Con la riforma del condominio è più facile la nomina/revoca dell’amministratore di condominio?

La riforma del condominio è entrata in vigore da pochi mesi e già i riflettori si accendono su alcune disposizioni poco chiare o di dubbia interpretazione; del resto la legislazione italiana lascia aperti ampi spazi di manovra alle interpretazioni più disparate e questo non è certamente un caso isolato. Parliamo, in questa occasione, delle maggioranze previste dall’articolo 1136 c.c. per la nomina (o la revoca) dell’amministratore di condominio. La norma presta in fianco ad una duplice interpretazione per cui occorrerà attendere le pronunce giurisprudenziali che (ci si augura) chiariscano i dubbi interpretativi.

Prima ipotesi: quorum unici per prima e seconda convocazione
Per la nomina e la revoca dell’amministratore sarebbe necessaria la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi. A tale conclusione si giunge fermandosi ad una interpretazione strettamente letterale e più tradizionale dell’articolo 1136 c.c., che mette in stretta correlazione il quarto comma con il secondo comma. In tale prospettiva “
Le deliberazioni che hanno per oggetto la nomina e la revoca dell’amministratore…. devono essere approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma.“. Il secondo comma, a sua volta, stabilisce che “Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.” Se questa interpretazione dovesse prevalere, la riforma non avrebbe introdotto alcuna modifica sostanziale nella materia.

Seconda ipotesi: in seconda convocazione i quorum sono più permissivi
Volendo dare una interpretazione più organica delle norme viste nel loro complesso e lette in armonia con i principi ispiratori della riforma che, come sappiamo, mira ad agevolare il raggiungimento delle decisioni assembleari, evitando inutili situazioni di stallo, si giunge ad una diversa conclusione. Secondo una diversa interpretazione del dettato normativo, i quorum richiesti per la nomina o la revoca dell’amministratore cambiano in funzione che la decisione venga assunta in prima o in seconda convocazione.

In tale prospettiva, il richiamo contenuto nel quarto comma dell’articolo 1136 cc farebbe riferimento solo all’assemblea di prima convocazione; in tale ipotesi, i quorum sarebbero dettati dal combinato disposto del primo e secondo comma dell’articolo 1136 cc per cui l’assemblea per la nomina/revoca dell’amministratore sarebbe valida “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”.

Come ben sappiamo, peraltro, nelle assemblee condominiali è difficile che una decisione (specie su un tema tanto delicato) venga presa in prima convocazione vuoi perché non si raggiunge il numero legale per la sua costituzione, vuoi per la difficoltà di formare una maggioranza per cui, di norma, l’organo deliberativo raggiungere una decisione in seconda convocazione. A questo punto, ci si chiede se, anche in seconda convocazione, valgano i quorum stabiliti dal primo e secondo comma ovvero se, per favorire l’assunzione della decisione, siano richiesti quorum più permissivi.

Per rispondere a questo interrogativo, occorre fare riferimento all’articolo 1136, comma 3, che, a proposito delle assemblee di seconda convocazione, stabilisce “Se l’assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l’assemblea in seconda convocazione….. è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.”

In questo caso, quindi, per le assemblee di seconda convocazione, sarebbero previsti dei quorum più semplici da raggiungere e, conseguentemente, la relativa delibera potrebbe essere assunta con il voto favorevole di un numero di voti che rappresenti solo 1/3 del valore dell’edificio.

In sostanza, volendo stabilire i quorum deliberativi, necessari alla nomina/revoca dell’amministratore, bisognerebbe introdurre una scriminante distinguendo due ipotesi:
a) nel caso in cui l’assemblea riesca a deliberare in prima convocazione (caso più unico che raro) sarebbe applicabile il secondo comma (ovvero i 500 millesimi);
b) nel caso in cui l’assemblea si riunisca in seconda convocazione (come normalmente avviene), troverebbe applicazione il terzo comma (ovvero un terzo del valore dell’edificio).

Tale interpretazione sembrerebbe più corretta per una serie di motivi:
a) le assemblee di prima convocazione vengono (volutamente) convocate in orari impossibili e le decisioni vengono assunte sempre in seconda convocazione;

b) il Legislatore della riforma ha cercato di snellire le decisioni ed imporre dei quorum elevati renderebbe più difficile il raggiungimento delle maggioranze prescritte;
c) non prevedere quorum differenziati per la prima e seconda convocazione avrebbe poco senso;
d) nel caso in cui non fosse possibile raggiungere la maggioranza prevista dal secondo comma (500 millesimi) il condominio rimarrebbe paralizzato e sarebbe necessario il ricorso all’autorità giudiziaria per la nomina di un amministratore giudiziario.

La riforma del condominio è appena nata e, per sciogliere i possibili dubbi interpretativi, dovremmo attendere la fase di rodaggio; non rimane che attendere le interpretazioni offerte dalla giurisprudenza.

Palombella Donato

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