Commercio internazionale e contratto di consignment stock: breve analisi dei profili fiscali

 

Il presente contributo si pone l’obiettivo di esaminare la fattispecie negoziale del consignment stock, analizzandone- in particolare- i profili fiscali connessi all’esecuzione di operazioni economiche sia in ambito europeo che extra-Ue.

Il contratto di call-off stock o, meglio, contratto di consignment stock, si inserisce nell’ambito del commercio internazionale. Si tratta- in sostanza- di un contratto di fornitura con effetti traslativi differiti, in base al quale un soggetto (ossia, il fornitore) trasferisce beni di sua proprietà presso un deposito di un’altra azienda sua cliente, solitamente collocata all’estero, nel quale i beni restano stoccati fino al momento in cui quest’ultima ne effettua il prelievo, momento che sancisce il sorgere dell’obbligo di pagamento.

Il compratore, di conseguenza, differisce il momento dell’esborso finanziario (corrispondente al prezzo delle merci) al momento del loro effettivo prelievo dal magazzino.

A livello intraunionale il contratto di call-off stock è stato oggetto di armonizzazione con la direttiva UE 2018/1910, entrata in vigore il 27 dicembre 2018 e applicabile alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2020, la quale, con l’introduzione dell’art. 17 bis nella Dir. 112/2006, ha disciplinato i presupposti e le condizioni in base alle quali l’invio di beni in altro paese dell’UE, in previsione di una vendita ad un soggetto già noto, costituisce operazione intraunionale rilevante ai fini Iva al momento del prelievo dei beni.

Ai fini esaustivi è necessario specificare come in ambito internazionale, solitamente ci si riferisce al contratto di consignment stock nel caso in cui i beni vengano inviati ad una impresa commerciale, che li preleverà per rivenderli a terzi, mentre ci si riferisce al contratto di call-off stock nel caso di invio dei beni ad una impresa industriale, la quale li preleverà per utilizzarli nel proprio processo produttivo.

In Italia, invece, tale distinzione non è contemplata. Infatti, l’Amministrazione finanziaria italiana, nel disciplinare gli effetti e gli adempimenti fiscali connessi allo schema negoziale in esame, si riferisce unicamente al “consignment stock”, senza operare la soprarichiamata distinzione.

Dalla prospettiva italiana, pertanto, i due schemi negoziali tendono a sovrapporsi e, quindi, è possibile utilizzarli come sinonimi.

Inquadramento generale del contratto di consignment stock

Il contratto di consignment stock è un contratto atipico riconducibile, in parte, alla più ampia categoria del contratto estimatorio[1] (cui agli artt. 1556-1558 c.c.) nel quale l’operazione deve intendersi sottoposta a condizione sospensiva in quanto, la particolare natura giuridica del contratto in esame, fa sì che il passaggio del diritto di proprietà si verifichi all’atto del prelievo del bene da parte del cessionario. Tale condizione può sussistere qualora i beni di proprietà del cedente, attraverso un deposito, siano entrati nella disponibilità del cessionario.

Il contratto estimatorio dunque, al pari dell’accordo di consignment stock, consente a chi riceve i beni di disporre di una scorta di prodotti senza dovere sostenere impieghi finanziari sino al momento del loro impiego (entrambi presuppongono dunque una pluralità di movimentazioni di merce a fronte di un unico trasferimento della proprietà).

In altre parole, l’accordo di consignment stock è uno schema negoziale diffuso nel commercio internazionale, in virtù del quale il venditore/depositante (c.d. consignor) invia beni mobili presso un deposito di proprietà del – o in uso al – cliente/depositario (c.d. consignee). I beni inviati e consegnati al cliente/depositario restano di proprietà del venditore/depositante fino a quando il cliente/depositario non li preleverà dal deposito per poter far fronte alle proprie esigente produttive o commerciali.

Pertanto, la consegna dei beni al cliente non realizza l’effetto traslativo della proprietà, restando gli stessi ancora nella proprietà del fornitore, ma lo stesso si verifica solo nel momento in cui il cliente procede al prelievo della merce, in relazione alle proprie esigenze aziendali. I vantaggi sottesi a tale fattispecie negoziale, consentono al compratore di godere della disponibilità della merce senza effettuare alcun pagamento, il quale avverrà soltanto al momento dell’effettivo prelievo.

Trattandosi, in sostanza, di un’unica operazione la quale si considera effettuata non all’atto dell’invio dei beni presso un altro Stato membro ma al momento dell’effettivo prelievo da parte dell’acquirente, producendosi da tale momento in poi l’effetto traslativo della proprietà, dal punto di vista fiscale, si osserva come si è in presenza di un rinvio sia del momento impositivo che dell’esigibilità dell’imposta ma anche dei conseguenti obblighi di fatturazione e registrazione (ad esclusione, dell’ipotesi di importazione) al momento dell’effettivo prelievo.

Il deposito dell’Iva quale strumento di esecuzione di un contratto di consignment stock tra operatori nazionali

Il deposito Iva è un regime di sospensione dell’imposta che consente a tutti gli operatori nazionali di introdurre, custodire e sottoporre a lavorazioni, senza assoggettamento ad Iva, beni nazionali che sconteranno l’imposta solo al momento dell’estrazione. Trova disciplina nell’art. 50-bis del D.L. 331/93, modificato dal D.L. 193/2016 convertito in L. 225/2016.

Il deposito fiscale è stato istituito, dal Legislatore, per sopperire il fenomeno dell’evasione fiscale dell’Iva. Si osserva pertanto come da un lato, il Legislatore fiscale ha consentito agli operatori economici di rendere più efficiente la movimentazione delle merci nonché la loro vendita, garantendo che le relative operazioni siano in sospensione d’imposta fino al momento dell’estrazione, dall’altro lato si è preoccupato di tracciare il perimetro entro cui predette operazioni sono legittime. La ratio sottesa è quella di prevenire i fenomeni di abuso del diritto o di evasione dell’imposta.

Giova ricordare che, per poter istituire un deposito Iva, l’operatore nazionale deve ottenere una specifica autorizzazione da parte del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, previa verifica della sussistenza di determinati requisiti oggettivi e soggettivi ad opera, anche, degli operatori della Guardia di Finanza. Inoltre, il Legislatore fiscale ha esplicitamente previsto come tali operazioni, seppur in sospensione d’imposta, rientrano pur sempre “in campo Iva” e pertanto soggette ai relativi obblighi, in modo tale da consentire un costante monitoraggio ad opera dell’Agenzia delle Entrate.

L’art. 50 bis del D.L. 331/93 ha espressamente previsto la possibilità di dare esecuzione a un contratto di consignment stock avvalendosi del regime del deposito dell’Iva. Nella risoluzione ministeriale 44/E 10/04/2000 è precisato come il consignment stock può realizzarsi solo nell’ambito di un deposito Iva in conto proprio.

Le operazioni effettuate nell’ambito di un contratto di consignment stock senza però deposito Iva, ai sensi dell’art. 6, comma 1, secondo periodo del D.P.R. 633/72, produrranno effetti al momento dell’estrazione. Ne consegue che fino a quando non vi sia “estrazione”, tali operazioni sono fuori campo Iva e quindi vengono meno i relativi obblighi. Tali ultimi obblighi, congiuntamente all’espressa autorizzazione del deposito Iva rappresentano fondamentali strumenti di tutela dell’interesse erariale; volendo usare un eufemismo, è chiaro che l’Amministrazione Finanziaria gradisca l’esecuzione di un contratto di consignment stock nell’ambito di un deposito Iva.

Il contratto di consignment stock nell’ambito delle operazioni intra-Ue ed extra-Ue

Nell’ambito del commercio transfrontaliero, l’operazione negoziale legata all’esecuzione di un contratto di consignment stock consente al soggetto cedente che invia i beni in uno Stato membro dell’Ue di non essere considerato soggetto passivo Iva in detto Stato, salvo che si tratti di depositi di propria proprietà.

In via esemplificativa, si è in presenza di un regime di “call of stock” allorquando siano soddisfatte le seguenti condizioni:

  • I beni oggetti dell’operazione negoziale siano trasferiti da uno Stato membro verso un altro, a favore di un soggetto che- in forza del contratto stipulato- avrà il diritto di acquisirne la proprietà;
  • Il soggetto che ha spedito i beni non deve possedere nello Stato di destinazione una sede operativa o una stabile organizzazione;
  • Il soggetto acquirente è identificato ai fini Iva nello Stato di appartenenza e la sua identità deve essere nota anche al momento dell’inizio della spedizione;
  • Detto trasferimento deve essere registrato, a cura di chi spedisce/trasporta i beni, in un apposito elenco di cessione intra-Ue.

Ai fini Iva, le cessioni intracomunitarie di beni si considerano effettuate all’atto dell’inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto, dal territorio dello Stato. Tuttavia, se gli effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo alla consegna, le operazioni si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna. Allo stesso modo nel caso di beni trasferiti in dipendenza di contratto estimatori e simili, l’operazione si considera effettuata all’atto della loro rivendita a terzi o del prelievo da parte del ricevente ovvero, se i beni non sono restituiti anteriormente, alla scadenza del termine pattuito dalle parti e in ogni caso dopo il decorso di un anno dal ricevimento.

Le disposizioni operano a condizione che siano osservati gli adempimenti di cui all’art. 50, comma 5, del DL 331/1993 (quindi con obbligo di tenuta del registro di carico e scarico dei beni inviati senza trasferimento della proprietà).

Trattandosi di un’operazione traslativa ad effetti differiti, non essendosi ancora perfezionata al momento dell’invio, il fornitore non dovrà emettere fattura né tanto meno sarà tenuto ad obblighi di compilazione intrastat, ma dovrà inevitabilmente compilare un documento DDT o CRM[2]. Trattasi di un documento di trasporto il quale dovrà riportare che la merce trasportata non viene trasferita a titolo di proprietà ma soltanto in deposito presso il cliente.

Con Risoluzione n. 44/E/2000, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che affinché si realizzi il contratto di consignment stock in ambito UE, è necessario che i beni vengano consegnati direttamente presso un deposito fiscale del cliente o, quanto meno in un deposito non fiscale, purché i beni rientrino nella disponibilità del cessionario/depositario.

In alcuni Paesi Ue, ad esempio in Austria, Croazia, Italia, Olanda, Francia etc., l’operazione di cessione intra-comunitaria resta sospesa fino al prelievo; nei casi in cui non è richiesta l’apertura di una posizione Iva, la merce verrà annotata in un apposito registro di movimentazione e al momento del prelievo, coincidente con l’effetto traslativo della proprietà, verrà emessa una fattura qualificando l’operazione come non imponibile ai fini Iva. In altri Paesi, come Spagna, Belgio, Lussemburgo etc., al momento dell’ingresso del bene nel territorio, l’operazione viene qualificata come acquisto intra-comunitario, anche se il passaggio di proprietà è successivo.

Nel caso in cui il Paese destinatario dei beni richieda l’obbligo di avere una posizione Iva in loco, il cedente italiano è tenuto ad aprire una posizione Iva nel Paese di destinazione. In tal caso, nel momento in cui vengono inviati i beni nel Paese comunitario di destinazione, il cedente nazionale emette una fattura a sé stesso, ossia dalla partita Iva italiana alla propria partita Iva comunitaria mentre, al momento del prelievo, occorre emettere una fattura di vendita al cliente finale comunitario.

La fattura al cliente finale seguirà le caratteristiche richieste dal singolo Paese comunitario:

  • se è applicabile il reverse charge, la fattura sarà emessa dalla partita Iva italiana senza Iva come operazione fuori campo Iva art 7-bis, D.P.R. 633/1972;
  • se non trova applicazione il reverse charge dovrà essere emessa una fattura dalla partita Iva aperta in loco con applicazione dell’Iva del paese comunitario.

Più complesso, però, si presenta l’invio della merce presso un Paese non appartenente all’Ue, essendo richiesto l’adempimento anche degli obblighi doganali.

Ai fini doganali, dovrà essere emessa la relativa “bolletta doganale”, contenente tutti i riferimenti al contratto di consignment stock. Tale bolletta, ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 441/97, costituisce titolo idoneo a vincere la presunzione di cessione.

Una volta, infatti, che l’operatore nazionale, sulla base dell’ordine di acquisto, invia i beni presso il deposito del cliente o di un soggetto terzo, lo stesso è tenuto ad emettere una “fattura pro-forma”, nella quale devono essere riportate talune informazioni concernenti le merci e i soggetti coinvolti.

All’atto, poi, del prelievo dei beni dal deposito da parte del cliente estero, l’operatore nazionale deve, poi, emettere fattura, trattasi di fattura “non imponibile”, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), del DPR n 633/72.

Una volta emessa la fattura, l’operazione assumerà rilevanza anche ai fini del plafond IVA (Risoluzione n. 58/E/2005).

Infine, anche se non richiesto dalla normativa, si ritiene opportuno che l’operatore nazionale utilizzi un registro sul quale annotare le movimentazioni dei beni nel Paese.

In caso di beni provenienti da un Paese extra UE, ’IVA viene assolta regolarmente in dogana. Tuttavia, dalla bolletta d’importazione deve, comunque, risultare la natura di beni di terzi in conto deposito.

In alternativa, il soggetto nazionale può istituire un registro di carico e scarico dei beni movimentati in virtù del contratto di Consignment Stock. Registro da tenere e conservare a norma dell’articolo 39 del DPR n 633/1972.

All’atto, poi, del prelievo dei beni dal deposito, il soggetto nazionale, sulla base del titolo certificativo rilasciato dal cedente, è tenuto ad emettere una autofattura.

In questo documento devono essere riportate specifiche indicazioni.

  • Ammontare del corrispettivo versato e dell’Iva relativa;
  • Estremi della bolletta doganale con cui i beni sono stati introdotti in Italia;
  • Estremi di annotazione della bolletta doganale sul registro degli acquisti.

L’autofattura emessa deve essere, poi, annotata nel registro delle vendite e in quello degli acquisti. L’annotazione avviene soltanto in una separata colonna appositamente contrassegnata. Questo dal momento che l’annotazione è finalizzata esclusivamente alla documentazione dell’operazione di acquisto ai fini delle imposte dirette, essendo l’imposta dovuta già stata assolta e registrata al momento dell’importazione.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui il prezzo versato al momento dell’acquisto dovesse essere superiore a quello indicato in dogana all’atto dell’introduzione della merce nel nostro territorio, l’importo medesimo, da documentare ed annotare integralmente nel registro delle vendite e in quello degli acquisti, concorrerà anche alla liquidazione, pur se soltanto per la differenza corrisposta.

Conclusione

In via conclusionale, dalla breve analisi svolta, è stato possibile constatare come l’utilizzo di un contratto di Consignment Stock rappresenti un proficuo strumento economico per l’operatore nazionale che intende operare nel mercato estero. Difatti, non sarà necessaria l’identificazione diretta in ogni Paese ove si intende operare, evitandone così i relativi, offrendo il vantaggio della sospensione della esigibilità dell’Iva nel momento in cui i beni vengono trasferiti dall’Italia al Paese ove si intende operare, verificandosi gli annessi effetti traslativi della proprietà solamente all’atto della estrazione e utilizzo del bene da parte del cessionario. Ed è da tale momento in poi che si realizza il prelievo impositivo.

Questa tipologia negoziale giova da un lato sia al cedente italiano, che riduce i costi di distribuzione, che per il cessionario estero, che evita il problema dell’invenduto.

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Note

[1] L’art. 1556 c.c. definisce il contratto estimatorio come quel contratto con cui ” …una parte consegna una o più cose mobili all’altra, e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito”. L’elemento caratterizzante del contratto in questione è rappresentato quindi dalla facoltà concessa all’affidatario di una o più cose mobili di alienare nel proprio interesse le cose ricevute e di restituire le quantità rimaste invendute, senza che osti alla sua configurazione la mancata esplicita previsione di un termine per l’esercizio dell’indicata facoltà di restituzione.

[2] Il CMR (Convention des Marchandises par Routeè una convenzione internazionale sul “trasporto internazionale su strada”, stipulato a Ginevra il 19 maggio 1956; l’art. 1 della Legge 6 dicembre 1960 n° 1621 riferisce che: “La presente Convenzione si applica ad ogni contratto per il trasporto a titolo oneroso di merci su strada per mezzo di veicoli, quando il luogo di carico della merce e il luogo previsto per la riconsegna indicati nel contratto sono situati in due Paesi diversi, di cui almeno uno sia parte della Convenzione, indipendentemente dal domicilio e dalla cittadinanza delle parti. È un documento che prova l’avvenuta presa in consegna delle merci e del loro stato da parte del vettore e rappresenta il contratto di trasporto internazionale; viene emesso dal mittente o dallo spedizioniere su richiesta del vettore e, grazie ad un protocollo introdotto il 27 maggio 2008, è consentito l’utilizzo di una nota di consegna in formato elettronico.

Raffaella Ascolese

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