La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza (n. 29175 del 20 ottobre 2023), ha sancito che il singolo condomino non può pretendere la compensazione “impropria” delle spese che non ha contestato tempestivamente.
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Indice
1. La questione
Un condominio chiedeva ed otteneva dal Giudice di Pace un decreto ingiuntivo per il pagamento di quote non pagate relative alle spese per il consumo di acqua, oneri condominiali e manutenzione, come da rendiconto per l’anno 2009 e bilancio di previsione per l’anno 2010, documenti contabili approvati con delibera assembleare del 5 marzo 2010. L’ingiunto proponeva opposizione al decreto, deducendo la mancata produzione dei documenti giustificativi delle spese e la titolarità di un proprio controcredito, per somme corrisposte in eccedenza rispetto alla quota di spesa posta a suo carico nei rendiconti relativi agli esercizi compresi tra il 2001 e il 2008, controcredito fatto valere mediante eccezione di compensazione e domanda riconvenzionale. Il Giudice di pace respingeva l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo. La sentenza veniva impugnata ed il Tribunale rigettava l’appello.
Il soccombente ricorreva in cassazione contestando la sentenza di secondo grado che riteneva nulla perché nessuna motivazione era stata espressa in relazione al rigetto delle domande riconvenzionali.
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2. Compensazione “impropria”: la soluzione
La Cassazione ha dato torto al ricorrente condomino. Come hanno sottolineato i giudici supremi, il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, si è pronunciato in modo chiaro e argomentato sulla domanda riconvenzionale proposta dalla ricorrente con l’atto di opposizione, con la quale chiedeva di condannare il condominio a restituire quanto corrisposto in eccesso. Con tale domanda riconvenzionale, il condomino non ha opposto una compensazione in senso tecnico, o propria, intesa come rapporto tra crediti reciproci derivanti da rapporti distinti e autonomi, ma ha eccepito una compensazione c.d. impropria, volta a ottenere una diversa regolazione delle reciproche partite di dare e avere derivanti dal medesimo rapporto giuridico relativo alla gestione condominiale; in sostanza -anche per la Cassazione – il moroso ha dedotto l’esistenza di un errore di calcolo nella quantificazione della propria quota di spesa, come riportata nel rendiconto, per non avere l’amministratore correttamente conteggiato e posto a conguaglio i versamenti effettuati dal moroso negli esercizi precedenti il 2009. Aderendo pienamente alla tesi del Tribunale, la Cassazione ha osservato che, in mancanza di tempestiva impugnazione da parte del condomino della delibera che aveva approvato il rendiconto per l’anno 2009 e bilancio di previsione per l’anno 2010, la quantificazione e la ripartizione delle spese, come riportate nei documenti contabili approvati, è diventata definitiva e vincolante.
3. Riflessioni conclusive
In linea generale la compensazione legale è quella che opera automaticamente al ricorrere di determinati presupposti, ovvero quando i reciproci debiti sono omogenei, liquidi ed esigibili. In altri termini, perché le obbligazioni si possano estinguere per compensazione è necessario che entrambe abbiano per oggetto somme di denaro o quantità di cose fungibili dello stesso genere, siano determinate nel loro ammontare e non siano sottoposte a termine non ancora scaduto. Se un credito del condomino è stato riconosciuto da un giudice, questo può essere compensato con un debito verso il condominio. Al contrario non si possono porre in compensazione i crediti vantati dal condominio con quello (eventuale) di titolarità del condomino, laddove funzionali a riparare il danno subito nel proprio immobile, ad esempio a causa di infiltrazioni (Trib. Roma 2 ottobre 2018). Questi principi non possono operare nel caso esaminato in quanto il condomino non ha opposto una compensazione in senso tecnico, o propria, intesa come rapporto tra crediti reciproci derivanti da rapporti distinti e autonomi, ma ha eccepito una compensazione cosiddetta impropria, volta a ottenere una diversa regolazione delle reciproche partite di dare e avere derivanti dal medesimo rapporto giuridico relativo alla gestione condominiale. Per ottenere il risultato voluto il condomino avrebbe dovuto prima impugnare la delibera di approvazione del rendiconto per l’anno 2009 e del bilancio di previsione per l’anno 2010 nel termine perentorio di trenta giorni, decorrenti dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Infatti se l’assemblea, in relazione a una specifica annualità, ripartisce le spese in modo errato, discostandosi dalle regole previste dal codice civile, la delibera è annullabile e, quindi, deve essere impugnata entro massimo 30 giorni (Trib. Roma, V sez. civ., 9 gennaio 2023 n. 306). Del resto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione – mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione, ai sensi dell’art. 1137 c.c., comma 2, cioè nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione (Cass. civ., Sez. Un., 14/04/2021, n. 9839).
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