La complicanza seguente all’intervento esclude la responsabilità della struttura sanitaria solo se era imprevedibile o inevitabile. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: complicanza dopo l’intervento
Una paziente di una struttura sanitaria adiva il Tribunale di Catania sostenendo di essere stata sottoposta a due interventi chirurgici presso la predetta struttura sanitaria, eseguiti da due diversi medici: il primo di colecistecotmia e il secondo di laparocele.
Secondo l’attrice entrambi detti interventi non erano stati eseguiti correttamente, secondo le regole della scienza medica, e a causa di ciò la stessa continuava ad avere disturbi funzionali ed inoltre le era residuato un danno estetico.
Pertanto, l’attrice chiedeva al Tribunale siciliano di condannare sia la struttura sanitaria che i due medici convenuti al risarcimento dei danni dalla medesima subiti, ritenendo sussistente una responsabilità dei sanitari e della struttura medesima.
La struttura sanitaria e uno dei medici convenuti contestavano la sussistenza di una responsabilità a loro carico, mentre gli eredi dell’altro medico (nel frattempo deceduto) non si costituivano in giudizio. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Prima di analizzare il caso concreto, il giudice ha esposto i principi guida in materia di responsabilità sanitaria e indicato la disciplina relativa alle complicanze che si possono verificare durante gli interventi chirurgici.
In primo luogo, il giudice ha ricordato che la struttura sanitaria è solidalmente responsabile in via contrattuale ed extracontrattuale con il medico che ha eseguito l’operazione per i danni dal medesimo provocati. Infatti, la struttura risponde dell’attività svolta da un libero professionista all’interno della struttura sanitaria, quanto meno quando non vi sia un rapporto di esecuzione d’opera meramente occasionale (ciò in quanto il rapporto tra medico e struttura comporta, a carico di quest’ultima, un vincolo di dipendenza, sorveglianza e vigilanza).
In tal caso, quindi, non è necessario che il medico sia un dipendente della struttura sanitaria, cioè sia legato ad essa da un rapporto di lavoro subordinato; il soggetto di cui la struttura sanitaria si sia avvalsa per l’esecuzione della prestazione, è comunque definito un ausiliario del cui operato la struttura stessa risponde (ciò anche se il medico, ausiliario della struttura, è scelto dal paziente).
Pertanto, la struttura sanitaria risponde dell’attività posta in essere dal medico (dipendente o meno) nel caso in cui nella condotta di quest’ultimo sia ravvisabile quanto meno il profilo della colpa.
In ragione di ciò, l’obbligazione assunta dalla struttura sanitaria (con riferimento all’esecuzione della prestazione sanitaria) è configurabile come un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ciò significa che la struttura o il medico devono svolgere la propria attività utilizzando mezzi scientifici più idonei a raggiungere il risultato favorevole per il paziente, ma non devono necessariamente guarire il paziente per poter ritenere adempiuta la loro prestazione. Pertanto, la mancata guarigione del paziente non comporta necessariamente l’inadempimento alla prestazione sanitaria.
In secondo luogo, il giudice ha precisato che la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria comporta che il paziente debba provare il nesso di causalità giuridica, cioè la relazione tra l’inadempimento contrattuale imputabile alla struttura e il danno che egli ha subito. Tale prova va fornita in base al criterio del “più probabile che non”: secondo cui il giudice potrà affermare l’esistenza del nesso causale anche se vi è la prova che renda detta relazione tra inadempimento e danno soltanto probabile (anche se non certa).
Infine, il giudice ha ricordato il concetto di complicanza negli interventi sanitari.
Con tale termine, si indica un evento dannoso, non voluto, che insorge nel corso di una prestazione sanitaria, aggravando la situazione del paziente e peggiorando le sue possibilità di recupero, con l’insorgenza di una patologia ulteriore anche se collegata o favorita dallo stato di salute di partenza del paziente o dalle cure praticate. In altri termini, una complicanza può essere causata dalla condizione del paziente oppure dall’intervento sanitario eseguito dal medico oppure da entrambe le predette cause.
Tuttavia, per poter avere un rilievo giuridico e quindi essere fonte di responsabilità a carico del sanitario, la complicanza deve avere due distinti requisiti: 1) deve essere imprevedibile; 2) deve essere inevitabile.
Prevedibile è la complicanza che avrebbe potuto essere riconosciuta come un pericolo di danno per il paziente; evitabile è la complicanza rispetto alla quale può essere neutralizzato il danno dalla medesima derivante.
Nel caso in cui la complicanza era prevedibile ed evitabile (e ciò nonostante il danno al paziente si è verificato ugualmente) sussiste una responsabilità del medico. Invece, se la complicanza non era prevedibile oppure non era evitabile (anche se era stata prevista) la stessa non è imputabile al sanitario.
Quindi il fatto che il danno subito dal paziente derivi da una complicanza è di per sé irrilevante per stabilire se sussiste una responsabilità del medico: ciò che conta è se il medico ha tenuto una condotta rispettosa alle leges arti e quindi se usando la diligenza e la prudenza prevista dalle leggi mediche la complicanza si poteva prevedere e il relativo danno al paziente si poteva evitare.
Tale onere probatorio grava sul sanitario medesimo.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che – in base alle risultanze emerse nella CTU eseguita sul paziente – gli interventi che sono stati eseguiti dai sanitari erano indicati tenuto conto delle condizioni della paziente e che gli stessi sono stati eseguiti correttamente, nonché che il laparocele che è derivato alla paziente dal primo intervento è una delle complicanze prevedibili ma inevitabili dell’intervento cui la stessa si era sottoposta.
In considerazione di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto che l’attrice non avesse fornito alcuna prova della responsabilità della struttura sanitaria e dei sanitari che ebbero in cura la paziente e conseguentemente ha rigettato la domanda attorea e ha condannato l’attrice medesima al pagamento delle spese di giudizio a favore delle parti convenute.
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