Compensatio lucri cum damno: le questioni controverse
Con l’ordinanza interlocutoria n. 15535 dello scorso 23 giugno, la terza sezione della Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, l’istituto della compensatio lucri cum damno, affinché si chiarisca la posizione del danneggiato da fatto illecito.
In particolare, la terza sezione chiede venga stabilito se, in sede di liquidazione del risarcimento da fatto illecito, debbano essere considerati gli eventuali emolumenti corrisposti da assicurazioni private o enti previdenziali o qualsiasi altra fonte, comunque indipendente dalla volontà del danneggiante.
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L’istituto della compensatio lucri cum damno era stata già posta al vaglio delle Sezioni Unite le quali, nel caso di specie, non erano entrate nel merito dello stesso, in quanto non era allora necessario ai fini della decisione. Pertanto, i dubbi interpretativi e di applicazione della fattispecie sono oggi ancora discussi. Questi riguardano anche i poteri del giudice: precisamente, ci si chiede se il giudicante possa, d’ufficio, in sede di liquidazione, tenere conto degli ulteriori risarcimenti e indennizzi ricevuti dal danneggiato, ovvero se questi possano essere considerati solo se oggetto di eccezione di parte, se sollevata nei termini di legge.
La quantificazione del danno nel caso di specie
Nel caso concreto approdato alle Sezioni Unite, fra le varie statuizioni, il giudice aveva considerato non liquidabile il risarcimento del danno patrimoniale, in quanto già assorbito in toto dall’indennizzo INAIL e non essendovi alcun interesse giuridicamente rilevante del ricorrente alla duplicazione del risarcimento stesso.
Gli orientamenti sviluppatisi in giurisprudenza sono diversi. Una prima tesi ritiene che l’istituto sia applicabile solo qualora sia il lucro che il danno scaturiscono in modo immediato dal fatto illecito; altra tesi ritiene l’istituto applicabile in tutti quei casi in cui, altrimenti operando, il soggetto riceverebbe ingiustificatamente due pagamenti. Invero, è principio condiviso quello per cui il risarcimento deve coprire tutto il danno, ma non deve essere il canale attraverso cui il danneggiato si arricchisce (cfr. art. 1223 c.c.).
Si attende dunque la rimessione e la successiva pronuncia delle Sezioni Unite per fare chiarezza sull’istituto.
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