di pubblicazione un’ordinanza di correzione d’ufficio.
In realtà, chiarisce la Suprema Corte, l’ordinanza “corretta” intendeva solo assumere una condivisibile “inidoneità soggettiva” del registro INI-PEC con esclusivo riferimento alla qualità del soggetto destinatario della notifica (un magistrato del Tribunale di Firenze).
In pratica, nell’ordinanza corrigenda la Corte voleva soltanto evidenziare che le due notifiche del ricorso indirizzate al magistrato destinatario (sia come domiciliato presso un indirizzo INI-PEC riferito al Tribunale di Firenze, sia come domiciliato presso un indirizzo estratto dal ReGindE e riferito allo stesso Tribunale) riguardavano indirizzi soggettivamente non riferibili quali pretesi luoghi di elezione di domicilio del magistrato.
Pertanto, al di là delle espressioni usate, la Corte avrebbe voluto alludere, con riferimento al caso di quello estratto dall’INI-PEC (ma non diversamente per quello estratto dal ReGindE) ad una mera inidoneità sul piano soggettivo, cioè per non essere presenti nel registro INI-PEC (e nel ReGindE) indirizzi di domiciliazione elettiva del magistrato in servizio presso un tribunale in plessi organizzatori come quelli dei due indirizzi utilizzati.
L’affermazione generica della inattendibilità di quello che si definì “elenco INI-PEC”, che si ribadisce, voleva essere giustificata in realtà dalla rilevata non riferibilità soggettiva, non mette in discussione il principio, enunciato dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 23620/2018[8].
Pertanto, in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, ex art. 16-sexies del D.L. n. 179/2012, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’Albo professionale di appartenenza in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice Amministrazione Digitale), atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia.
Dunque, poiché è il Codice dell’Amministrazione Digitale a disciplinare proprio il registro INI-PEC, questo deve ritenersi costituire senza dubbio un elenco valido e utilizzabile per le notificazioni ex art. 3-bis della Legge 21 gennaio 1994, n. 53.
[8] Cassazione Civile, SS.UU., sentenza n. 23620 del 28 settembre 2018, la quale ha avuto modo di chiarire che in caso di nullità della notifica eseguita con modalità telematiche la stessa deve comunque ritenersi valida in caso di raggiungimento dello scopo.
6. Conclusioni
Tutto quanto sin qui esposto e considerato conferma l’evidente errore commesso dalla Suprema Corte, quasi sicuramente frutto di una non chiara enunciazione delle ragioni di diritto poste alla base delle citata decisioni n. 24160/2019 e n. 3709/2019.
Si auspica, quindi, che spiegato l’equivoco ed affermata, conseguentemente, la validità dell’elenco INI-PEC ai fini delle notificazioni, non vi sia più bisogno di interventi chiarificatori e/o correzioni da parte della Corte di Cassazione.
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