Compensazione spese di lite ed onere di motivazione

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  1.   Regolamento delle spese e violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.

L’art. 92 cod. proc. civ. prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo, possa compensare le spese di lite ovvero, in caso di contumacia, lasciarle interamente a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, quando sussistano gravi ed eccezionali ragioni. Queste, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 19.04.2018, n. 77, non sono più limitate ai casi di soccombenza reciproca ovvero di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza, come stabilito dall’art. 13 del D.L. n. 132/2014.

La deroga alla regola della soccombenza è ora consentita anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste dalla norma censurata dai giudici della Consulta, in presenza di analoghe gravi ed eccezionali ragioni desunte dalla peculiarità del caso concreto.

Il profilo evidentemente necessita pur sempre di motivazione esauriente circa la sussistenza dei suddetti requisiti, pena la nullità della sentenza per violazione dell’art.132, comma 2, n. 4 c.p.c.. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, tale violazione si verifica, in caso di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (Cass. n. 23940/2017; Cass. SS.UU. n. 8053/2014).

In tema di regolamento delle spese, la nozione di motivazione apparente è stata ricostruita dai giudici di legittimità per mezzo di una fitta serie di pronunce.

Così, con l’arresto n. 22598/2018, è stata ritenuta viziata la sentenza che abbia compensato le spese motivando mediante il rinvio alla “complessità delle questioni affrontate dal tribunale, tale da rendere imprevedibile ex ante quale potesse essere l’esito della causa“. Un tale supporto argomentativo è stato valutato inidoneo a consentire l’individuazione delle questioni la cui complessità giustificherebbe l’esercizio del potere di compensare le spese di lite previsto dall’art. 92 c.p.c.. Parimenti è stato escluso che potessero integrare ragioni gravi ed eccezionali “la complessità e la pluralità delle questioni trattate; semmai di tali parametri si può tener conto, in senso diametralmente opposto, al momento della liquidazione delle spese a favore della parte vittoriosa”.

Il deficit motivazionale è stato altresì attestato in ipotesi di richiamo a circostanze espresse con una formula generica, quali ad esempio “la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale” (Cass. n. 10042/2018; n. 22310/2017; n. 9186/2018); la “peculiarità della materia del contendere” (Cass. n. 11217/2016); “la buona fede dell’appellante pur soccombente” (Cass. n. 20617/2018). Si tratta, sottolinea la Corte di affermazioni di mero principio, ipoteticamente ricollegabili a qualsiasi procedimento e, pertanto, inidonee a consentire il necessario controllo.

In definitiva, la nullità della sentenza ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non consenta di risalire al ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, stante la genericità delle argomentazioni che la sorreggono (Cass. n. 14888/2017). La motivazione apparente, infatti, è paragonabile ad un “guscio vuoto”: l’apparato giustificativo esiste formalmente, ma non è in grado di evidenziare le ragioni poste a fondamento della decisione giurisdizionale.

  1. Il caso deciso in Cass. civ., 14.02.2019 n. 4360

Nel caso deciso dal giudice di legittimità con la sentenza in commento, la ricorrente si era doluta della compensazione delle spese disposta dal Tribunale a conclusione di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. che l’aveva vista totalmente vittoriosa.

Con il ricorso veniva dedotta la violazione dell’art. 92 c.p.c. nel testo risultante dalle modifiche apportate dal d.l. 12.09.2014, n. 132, convertito nella legge 10.11.2014, n. 162, applicabile ratione temporis al giudizio, posto che nessuna delle argomentazioni che sostenevano la decisione di merito rientrava tra i casi tassativi previsti dalla legge per derogare al principio di cui all’art. 91 c.p.c. . Si concludeva, quindi, per l’annullamento della sentenza.

La Suprema Corte ha preliminarmente rammentato che l’art. 92 cod. proc. civ. è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe ed eccezionali ragioni rispetto a quelle tipiche. Ha soggiunto che gli effetti della pronuncia di incostituzionalità retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato non conforme a Costituzione.

Quale conseguenza del ragionamento svolto ha succintamente concluso: “In applicazione di tale principio, deve rilevarsi che le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata rispondono certamente alle caratteristiche di gravità ed eccezionalità che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, giustificano la compensazione delle spese processuali”.

  1. Qualche osservazione

La pronuncia in esame, all’apparenza riproduttiva di principi ormai consolidati, sembra segnalare qualche problema di tenuta del regime instauratosi dopo l’intervento di Corte Cost. 19.04.2018, n. 77.

Ed invero, la Suprema Corte viene adita sul presupposto che la motivazione recata dal provvedimento impugnato fosse apodittica, non lasciando comprendere in cosa si sostanziasse il contrasto giurisprudenziale che era stato invocato per derogare alla regola posta dall’art. 91 c.p.c. ed ancor prima quale fosse la questione che rendeva la vicenda complessa. A fronte di ciò, la ricorrente si è vista motivare, in maniera invero criptica, che le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata rispondevano “certamente alle caratteristiche di gravità ed eccezionalità”. Ciò senza che, nel corpo della decisione, si informasse la parte interessata sui passaggi qualificanti del provvedimento di primo grado presi in considerazione per giungere ad un tale esito o dei motivi di infondatezza delle critiche svolte dalla ricorrente nei propri scritti.

In sostanza, l’arresto che si annota non agevola, in termini nomofilattici, l’individuazione dei confini di discrezionalità che il richiamo a “gravi ed eccezionali ragioni” riportato dall’art. 92 c.p.c., nella formulazione risultante dopo la nota pronuncia additiva, consegna al Giudice. Ciò aprendo ad una disciplina della regolamentazione delle spese di lite ancor più incerta di quella che gli interventi correttivi del Legislatore intendevano superare.

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Mauriello Giuseppe

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