Nota a TAR Puglia Lecce, Sezione I, n. 1681 del 12 luglio 2013.
Tale pronuncia offre una diversa e al contempo innovativa lettura circa la natura del parere reso dalla soprintendenza in tema di vincoli paesaggistici. Difatti, le caratteristiche proprie di tale parere, quali la vincolatività e l’obbligatorietà, assumono rilievo fino a quando viene ad essere rispettato il termine perentorio sancito “ex lege”; diversamente, il mancato rispetto di tale lasso temporale, secondo tale orientamento, non comporterebbe l’illegittimità del parere ma semplicemente una perdita del suo carattere vincolante così come impressogli dalla legge.
La questione.
La pronuncia che si annota è stata emessa dal Tar Puglia – Lecce in data 12 luglio 2013 a seguito di ricorso proposto da un ricorrente avverso il Ministero per i beni e le attività culturali, la Soprintendenza per i beni Archeologici e paesaggistici della Provincia di Lecce e l’Unione dei Comuni “Terre di Leuca” al fine di richiedere l’annullamento dei provvedimenti rilasciati dalle suindicate autorità. Nello specifico, trattasi rispettivamente di : nota del 04/03/2013, con la quale il Responsabile del procedimento comunicava il diniego dell’istanza del ricorrente volta all’accertamento della compatibilità paesaggistica ex artt. 167 e 181 del D. lgs n. 42/2004; nota del 05/12/2012 con cui veniva espresso il parere di non compatibilità delle opere proposte dal ricorrente; infine, nota rilasciata in data 04/02/2013 con la quale veniva comunicato il parere della soprintendenza e veniva preavvertito il rigetto dell’istanza.
Nella fattispecie de quo, la parte ricorrente, proprietaria di un’attività di ristorazione su terreno appositamente individuato nel catasto, impugnava i suindicati provvedimenti con i quali veniva comunicato il diniego di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 Codice Urbani, previo accertamento di compatibilità paesaggistica ex artt. 167-181 del Decreto Legislativo 42/2004, per l’intervento in sanatoria di una pedana in legno, a servizio dell’esercizio stesso.
A sostegno del ricorso, il ricorrente domandava l’annullamento del diniego per i seguenti motivi :
– violazione degli artt. 167-181 del Decreto Legislativo n. 42/2004 per avere l’amministrazione motivato il proprio diniego sulla base del solo parere negativo reso dalla Soprintendenza oltre il termine perentorio dei novanta giorni di cui agli articoli 167, settimo comma, e 181, comma primo quater, del Codice Urbani;
– violazione del principio generale di certezza del tempo nelle determinazioni della pubblica amministrazione;
– violazione di norme impositive di termini perentori;
– violazione dell’art. 3 della Legge 241/1990; eccesso di potere per erronea presupposizione, carenza di istruttoria, illogicità manifesta;
– violazione dell’art. 10-bis della Legge 241/1990.
Il Collegio, durante la discussione della domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, definiva il giudizio in camera di consiglio con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a. .
La soluzione.
Il Tar Puglia sede di Lecce si è soffermato sulle conseguenze del ritardo nell’emissione del parere espresso dalla Soprintendenza nel processo di autorizzazione paesaggistica, evidenziando l’importanza rivestita dagli articoli 16 e 17 della Legge 241 del 1990.
Difatti, per un verso, l’art. 16 della Legge 241/1990 contiene un criterio normativo della impossibilità per l’amministrazione di procedere autonomamente se il parere non viene reso nel termine previsto, qualora si tratti della materia ambientale, paesaggistica- territoriale e della salute dei cittadini.
Dall’atro, poi, la successiva disposizione normativa di cui all’at. 17 evidenzia come nelle indicate materie non sia possibile una sostituzione delle valutazioni tecniche effettuate da organi o enti appositi con valutazioni di altri enti, se non rese nei termini previsti.
In altri termini, in entrambi i dati normativi, le materie ambientale, paesaggistica- territoriale e della salute dei cittadini sono sottratte alle regole dettate per velocizzare l’actio pubblica, con l’implicita affermazione della esclusiva applicabilità della disciplina dettata in maniera specifica per ciascuna materia.
Il consiglio si è poi soffermato sul concetto di perentorietà quale presupposto essenziale ed indefettibile del termine assegnato alla Soprintendenza ex art. 167, quinto comma, del d.lgs. 42/2004 , ai fini del rilascio del parere nella procedura di compatibilità paesaggistica.
Tale disposizione normativa, difatti, statuisce che: “ il possessore o il detentore a qualsiasi titolo di un immobile o di un’area interessata da specifici interventi (quali : lavori che non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumenti di quelli legittimamente realizzati; impiego di materiali in difformità dell’autorizzazione paesaggistica; lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ex art. 3 D.P.R. n. 380/2001) è tenuto a presentare apposita domanda all’autorita’ preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilita’ paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorita’ competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”.
In merito a tale questione, con la sentenza n. 1681 del 2013 il Collegio ha affermato quanto segue : “ la mancata osservanza del termine perentorio previsto ex lege per il rilascio del parere di compatibilità paesaggistica non determina l’illegittimità del parere reso oltre il termine previsto ma, semplicemente, quest’ultimo perde il carattere vincolante impresso dalla legge, proprio perché si colloca al di fuori del quadro normativo, ma costituisce sempre un elemento del procedimento che l’amministrazione deve valutare, potendo discostarsene con adeguata motivazione”.
Per tale ragione, il provvedimento impugnato risulterebbe illegittimo, essendo lo stesso stato emesso esclusivamente sulla base di un parere soprintendentizio che, in quanto reso con ritardo, costituisce un semplice elemento dell’iter procedimentale ma non anche un elemento da assumere a presupposto vincolante dell’adozione del provvedimento finale.
Dunque, il Collegio ha accolto positivamente il ricorso sull’assunto che l’amministrazione, quale parte resistente, abbia acquisito il parere della Soprintendenza non come un mero presupposto di fatto da valutarsi in vista dell’adozione del provvedimento finale bensì come un vero e proprio presupposto vincolante del disposto diniego.
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