Le comunità secondo le disposizioni della Convenzione UNESCO del 2003

Nel precedente articolo per Diritto.it ho spiegato l’impatto della Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale – da ora, Convenzione UNESCO del 2003. All’interno di questo trattato viene spesso menzionata questa sequenza di termini: communities, groups and individuals, cioè comunità, gruppi ed individui. Per sola comodità espositiva tratterò quest’insieme di soggetti con il termine ‘comunità’. La domanda di partenza è la seguente: per poter tutelare il patrimonio culturale immateriale quale ruolo ricoprono le comunità secondo le previsioni della Convenzione UNESCO del 2003?
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Indice

1. Perché parlare delle comunità?


È doveroso partire da questo presupposto. La protezione del patrimonio culturale nel diritto internazionale è stata tradizionalmente fatta a favore dello Stato, spesso considerato il custode degli interessi della popolazione (presente e futura). Pensiamo alla tutela che l’Italia introduce nel rispetto della Convenzione sul Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO del 1972 se si parla delle Dolomiti (patrimonio naturale) o della Palermo arabo-normanna con le cattedrali di Cefalù e Monreale (patrimonio culturale). Quando però si parla di patrimonio culturale immateriale e di come questo possa essere protetto, allora iniziano a sorgere alcuni problemi. Trattandosi di culture viventi (ed essendo impossibile dissociare le comunità dal loro patrimonio), le comunità stesse hanno diritto alla protezione nell’ambito della Convenzione UNESCO del 2003. Questa posizione post-statale ha attirato molta attenzione intorno agli anni 90 e all’inizio degli anni 2000[1] e questo interesse si è ripetuto durante i negoziati della Convenzione. Gli Stati hanno cercato di contenere l’interesse erigendo nuovi muri di sovranità intorno a questo patrimonio. Tuttavia, almeno nella sua concezione, il patrimonio culturale immateriale sfida implicitamente le idee tradizionali di sovranità statale e di diritto dello Stato sul patrimonio culturale, avvicinandosi alle comunità e alla dimensione umana del patrimonio culturale. Non è quindi un caso che le comunità secondo le disposizioni della Convenzione UNESCO del 2003 (e nelle Direttive Operative della medesima Convenzione, che vedremo più avanti) abbiano un ruolo importante.
Per provare ad avvicinarci a questo modo di vedere possiamo fare un esempio: immaginiamo di dover salvaguardare l’opera dei pupi siciliani. Parliamo di un patrimonio culturale che, tipicamente espresso in forme materiali – i pupi sono oggetti, l’opera viene rappresentata in piccoli teatri costruiti – ha a che fare con tradizioni ed espressioni orali, artigianato tipico e locale, arti performative. In quanto tale, l’opera dei pupi difficilmente è tutelato o protetto direttamente dall’entità statale: al contrario, le comunità che culturalmente vivono l’opera dei pupi con interessi specifici: cosa salvaguardare, come tutelare le tradizioni come trasmetterle alle giovani generazioni. Non bisogna pensare ad un’esclusione dello Stato, bisogna pensare ad una doverosa collaborazione e la Convenzione UNESCO del 2003 lo dice a chiare lettere[2]. Indubbiamente possono esserci problemi e fattori che possono portare alla scomparsa – per i pupi nello specifico ci sono le risorse economiche insufficienti, la rapida trasformazione economica e la turistificazione – ma il legame tra comunità e patrimonio culturale immateriale è fortissimo. Infatti, anche se togliessimo il regime della Convenzione UNESCO del 2003, troviamo la conferma che le comunità sono il fulcro del patrimonio culturale immateriale e anche per quelle tradizioni non iscritte al patrimonio dell’UNESCO.
Per concludere questa parte, dobbiamo anche ricordare che la trasmissione da una generazione all’altra di una tradizione porta con sé la possibilità che alcuni elementi del patrimonio culturale immateriale vadano estinti. Non bisogna infatti pensare che la salvaguardia significhi cristallizzare una tradizione o una pratica rendendola inflessibile: la salvaguardia ha a che fare con il rafforzamento di ciò che è esistente in considerazione del fatto che il patrimonio culturale immateriale possa evolvere.
Si comprende quindi il ruolo che le comunità hanno per la tutela del patrimonio culturale immateriale, ma cosa prevede la Convenzione UNESCO del 2003?

2. Le disposizioni della Convenzione UNESCO del 2003


La Convenzione UNESCO del 2003 stabilisce sin dal Preambolo l’importanza delle comunità[3]. Successivamente, tra gli obiettivi elencati all’articolo 1 c’è quello di “garantire il rispetto del patrimonio culturale immateriale delle comunità, dei gruppi e degli individui interessati”. Inoltre, è nella stessa definizione di patrimonio culturale immateriale presente all’articolo 2.1 che rilevano per importanza e ruolo le comunità, i gruppi e gli individui interessati[4]. Il ruolo di tutti questi soggetti è fondamentale per la produzione, la salvaguardia, la manutenzione, la trasmissione e la ri-creazione del patrimonio culturale immateriale. Proseguiamo nella lettura delle disposizioni.
Il capitolo III della Convenzione si concentra sulla salvaguardia del patrimonio a livello nazionale. Gli articoli 11(b), 14 e 15 prevedono la partecipazione delle comunità, dei gruppi e, se del caso, degli individui all’attuazione di alcune misure. In particolare, ai sensi dell’articolo 11(b), gli Stati parti devono garantire che le comunità e i gruppi partecipino al processo di identificazione e definizione dei vari elementi del patrimonio culturale immateriale situati nei loro territori; l’articolo 14 prevede che gli Stati si adoperino per la realizzazione di programmi di educazione e formazione all’interno delle comunità e dei gruppi interessati; l’articolo 15 chiude il capitolo invitando gli Stati membri ad assicurare la partecipazione più ampia possibile delle comunità, dei gruppi, e, nei casi più opportuni, degli individui che creano, mantengono e trasmettono il patrimonio culturale immateriale e che tutti loro siano attivamente coinvolti nella gestione dello stesso[5].
Inoltre, gli Stati parti sono incoraggiati a facilitare l’accesso delle comunità, dei gruppi e degli individui ai risultati delle ricerche condotte su di loro e, come stabilito dall’articolo 13(d), a promuovere il rispetto delle pratiche relative all’accesso a specifici aspetti del patrimonio culturale immateriale.
Aggiungiamo a questa trattazione che, per la protezione del patrimonio culturale immateriale, è necessario fare riferimento ad una pluralità di attori: è la macrocategoria indicata in inglese degli stakeholders. Per fare degli esempi: associazioni di coloro che praticano una tradizione, ONG, istituzioni accademiche/scientifiche, accademie artistiche nazionali, autorità locali, agenzie governative centrali e regionali ed il settore privato. Gli operatori sono molteplici perché non è realizzabile una tutela piena del patrimonio culturale immateriale nel binomio Stato-comunità.


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3. Le Direttive Operative per l’implementazione della Convenzione UNESCO del 2003


Il ruolo attribuito alle comunità nella Convenzione è rafforzato nelle Direttive Operative per l’implementazione della Convenzione UNESCO del 2003. Vediamo come.
Partiamo da qui: l’iscrizione nelle Liste della Convenzione[6] o l’inclusione nel Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia non può avvenire senza il consenso libero, preventivo e informato della comunità o del gruppo interessato. Il loro coinvolgimento è richiesto anche nella preparazione e nell’attuazione dei programmi di salvaguardia che beneficiano dell’assistenza internazionale, e devono essere disposti a collaborare alla diffusione delle migliori pratiche se il loro programma, progetto o attività viene selezionato dal Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale come quello che meglio riflette i principi e gli obiettivi della Convenzione.
Tra le altre cose, le Direttive Operative incoraggiano anche gli Stati parte a creare un organo consultivo o un meccanismo di coordinamento per facilitare la loro partecipazione, così come quella di esperti, centri di competenza e istituti di ricerca, nell’identificazione e nella definizione del patrimonio culturale immateriale, nella stesura degli inventari, nell’elaborazione di programmi, progetti e attività, nella preparazione dei dossier di candidatura e nella rimozione di un elemento da una lista o nel suo trasferimento in un’altra.
Il Capitolo III delle Direttive Operative riguarda la partecipazione nell’implementazione della Convenzione. Riporto in breve i punti che più riguardano le comunità[7].
Il punto 79 richiama direttamente l’articolo 11(b): gli Stati sono incoraggiati a stabilire una cooperazione tra le comunità, i gruppi e dove possibile gli individui.
Il punto 80 prevede che gli Stati possano istituire organi consultivi o un meccanismo di coordinamento per facilitare la partecipazione proprio degli stessi gruppi di cui parliamo. Il punto 80 include anche esperti, organizzazioni e centri di ricerca in particolare per: l’identificazione e la definizione dei diversi elementi del patrimonio culturale immateriale presente sui territori, la redazione di inventari, l’elaborazione e l’implementazione di programmi, progetti e attività, la preparazione dei fascicoli di candidatura per l’iscrizione nelle Liste della Convenzione, la rimozione di un elemento del patrimonio culturale immateriale da una delle Liste o il trasferimento di un elemento da una Lista all’altra.
Il punto 81 richiama l’importanza della sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle comunità sull’importanza del valore del patrimonio culturale immateriale e sulla stessa Convenzione. Accanto alla consapevolezza, lo sviluppo delle capacità: è questo infatti il criterio indicato dal punto 82. In questo caso sono gli Stati membri a prendere misure appropriate e circostanziate.
Il punto 86 prevede che gli Stati membri debbano sviluppare insieme reti di comunità, esperti, centri e istituti di ricerca per creare strategie condivise e stabilire approcci multidisciplinari soprattutto là dove gli elementi del patrimonio culturale immateriale abbiano delle similitudini o caratteristiche in comune. E sempre in tema di cooperazione, il punto 87 prevede che gli Stati membri che possiedono documentazione relativa a un elemento del patrimonio culturale immateriale presente sul territorio di un altro Stato Parte sono incoraggiati a condividere tale documentazione con quest’ultimo. Questo passaggio di conoscenze non avverrà da Stato a Stato ma da Stato alle comunità, ai gruppi e dove possibile agli individui interessati oppure agli esperti, ai centri e agli istituti di ricerca.
Il Capitolo IV invece individua il tema della sensibilizzazione del patrimonio culturale immateriale. Anche qui l’inclusione delle comunità secondo le disposizioni della Convenzione UNESCO del 2003 si riflettono nelle Direttive Operative. Guardiamo in particolare alle Disposizioni Generali[8]. Un punto su tutti è il 101(b) in cui è stabilito il principio secondo cui le comunità devono prestare un consenso libero, preventivo e informato sulla sensibilizzazione sul loro patrimonio culturale. Il punto 102 invece evidenza cosa non può essere conseguenza dell’attività di sensibilizzazione: decontestualizzare o snaturare il patrimonio culturale delle comunità, estraniarle, discriminarle in qualsiasi forma, facilitare l’appropriazione indebita o abusare delle conoscenze e delle abilità delle comunità, nonché portare ad un’eccessiva commercializzazione o turistificazione insostenibile e che metta in pericolo il patrimonio culturale immateriale.

4. Alcune considerazioni


Analizzate le disposizioni e le Direttive Operative, possiamo fare delle considerazioni sul tema. Prima considerazione da fare: non esiste una definizione di comunità, neppure nella Convenzione UNESCO del 2003. E pare un controsenso prevedere così tante disposizioni senza includere una definizione di comunità: è un punto delicato dato che gli attori del diritto pubblico internazionale sono (e rimangono) lo Stato, l’organizzazione internazionale e l’individuo.
La seconda considerazione è che le Direttive Operative della Convenzione UNESCO del 2003 sono un utile strumento per un adeguamento degli Stati alle disposizioni della Convenzione, soprattutto in risposta ai cambiamenti sociali, culturali e politici. Pertanto alla staticità della Convenzione si affiancano le Direttive Operative che sono state più volte modificate (le ultime modifiche, nel momento in cui scrivo, sono quelle del 2022) e che hanno pertanto il pregio di ammodernare le risposte ai problemi di fondo del patrimonio culturale immateriale.
Bisogna poi tenere a mente un punto delicato della Convenzione UNESCO del 2003: tale trattato non specifica come le comunità possano influenzare le politiche statali. In più non prevede se le comunità possono avviare delle misure, per così dire, di difesa come adottare misure di salvaguardia in maniera autonoma o bloccare programmi sponsorizzati dallo Stati ai quali si oppongono.
Bisogna poi considerare un punto importante: gli Stati rimangono i soggetti con più poteri ed influenza su ciò che è e può essere protetto e tutelato. Perciò è appropriato dire che la tutela del patrimonio culturale immateriale non può esistere secondo uno schema o un modello applicabile a tutti gli Stati (è impossibile pensare, per tornare all’esempio di prima, che le forme di tutela previste per l’opera dei pupi siciliani siano pedissequamente replicabili per la tutela di altri elementi iscritti nelle Liste). È invece forse più opportuno capire quali sono dei modelli da poter seguire e quali da migliorare. Aggiungo però che bisogna anche capire come le autorità nazionali possano creare strutture che consentano una salvaguardia partecipata del patrimonio. In più, ovvio da dire ma corretto ricordarlo, non tutti gli Stati possono disporre di misure eccellenti e di grandi fondi in tema di protezione del patrimonio culturale immateriale: è per questo motivo, per esempio, che esiste il Fondo per il Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO che dispone per il periodo dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2023 un totale di 8.7 miliardi di dollari[9].
Ultimo punto che guarda al di là del diritto internazionale dei beni culturali: la Convenzione UNESCO del 2003 non è l’unico trattato che pone l’accento sul coinvolgimento e sull’importanza delle comunità in quanto tali[10]. Per esempio, un testo del diritto internazionale in cui c’è un forte coinvolgimento delle comunità è la Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione, alla partecipazione pubblica nel processo decisionale e alla giustizia in materia ambientale del 1998. Ed è anche comprensibile che sull’argomento ci debba essere un confronto e una collaborazione continua con le comunità: l’ambiente è il settore che più di ogni altro ha contribuito all’elaborazione di elementi legati alle comunità. Un altro testo interessante è la Convenzione sulla diversità biologica del 1992 in cui c’è l’uso del termine ‘comunità’ e del principio di partecipazione[11].
Da ciò deriva la seguente ed ultima considerazione: se è vero che diversi trattati internazionali riconoscono il ruolo delle comunità (in senso ampio, quindi in questo caso includendo le comunità indigene) è altrettanto vero che ad oggi il diritto internazionale dei beni culturali non accoglie pienamente i diritti delle comunità nonostante la loro indubbia rilevanza in materia di patrimonio culturale immateriale.

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a cura di Luca Mezzetti e Francesca Polacchini | Maggioli Editore 2021

Bibliografia e sitografia

Note

  1. [1]

    Ricordiamo infatti che poco prima dell’elaborazione della Convenzione UNESCO del 2003, la stessa UNESCO rilasciò la Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale nel 2001.

  2. [2]

    Considering that the international community should contribute, together with the States Parties to this Convention, to the safeguarding of such heritage in a spirit of cooperation and mutual assistance”.

  3. [3]

    Recognizing that communities, in particular indigenous communities, groups and, in some cases, individuals, play an important role in the production, safeguarding, maintenance and re-creation of the intangible cultural heritage, thus helping to enrich cultural diversity and human creativity”.

  4. [4]

    For the purposes of this Convention,
    1. The “intangible cultural heritage” means the practices, representations, expressions, knowledge, skills – as well as the instruments, objects, artefacts and cultural spaces associated therewith – that communities, groups and, in some cases, individuals recognize as part of their cultural heritage. This intangible cultural heritage, transmitted from generation to generation, is constantly recreated by communities and groups in response to their environment, their interaction with nature and their history, and provides them with a sense of identity and continuity, thus promoting respect for cultural diversity and human creativity. For the purposes of this Convention, consideration will be given solely to such intangible cultural heritage as is compatible with existing international human rights instruments, as well as with the requirements of mutual respect among communities, groups and individuals, and of sustainable development.”.

  5. [5]

    Mi pare opportuno sottolineare che le attività e i progetti coinvolgono e hanno effetti su larga scala. Non è un caso che all’articolo 13 si parli di “Altre misure per la salvaguardia”. Per esempio, gli Stati parti sono incoraggiati a facilitare l’accesso delle comunità, dei gruppi e degli individui ai risultati delle ricerche condotte su di loro e, come stabilito dall’articolo 13(d), a promuovere il rispetto delle pratiche relative all’accesso a specifici aspetti del patrimonio culturale immateriale.

  6. [6]

    Queste liste sono la Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità e la Lista del patrimonio culturale immateriale da salvaguardare con urgenza.

  7. [7]

    Ci sono infatti alcuni punti in questo capitolo che riguardano il ruolo degli esperti, dei centri e degli istituti di ricerca.

  8. [8]

    Il Capitolo IV infatti prevede anche punti sulle attività a livello nazionale e locale, sull’uso di misure educative formali e informali, sul ruolo di organizzazioni, centri, musei e associazioni, sull’impatto che media e altre forme di comunicazioni hanno, sulla commercializzazione, sull’uso del simbolo della Convenzione UNESCO del 2003.

  9. [9]

    The Intangible Cultural Heritage Fund – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO.

  10. [10]

    Faccio qui riferimento al preciso termine “comunità”. La trattazione di questo articolo non include le “comunità indigene” (indigenous communities) e di conseguenza non menziono il tema della conoscenza tradizionale così centrale e discusso in relazione all’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO).

  11. [11]

    L’articolo 8(j) fa esplicito riferimento al ruolo svolto dalle “conoscenze, innovazioni e pratiche delle comunità locali e indigene che incarnano stili di vita tradizionali” per la conservazione della biodiversità.

Lorenzo Venezia

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