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La prassi della Commissione in materia di concentrazione prima dell’entrata in vigore del reg. 4064/1989: dalla giurisprudenza Continental Can al caso Philip Morris
La disciplina delle concentrazioni tra imprese ha avuto in Europa un’evoluzione che potremmo definire discontinua e sui generis1. Già nell’ambito della C.E.C.A., infatti, era prevista una disposizione relativa a tale fattispecie, e limitata tuttavia al settore del carbone e dell’acciaio2. In seguito, invece, in sede di redazione del Trattato di Roma, nonostante la questione fosse stata oggetto di discussione, non si era potuti giungere alla predisposizione di una disposizione ad hoc. La circostanza pare essere stata, invero, il risultato anche di un’attenta valutazione dei mercati sui quali la disciplina sarebbe andata ad incidere. Infatti, in virtù dell’elevata frammentazione, e dunque del basso livello di concentrazione tra imprese presente nel mercato europeo all’epoca, si era volutamente evitato di regolamentare con una specifica disciplina tali operazioni3.
Tuttavia, anche in assenza di una specifica disciplina, trascorso un primo periodo di “modernizzazione” del mercato europeo nel senso sopra esposto, le istituzioni comunitarie, consapevoli dell’elevato rischio prodotto dall’eccessiva concentrazione di imprese che si stava via via realizzando, iniziarono a sottoporre a controllo le concentrazioni adottando quale base giuridica, prima l’art. 82 TCE, ed in un secondo tempo ai sensi dell’art. 81 TCE.
In merito al controllo effettuato ex art. 82 TCE, occorre avere riguardo ad una sentenza “storica”, trattasi della Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Europemballage Corporatzion e Continental Can c. Commissione4, decisione nella quale si rinviene altresì una prima applicazione dei principi stabiliti con il Memorandum della Commissione sulle concentrazioni del ’66 (cfr. nota 3). Con riferimento all’acquisizione da parte della Soc. americana Continental Can di cospicue quote di mercato nel settore degli imballaggi, la Commissione aveva affermato che la presa di controllo, da parte di una società già in posizione dominante all’interno di uno specifico mercato, su un’altra impresa del settore, avrebbe costituito di per sé un abuso di posizione dominante nella misura in cui avrebbe eliminato o ridotto drasticamente la concorrenza, attuale o potenziale, in quel determinato settore5. La Commissione richiamava l’attenzione delle imprese interessate sulla compatibilità dell’operazione con l’allora art. 86 TCE ed avviava d’ufficio un procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 3 del regolamento 17/1962 in base al quale accertava poi, l’abuso di una posizione dominante in capo alle società coinvolte nell’operazione. La decisione era, in seguito, oggetto di ricorso innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che la annullava per carenza di adeguata analisi economica sull’accertamento della posizione dominante. Tale sentenza, se da una parte produceva l’effetto pratico di annullare la precedente decisione della Commissione, accogliendo, fra l’altro gli orientamenti già espressi dalla stessa Commissione con il già citato Memorandum del ’66, dall’altra parte confermava, tramite talune affermazioni, le ragioni poste alla base della precedente decisione assunta dall’organo esecutivo. Particolare significato può essere attribuito alle affermazioni della Corte secondo cui “il rafforzamento della posizione occupata dall’impresa può essere abusivo e vietato dall’articolo 86 del Trattato, indipendentemente dai mezzi o procedimenti usati a tal fine […]. Si può infatti considerare abusiva la posizione dominante che giunga al punto di eludere gli obiettivi del Trattato mediante una modifica così profonda della struttura dell’offerta da compromettere gravemente la libertà d’azione del consumatore sul mercato. In questa ipotesi rientra necessariamente la pratica eliminazione di qualsiasi tipo di concorrenza”6. E ancora, confermando in linea di principio le precedenti affermazioni della Commissione, la Corte affermava che: “gli artt. 81 e 82 mirano allo stesso scopo, cioè a mantenere un’efficace concorrenza nel mercato comune. L’alterazione della concorrenza, vietata quando deriva dai comportamenti contemplati dall’art. 81, non può diventare lecita qualora detti comportamenti riescano, grazie all’azione di un’impresa dominante, a concretarsi in un’unione fra imprese. In mancanza di espresse disposizioni non si può ritenere che il Trattato, il quale vieta all’art. 81 talune decisioni di semplici associazioni di imprese che alterino la concorrenza senza eliminarla, ammetta tuttavia all’art. 82 come lecito il fatto che determinate imprese, collegandosi in un’unità organica, possano raggiungere una posizione dominante tale da escludere in pratica qualsiasi seria possibilità di concorrenza. Una tale diversità di trattamento aprirebbe nel complesso delle norme sulla concorrenza una breccia atta a compromettere il corretto funzionamento del mercato comune” (grassetto aggiunto).
In breve tempo la giurisprudenza Continental Can divenne un punto di riferimento per la disciplina comunitaria della concorrenza. In particolare, dall’analisi della sentenza, i cui passaggi più rilevanti possono ritenersi quelli appena sopra riportati, sono derivati alcuni punti fermi ripresi dalla successiva giurisprudenza :
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un’impresa in posizione dominante sul mercato pone in essere una condotta abusiva nel momento in cui rafforza ulteriormente la propria posizione mediante operazioni di concentrazione e producendo in tal modo una limitazione della concorrenza tale da rendere le residue imprese concorrenti dipendenti dalla stessa o comunque non sufficientemente autonome;
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per rientrare all’interno del campo di applicazione dell’art. 82 TCE non è necessaria l’eliminazione totale della concorrenza, essendo sufficiente una sostanziale riduzione di questa, tale da produrre un effetto per cui le restanti imprese concorrenti non siano più in grado di contrastare il potere di mercato della prima;
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non ha importanza il mezzo o il procedimento attraverso il quale viene realizzata la concentrazione7 né occorre procedere alla identificazione di un nesso di causalità in senso stretto tra l’operazione di concentrazione e la posizione dominante, essendo sufficiente accertare l’effettiva produzione degli effetti vietati.
Tuttavia, i limiti più rilevanti della giurisprudenza Continental Can non tardarono a manifestarsi. Intanto era evidente sin da allora il ridotto campo di applicazione di una disciplina che, sostanzialmente, prevedeva quale pre-requisito per l’applicabilità la collocazione dell’impresa interessata già in posizione di mercato dominante. Ciò valeva ad escludere tutte quelle operazioni di concentrazione che producevano esse stesse l’effetto di far acquisire all’impresa interessata una posizione dominante sul mercato8. Ancora, poi, altra grave lacuna strutturale dell’applicazione dell’art. 82 TCE in luogo di una disciplina ad hoc in materia di concentrazioni, era il carattere successivo dell’intervento. In sostanza, la base giuridica e la normativa vigente, rispettivamente art. 82 TCE9 e reg. 17/62, non permettevano di realizzare un controllo preventivo sulle operazioni di concentrazione. E’ evidente che l’intervento operato ex post riduceva considerevolmente la stessa efficacia dell’azione di controllo, peraltro aumentandone il “costo sociale” e non garantendo la certezza dei rapporti giuridici che nel frattempo potevano costituirsi e consolidarsi.
Diversi fattori portarono dunque la Commissione a raggiungere la consapevolezza della necessità di dettare una specifica disciplina per regolamentare le operazioni di concentrazione: le lacune che l’applicazione della giurisprudenza Continental Can aveva evidenziato, unitamente al sempre crescente numero ed al maggior volume delle concentrazioni che si realizzavano, ed alla tendenza della Corte di Giustizia a cercare autonamamente una base giuridica per pronunciarsi su tali fattispecie, produssero l’effetto di far cooperare le istituzioni comunitarie e gli Stati membri per il raggiungimento dell’obbiettivo comune. Già nel 1973, infatti, fu presentato un primo progetto di regolamento in materia di concentrazioni, e tuttavia bisognerà attendere il 1989 per vedere realizzata tale disciplina.
Nel frattempo, tuttavia, non solo la Corte di Giustizia reiterò spesso la prassi applicativa basata sull’art. 82 TCE, ma nella prima metà degli anni ’80 si pronunciò altresì in una serie di decisioni di carattere negativo nelle quali, fra l’altro, fece trasparire la possibilità di applicare alle operazioni di concentrazioni la disposizione di cui all’art. 81 TCE.
Un altro caso degno di nota e che segnò un’importante passo nell’evoluzione della disciplina comunitaria sulle concentrazioni è certamente il cd. caso Philip Morris10, su cui vale la pena soffermarsi. Innanzi alla Commissione prima, ed in seguito in sede giurisdizionale innanzi alla Corte di Giustizia, si pose il problema di valutare se e in quale misura l’acquisto di partecipazioni nel capitale di un’impresa concorrente potesse influire sull’equilibrio concorrenziale del mercato. I fatti sono relativamente semplici e si possono riassumere nell’acquisto da parte dell’americana Philip Morris Inc. del 50% della holding sudafricana Rembrandt Group Ltd. A seguito di tale cessione, alcune imprese concorrenti operanti nel settore del tabacco proposero reclamo alla Commissione affermando che una tale operazione avrebbe prodotto effetti negativi sulla concorrenza nel settore. La Commissione, condividendo almeno in parte le rimostranze manifestate dai concorrenti, notificò una serie di addebiti alla Philip Morris che, al fine di adeguarsi a quanto evidenziato dalla Commissione, modificò gli accordi sino a renderli compatibili con le esigenze del mercato regolamentato. In seguito, poi, i nuovi accordi furono approvati dalla Commissione stessa ed a nulla valse per le imprese concorrenti il successivo intervento della Corte di Giustizia che sancì definitivamente la liceità degli accordi intercorsi con l’esclusione del verificarsi di condotte anticoncorrenziali.
Seppur con la realizzazione di un risultato negativo per i concorrenti/ricorrenti che avevano portato il caso all’attenzione della Corte, anche tale sentenza deve ritenersi un importante punto fermo nell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia di concentrazioni. La Corte, infatti, nonostante abbia in concreto escluso la produzione di effetti anticoncorrenziali, non mancò di precisare che una tale fattispecie sarebbe stata comunque idonea in astratto, ed in presenza di particolari circostanze, a produrre effetti distorsivi nel sistema della concorrenza11.
Dalle due decisioni sopra riportate traspare l’orientamento che la Commissione ha adottato, in un primo momento, nei confronti delle concentrazioni tra imprese, che era dunque tollerata, ed in una certa misura, anche vista con favore12 nell’evoluzione del mercato comunitario.
2. L’applicazione del reg. 4064/1989: dal caso Kali sino al revirement prodotto con le sentenze Tetra Laval e General Eletric
Con il regolamento emanato alla fine degli anni ’80 le istituzioni comunitarie colmavano una lacuna che era ormai diventata motivo di preoccupazione nell’ambito della politica di concorrenza. L’aumentare del numero e delle dimensioni delle concentrazioni che avevano luogo tra imprese comunitarie suggerivano la necessità di una precisa regolamentazione di queste onde evitare che gli effetti positivi delle concentrazioni svolte in un primo momento nel panorama europeo mutassero patologicamente in operazioni aventi carattere distorsivo del regime di libera concorrenza.
Nel giro di pochi anni la prassi della Commissione e la giurisprudenza della Corte di Giustizia contribuirono a delineare la portata ed i confini del regolamento 4064/89, precisando, di volta in volta, ed anche in relazione alle fattispecie atipiche e meno frequenti, l’incidenza della normativa nell’economia della concorrenza europea.
Un caso particolarmente interessante all’interno della vasta giurisprudenza così formatasi, è certamente il cd. caso Kali. Occorre qui svolgere una breve premessa onde contestualizzare meglio la portata della decisione. Nell’applicazione del regolamento 4064/1989, l’accento è stato posto, in un primo momento, sulla valorizzazione degli aspetti strutturali: la creazione o il rafforzamento della posizione dominante. Gli effetti negativi sulla disciplina della concorrenza erano, tipicamente, presunti13. Ed inoltre, la nozione di posizione dominante è stata progressivamente ampliata. Nei primissimi anni di applicazione del regolamento, attenendosi a un’interpretazione letterale della norma, la nozione veniva riferita solo all’operatore principale nel mercato. In seguito, la Commissione ha iniziato a sostenere che l’articolo 2 del regolamento consentisse di colpire anche la posizione dominante detenuta collettivamente da più imprese. Questo è proprio il core issue del caso Kali che ha concretizzato l’ipotesi di un oligopolio collusivo. Le società tedesche Kali und Salz AG e Mitteldeutsche Kali AG notificavano alla Commissione un progetto di concentrazione ai sensi dell’allora vigente regolamento. Tali società operavano nel settore del potassio e del salgemma, settore, peraltro, in cui si rilevava un basso livello di concorrenza tra operatori. L’analisi della Commissione portò questa a ritenere che l’operazione avrebbe determinato una posizione dominante collettiva nel mercato comunitario dei prodotti a base di potassio14. Tuttavia, in seguito, nel dicembre del 1993, la Commissione consentiva ed autorizzava l’operazione subordinandola a determinate condizioni. La Francia, unitamente alla SCPA e all’AMC15 si rivolgeva alla Corte di Giustizia sollevando talune questioni che certamente meritavano un approfondimento. L’interesse e la portata del caso emergono evidenti dalle stesse considerazioni con cui gli attori introducevano la causa innanzi alla Corte. Con particolare riferimento alla questione centrale dell’applicabilità del regolamento 4064/1989 alle posizioni dominanti collettive la Corte16 aveva modo di osservare che “l’argomento delle ricorrenti secondo cui la scelta del fondamento giuridico di per sé stessa suggerirebbe che il regolamento non si applichi alle posizioni dominanti collettive non può essere accolto”, a sostegno di tale orientamento la Corte portava almeno tre argomenti:
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in primo luogo, come anche osservato dall’Avv. Generale nelle proprie conclusioni, gli artt. 87 e 235 del Trattato avrebbero potuto, teoricamente, essere utilizzati come base giuridica di una disciplina che consentisse di intervenire anche in via preventiva nei confronti di operazioni di concentrazione che creano o che rafforzano in modo significativo il gioco della concorrenza;
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in relazione all’art. 2 del reg. 4064/1989 la Corte osservava come non fosse sostenibile la tesi secondo cui tale articolo fosse preposto unicamente all’intervento in caso posizione dominanate individuale, e, seppur non espressamente previsto, dovevas ritenersi la sua applicabilità anche in caso di posizione dominante a carattere collettivo (questa interpretazione estensiva della norma deve ritenersi lecita laddove l’art. 2 non esclude espressamente la possibilità di applicare il regolamento a casi in cui le operazioni di concentrazione conducano alla creazione o al rafforzamento di una posizione dominante di carattere collettivo, ciè e nel caso di specie particolarmente- detenuta dai partecipanti alla concentrazione unitamente ad un soggetto terzo);
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da ultimo, neppure il riferimento operato dalle ricorrenti ai lavori preparatori consentiva di ritenere che nella portata della locuzione “posizione dominante” fosse ricompresa la posizione dominante collettiva17.
Esclusa l’accoglibilità dell’eccezione così sollevata dalle ricorrenti, la Corte operava dunque un’interpretazione della norma, l’art. 2 del reg. 4064/1989, “sulla scorta della sua finalità e disciplina generale [della disciplina] (v., in questo senso, sentenza 7 febbraio 1979, causa 11/76, Paesi Bassi/ Commissione, Racc. pag. 245, punto 6)”. A questo proposito si rilevava che il regolamento, a differenza degli artt. 85 e 86 del Trattato, sarebbe stato destinato ad essere applicato a tutte le operazioni di concentrazione aventi carattere comunitario qualora queste risultassero incompatibili con il regime di concorrenza instaurato dal Trattato. Conseguentemente, al punto 171 della sentenza veniva affermato che “un’operazione di concentrazione che crei o rafforzi una posizione dominante delle parti interessate con un entità terza all’operazione è atta a risultare incompatibile con il regime di concorrenza non falsato voluto dal Trattato”. Con un’interpretazione a contrariis, infatti, si sarebbe giunti all’irragionevole risultato di privare il regolamento di una parte del suo effetto utilem senza che ciò sia realmente necessario all’economia generale del regime comunitario di controllo delle concentrazioni. Da ultimo, poi, dall’ulteriore analisi delle motivazioni della sentenza è altresì possibile trovare una soluzione ad un altro non irrilievante problema sollevato dalle ricorrenti: in un procedimento di tal guisa, i diritti di difesa dell’impresa terza comunque interessata dall’operazione, si troverebbero irrimediabilmente compromessi. Su questo punto la Corte ha rilevato che: “né l’argomento relativo alla mancanza di garanzie procedurali né quello riguardante il ‘quindicesimo’18 considerando del regolamentato sono tali da rimettere in discussione l’applicabilità del regolamento ai casi di posizione dominante collettiva derivanti da operazioni di concentrazione”, infatti, proseguendo la Corte statuiva che “riguardo al primo di tali argomenti si deve osservare che il regolamento non prevede espressamente l’obbligo di dare, alle imprese terze all’operazione di concentrazioni considerate come il polo estrerno dell’oligopolio dominante, la possibilità di esprimere utilmente il loro punto di vista” ed ancora, concludendo, “pur assumendo […] che la progettata operazione di concentrazione instaura o rafforza una posizione dominante collettiva tra le imprese interessate e un’impresa terza, possa di per sé essere lesivo per quest’ultima, si deve ricordare che il rispetto dei diritti di difesa in qualunque procedimento costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario che deve essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma di procedura a riguardo19”. L’orientamento estensivo che la Commissione e la Corte avevano abbracciato con tale decisione, in un certo senso anche in antitesi al punto di vista adottato nel periodo precedente all’entrata in vigore del regolamento stesso, emerge con forza, da ultimo, con riferimento alla considerazioni conclusive svolte dai Giudici: “[…] tenuto conto dello scopo del regolamento […], il fatto che nel suo ambito non sia stata espressamente prevista, da parte del legislatore comunitario, una procedura in grado di garantire il diritto di difesa delle imprese terze ritenute detentrici di una posizione dominante collettiva con le imprese partecipanti alla concentrazione non può essere considerato come una prova decisiva dell’inapplicabilità di detto regolamento alle posizioni dominanti collettive”. Dall’analisi di questa giurisprudenza traspare in maniera evidente il reviremént applicativo, della Commissione, e giurisprudenziale, della Corte, in relazione al mutato atteggiamento nei confronti delle operazioni di concentrazione. A circa metà degli anni ’90, l’ormai compiuta evoluzione del mercato comunitario aveva evidenziato tutti gli aspetti negativi di un eccessivo livello di concentrazione tra imprese, e le istituzioni comunitarie dopo averne preso atto “correvano ai ripari”, estendendo, talvolta, le proprie competenze anche al di là del dato letterale previsto dalla normativa e dal regolamento.
Procedendo a tappe rilevanti nell’evoluzione dell’orientamento finora descritto, viene in evidenza il caso Airtours-First Choice20, nel quale la Commissione è andata ancora oltre rispetto all’interpretazione estensiva adottata nel caso Kali, applicando la nozione di posizione dominante collettiva anche a situazioni di oligopolio non collusivo. Secondo questa prospettiva, viene qualificato comportamento anticoncorrenziale anche il solo aumento di potere di mercato che deriva dalla semplice riduzione del numero degli operatori, a prescindere dall’esistenza di un coordinamento tacito. Tuttavia, la decisione a cui la Commissione era approdata per il tramite dell’anzidetta interpretazione estensiva, fu, in questo caso, disattesa dal Tribunale di primo grado. Nel 1999 la società britannica Airtours plc rendeva pubblica l’intenzione di acquistare l’intero capitale di una società concorrente e notificava alla Commissione tale progetto. L’esame poi svolto in seno alla Commissione si concludeva con una decisione che dichiarava l’operazione come incompatibile con il mercato comune poiché avrebbe creato una posizione dominante collettiva nel mercato britannico (la nozione di mercato rilevante in questione era individuata nel mercato britannico dei pacchetti di vacanza all’estero con destinazioni a corto raggio). La società Airtours presentava dunque ricorso per annullamento, fondato sostanzialmente su due motivi: il primo concernente l’errata individuazione del mercato rilevante, ed il secondo basato sul presupposto che la Commissione avesse applicato un’inedita nozione, ed errata, di posizione dominante collettiva. Dunque, come già anticipato, si trattava della prima applicazione della normativa in materia di concentrazioni, ad un caso di oligopolio non collusivo.
Per quanto riguarda l’errata individuazione del mercato rilevante, la questione è tutta incentrata sulla differenza (leggi “sostuibilità”), tra pacchetti vacanze “a corto raggio” e “a lungo raggio”. I secondi sono individuati con quelle mete che prevedono uno spostamento aereo maggiore di tre ore. Il Tribunale, dopo aver affettuato un’attenta analisi degli argomenti portati sul punto da entrambe le parti, conclude ritenendo che la Commissione ha effettuato una corretta individuazione del mercato rilevante nel caso di specie, e ciò senza andare oltre i limite del proprio potere discrzionale21. Pertanto il primo motivo di annullamento veniva respinto in quanto infondato. Passando poi all’esame del secondo, e ben più rilevante, motivo avanzato dalle ricorrenti, il Tribunale, nel riformare la decisione della Commissione, ha avuto modo di individuare in astratto alcune condizioni necessarie a comprovare l’esistenza di una posizione dominante colletiva di tal genere (ricordiamo trattavasi di oligopolio non collusivo) :
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ogni impresa ritenuta coinvolta deve essere in grado di conoscere il comportamento delle altre, così da poter verificare se esse seguono effettivamente i comportamenti concordati (monitoring);
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devono sussistere adeguati meccanismi di punizione nel caso di deviazione dall’equilibrio di uno dei partecipanti all’intesa (retaliation), cosicché eventuali terzi concorrenti presenti e futuri non siano in grado di turbare l’equilibrio;
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la prevedibile reazione dei concorrenti, effetivi e potenziali, nonché dei consumatori, non deve essere in grado di inficiare i risultati attesi dalla comune linea d’azione.
Alla luce anche di tali requisiti, ed a seguito di un’attenta analisi del ragionamento svolto dalla Commissione, il Tribunale accertava che “ […] la Decisione, lungi dall’aver basato la sua analisi prospettica su elementi di prova solidi, è viziata da un insieme di errori di valutazione che riguardano elementi importanti per la valutazione dell’eventuale creazione di una posizione dominante collettiva. Ne consegue che la Commissione ha vietato l’operazione […] senza dimostrare un ostacolo significativo ad un’effettiva concorrenza nel mercato di cui trattasi”
Il caso Airtours-First Choice ha dunque posto un freno alla linea interpretativa estensiva della nozione di dominanza (almeno per quanto riguarda l’oligopolio non collusivo). Ad un primo periodo di applicazione prudente, è seguito un secondo periodo di applicazione più aggressiva dei divieti e delle misure correttive22 ed il caso Airtours è espressione dell’arrestarsi, in un certo senso, di questa seconda fase.
Proseguendo nell’analisi della giurisprudenza, necessario riflesso degli orientamenti di volta in volta adottati dalle istituzioni comunitarie, non possono non venire in evidenza alcuni particolari casi di concentrazioni cosidette “conglomerali”, poste in essere cioè da imprese operanti in diversi mercati. A riguardo la politica della Commissione pare essere stata alquanto controversa, e disattesa poi dai relativi controlli giurisdizionali del Tribunale e della Corte di Giustizia. Nel cd. caso Laval23, ad esempio, la decisione assunta in prima battuta dalla Commissione, che dichiarava l’operazione di concentrazione notificatale come incompatibile con il mercato comune, fu immediatamente impugnata dalla società, la Tetra Laval BV, innanzi al Tribunale di I grado, che, accogliendo le doglianze della ricorrente, annullò la decisione dell’organo esecutivo24. In particolare, e fra l’altro, il Tribunale aveva ritenuto che la Commissione avesse commesso dei rilevanti errori di valutazione con riferimento al cd. effetto leva25 ed all’effettivo rafforzamento della posizione dominante della Tetra nel settore di riferimento26. Senza scendere nel dettaglio dell’analisi della pronuncia del Tribunale, basti qui rilevare che dal dato letterale della sentenza traspare nitidamente l’idea che le concentrazioni cd. conglomerali siano generalmente “neutre” per l’equilibrio della concorrenza, e anzi, che talvolta possano addirittura produrre effetti positivi su questa (anche qui, ovviamente, si tratta sempre di considerazioni a carattere maggiormente economico che giuridico). In estrema sintesi e buona sostanza, il Tribunale ritenne che alla fattispecie in esame, ed in generale alle cd. concentrazioni conglomerali, potesse essere applicata una presunzione di compatibilità con il diritto della concorrenza comunitario particolarmente forte. Tuttavia, da parte sua la Commissione impugnò a sua volta la sentenza del Tribunale innanzi alla Corte di Giustizia per ottenerne l’annullamento. La Commissione invocava a sostegno della propria tesi diversi motivi di ricorso (cinque formalmente, riconducibile sostanzialmente a quattro argomenti/obiezioni). Ripercorrendo le ragioni della Commissione dal punto di vista della Corte di Giustizia, è possibile apprezzare, da una parte, il merito e la fondatezza delle ragioni stesse, e dall’altra, delineare i contorni dell’approccio utilizzato dalla Corte nell’affrontare tali, complesse, questioni27. Analizziamo dunque i motivi di ricorso e la relativa analisi svolta dalla Corte:
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con il primo motivo di ricorso la Commissione contestava la richiesta operata dal Tribunale in relazione al livello probatorio ed alla qualità degli elementi di prova presentati a sostegno della propria argomentazione, ritenendo tale richiesta incompatibile con l’ampio potere discrezionale di cui la Commissione dispone quando occorre effettuare considerazioni di ordine economico.
La soluzione di tale prima questione è relativamente semplice. Il Tribunale, infatti, aveva correttamente parametrato le richiesta avanzate alla Commissione agli stessi criteri del sindacato giurisdizionale cristalizzati nella pronuncia Kali & Salz28. Sebbene la Corte riconosca pacificamente alla Commissione l’ampio potere discrezionale di cui questa dispone in tali casi, “ciò non implica che il giudice comunitario debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica” ((punto 39 della relativa sentenza). Al termine della disamina di questo ed altri profili connessi, la Corte riteneva che il Tribunale aveva rispettato i criteri del sindacato giurisdizionale esercitato dal giudice comunitario – aveva rispettato dunque l’art. 230 CE – e dichiarava il primo motivo di ricorso infondato;
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con il secondo motivo la Commissione lamentava la violazione da parte del Tribunale degli artt. 2 e 8 del regolamento in quanto questi aveva imposto di tener conto dell’incidenza del carattere illegale di determinati comportamenti sugli incentivi esercitati sulla nuova entità a far uso di un effetto leva, e ancora di valutare, quale eventuale misura correttiva, l’impegno di non adottare comportamenti abusivi.
Sulla questione avanzata con il secondo motivo di ricorso occorre evidenziare che, se anche il Tribunale avesse commesso un errore di diritto respingendo le conclusioni della Commissione inerenti all’adozione, da parte della nuova impresa, di comportamenti idonei a produrre il cd. effetto leva, esso ha comunque correttamente statuito in ordine al fatto che la Commissione avrebbe dovuto tenere in maggiore considerazione gli impegni sottoscritti dalla Tetra in merito al futuro comportamento della nuova impresa;
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con il terzo motivo di annullamento la Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto ricorrendo ad un errato criterio di sindacato giurisdizionale e una violazione dell’art. 2 del regolamento nei limiti in cui ha stabilito che la “decisione non fornisce sufficienti elementi per giustificare la definizione di sottomercati distinti delle macchine SBM, secondo la loro utilizzazione finale” e che “pertanto, gli unici sottomercati da prendere in considerazione sono quelli delle macchine a bassa capacità”.
I primi due argomenti del terzo motivo vengono qualificati, rispettivamente, come ininfluente ed incoferente29. Per quanto attiene all’altro argomento, che sostanzialmente mira a contestare la valutazione del Tribunale relativa al carattere generico delle macchine SBM, alla possibilità di definire a quale gruppo appartenga un dato cliente ed all’impossibilità di avvalersi degli scambi fra clienti o dell’arbitraggio tramite terzi in relazione a tali macchine, la Corte rileva come tali circostanze debbano essere dichiarate irricevibili, in quanto pongono in discussione la valutazione di elementi di prova effettuata dfal Tribunale30. Per tali ragioni anche il terzo motivo addotto dalla Commissione deve ritenersi in parte irricevibile, ed in partne infondato;
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infine, poi, con il quarto motivo di ricorso la Commissione ha sostenuto la violazione da parte del Tribunale dell’art. 2 del regolamento, avendo omesso di rilevare alcuni argomenti portati dalla Commissione stessa a sostegno della fondatezza della sua ipotesi – quella cioè secondo cui la Tetra con l’operazione in discorso avrebbe rafforzato al sua posizione dominante – .
L’analisi di tale motivo deve prendere avvio dal panorama dei concorrenti dell’impresa intressata31. Precedentemente il Tribunale aveva ritenuto che la sola circostanza che la Tetra già prima dell’operazione di concentrazione detenesse una posizione dominante all’interno del mercato di riferimento, non di per sé elemento che possa che possa autonomamente provare la diminuzione della concorrenza. Anzi, l’impresa stessa contestava tale punto affermando che la mancanza di innovazione (che sarebbe invece stata prodotta dalla concentrazione in questione) avrebbe avvantaggiato gli allora concorrenti della Tetra producendo effetti negativi sul mercato. Il Tribunale, infine, si è fondato sulle potenziali reazioni dei concorrenti della Tetra per confutare l’affermazione della Commissione secondo cui una volta portata a termine la concentrazione l’impresa avrebbe aumentato i prezzi senza che la nuova entità apportasse elementi innovativi nel settore. Pertanto non si può ritenere fondata la doglianza espressa dallaCommissione secondo cui la concorrenza potenziale sarebbe del tutto slagata dalla relazione di concorrenza esistente tra l’impresa considerata dominante e le altre imprese operanti nel mercato di riferimento.
3. Cenni sulla successiva evoluzione e sulla riforma del reg. 139/2004
Come già accennato supra occorre rilevare che le sentenze Tetra Laval e la successiva General Eletric32, oltre ad avere in comune lo stesso impianto sostanziale, con riferimento alle decisioni assunte dal Tribunale e dalla Corte, segnano altresì il passaggio della Commissione ad una nuova prospettiva in materia di controllo delle concnetrazioni. In estrema sintesi e buona sostanza, le due sentenze, oltre ad aver sottolineato in concreto le carenze probatorie delle decisioni della Commissione, hanno messo in luce importanti aspetti sostanziali riguardo alla portata del divieto ed hanno imposto una più attenta valutazione economica dei casi sottoposti all’attenzione della Commissione. L’effetto dell’arresto operato con tale ultima giurisprudenza è stato tale per cui la Commissione stessa si è trovata necessariamente a dover rivedere le proprie prospettive in materia di controllo delle concentrazioni. In primo luogo essa ha sciolto la Merger task force fino ad allora preposta al controllo delle concentrazioni, ed in seguito, ha avanzato diverse proposte per migliorare la disciplina del controllo sulle concentrazioni. Tali proposte possono afferivano sostanzialmente a tre macroaree: le procedure interne ed il successivo controllo giurisdizionale, il ruolo dell’analisi economica e gli aspetti sostanziali della disciplina. Sintenticamente possiamo osservare che con riguardo al primo punto l’intento è stato quello di rendere maggiormente garantista per le iomprese interessate il controllo effettuato sulle operazioni di concentrazione, in particolare il punctum dolens è da rinvenire nella circostanza secondo cui chi presiede allo svolgimento dell’istruttoria è il medesimo soggetto che poi assume la decisione33. Con riferimento, invece, all’analisi economica, occorre rilevare che questa, pur rivestendo un’importanza sempre maggiore nella valutazione delle decisioni assunte dalla Commissione, non può da sola gistificare l’adozione, o meno, di determinate misure. In pratica il ruolo dell’analisi economica dovrebbe essere al contempo, da una parte valorizzato, e dall’altra prudentemente valutato quale parte, fondamentale, di un “pattern” complesso e multidisciplinare.
Nel gennaio del 2004, poco più di una dozzina di anni dopo l’entrata in vigore della prima normativa organica in materia di controllo sulle concentrazioni, La Commissione europea ha adottato il cd. “reform package”varando una riforma anche sostanziale del merger control a livello europeo34.
La rapida ricognizione che precede della giurisprudenza comunitaria in materia di controllo delle concentrazioni, seppur non esaustiva e senza pretese di completezza, permette di apprezzare, sia da un punto di vista prettamente giuridico che da un punto di vista più generale di politica economica, il rapido evolversi della disciplina in questione. Seppur è vero che la Comunità Europea è giunta relativamente tardi ad elaborare una normativa organica su tale materia, è altrettanto vero che questo ha permesso al legislatore europeo di evitare gli errori commessi da altre discipline nazionali. La natura stessa della materia trattata ha poi imposto una revisione per così dire “a breve termine” e l’osservazione del rapidissimo evolversi della disciplina comunitaria in questa materia, oltre ad essere espressione dinamica di un “nuovo modo di fare diritto”, consente di apprezzare altresì la portata del controllo giurisdizionale svolto in seno alla Comunità Europea. In estrema sintesi e buona sostanza, è possibile interpretare parte dell’evoluzione supra ripercorsa35 come un processo dialettico in cui la crescita e l’adattamento della normativa è il risultato di una dialettica conflittuale tra la Commissione e le istituzioni giurisidizionali dell’Unione, il Tribunale di I grado o la Corte di Giustizia. Un procedimento che potrebbe quasi definito quasi maieutico, di consapevole crescita e adattamento di una disciplina al sostrato fattuale su cui la stessa dovrà operare.
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Questo se il parametro di riferimento è individuato, ad esempio, nella disciplina statunitense. Basti pensare alla lungimiranza e coerenza insiti nello Sherman Act, emanato nel 1890 e consistente in una disciplina applicabile ad ogni fattispecie restrittiva della concorrenza, omnicomprensiva, e comunque strutturata in maniera tale da potersi adattare ai rapidi cambiamenti del mercato dettati dall’andamento dell’economia. L’idea che ha guidato la stesura di tale disciplina era quella di proteggere il mercato da qualsiasi illegittima restrizione della concorrenza. Con questo intento venivano redatte le sez. I e II dello Sherman Act le quali prevedono che “ogni contratto, combinazione nella forma di trust o altrimenti, o cospirazione che limita gli scambi o il commercio tra i vari Stati, o con nazioni straniere, è per mezzo della presente legge dichiarato illegale”, e ancora che “ogni persona che monopolizzerà o tenterà di monopolizzare o entrerà a far parte di combinazioni o cospirazioni con altra persona o persone, tendenti a monopolizzare qualsiasi parte degli scambi o del commercio fra i vari Stati o con nazioni straniere sarà ritenuta colpevole di reato”. (Traduzione tratta da Bernini, “Un secolo di filosofia antitrust”, Clueb, Bologna, 1993.
2Cfr. art. 66 Trattato C.E.C.A., la ratio di tale disposizione è da rinvenirsi nella circostanza che il mercato del carbone e dell’acciaio era già allora caratterizzata da un elevato grado di concentrazione tra imprese.
3Le ragioni di tale scelta possone essere ricondotte anche a considerazioni economiche. Un elevato grado di concentrazione è sicuramente un fattore che incide negativamente sull’equilibrio concorrenziale del mercato, e tuttavia, in un’ottica macroeconomica – che tenga cioè conto dell’andamento dei mercati in senso non solo transanazionale ma anche transcontinentale – anche una troppo elevata frammentazione del mercato può produrre un effetto antieconomico. Dunque al fine di facilitare i rapporti con con le grandi imprese americane ed asiatiche si era attivata, in un primo momento, una politica tesa se non a favorire, quantomeno a tollerare le operazioni di concentrazione tra imprese. Cfr., tra l’altro, Memorandum of the Commission to the Governements of the Member State, Concentration of Enterprises in the Common Market, EEC Competition Series, Study No. 3, Bruxelles, 1966.
4Causa 6/72, Racc. 1973, pp. 215 e ss..
5Decisione Continental Can, in GUCE n. L 7 dell’8 gennaio 1972, pagg. 25 e ss..
6Per una più approfondita analisi della cd. giurisprudenza Continental, cfr. B. Nascimbene, M. Condinanzi, Giuriprudenza di diritto comunitario. Casi scelti, Giuffrè editore, 2007, pp. 986 e ss..
7Cfr. in particolare su quest’ultimo punto, A. Frignani, M. Waelbroeck, Disciplina della concorrenza nella CE, Torino, UTET, 1996.
8Tale circostanza, oltre a qualificarsi come uno dei limiti più evidenti di tale disciplina, era tra l’altro stata ampiamente criticata già all’epoca. Cfr. in particolare risposta alla questione scritta n. 385/75 di M.Scholten, in GUCE n. L 285 del 13 dicembre 1975.
9Numerose altre concentrazioni furono valutate in quegli anni sulla base dell’art. 82 TCE, tra queste possiamo ricordarne alcune: Mannesmag/Demag, III relazione sulla politica di concorrenza (1973), No. 73; Fiat/Kloeckner-Humboldt-Deutz, V relazione sulla politica di concorrenza (1975), No. 83; Michelin / Actor, VIII Relazione sulla politica di concorrenza (1978), No. 146; Kaiser/Estel, IX Relazione sulla politica di concorrenza (1979), No. 131; Amicon/Fortia e Wright Scientific, XI Relazione sulla politica di concorrenza,(1981) No. 112. Per un catalogo completo di questa prassi cfr. documenti ufficiali delle Relazioni sulla politica di concorrenza e L.F. Pace, Diritto europeo della concorrenza, Cedam, Padova, 2007 (Parte X, Cap. 41, pp. 379 e ss.).
10Cause riunite 142 e 156/84, Sentenza della Corte del 17 novembre 1987.
11Più precisamente, ai Punti 37, 38 e 39 della Sentenza in discorso la Corte precisava che tali effetti avrebbero ben potuto prodursi nel caso i) di acquisizione del controllo; ii) in cui l’accordo avesse contemplato la collaborazione commerciale tra le imprese interessate o avesse creato strutture idonee ad agevolare tale collaborazione; iii) in cui l’accordo avesse previsto la possibilità che l’acquirente potesse ottenere successivamente il controllo dell’impresa partecipata.
12Sulle ragioni, prettamente economiche, di tale orientamento ci si è già soffermati supra, cfr. nota 3.
13Gli effetti negativi per i consumatori sono stati a lungo tempo ignorati o comunque non sufficientemente considerati in un ottica generale di salvaguardia degli interessi del mercatiìo in senso stretto (dunque con particolare riguardo in primis ai concorrenti delle imprese che ponevano in essere concentrazioni rilevantio per il diritto comunitario).
14Più precisamente, come osservato in B. Nascimbene, M. Condinanzi, op. cit., “l’analisi della Commissione si fondava, da un lato, sulla considerazione che l’offerta al di fuori del gruppo Kali und Salz/Mitteldeutsche Kali e SCPA (consociata francese) era atomizzata e faceva capo ad operatori non in grado di intaccare la quota di mercato complessiva di circa il 60% detenuta dal duopolio e, dall’altro, sulla presunzione secondo cui tra Kali und Salz/Mitteldeutsche Kali e SCPA non si sarebbe instaurata alcuna concorrenza effettiva, sia per le caratteristiche del mercato dei sali di potassio, sia per il comportamento tenuto in passato da Kali und Salz/Mitteldeutsche Kali e SCPA, sia, infine, per l’intreccio di rapporti esistenti da molto tempo tra di esse”.
15Si tratta delle due imprese francesi coinvolte nell’operazione: SCPA Societé commerciale des potasseset de l’azote e EMC Enterprise miniere et chimique.
16Francia e a. contro Commissione, cause riunite C-68/94 e C-30/95, 31 marzo 1998, Racc. I-1375.
17Punto 167 della Sentenza: “Pertanto, i lavori preparatori non sono in grado di fornire indicazioni utili per l’interpretazione della nozione controversa (v., in questo senso, sentenza 1° giugno 1961, causa 15/60, Simone/Corte di Giustizia, Racc. pag. 213)”.
18Il ‘quindicesimo’ considerando del reg. 4064/1989 dispone che: “La Commissione dovrebbe poter rinviare ad uno Stato membro le concentrazioni notificate di dimensione comunitaria che rischiano di incidere in misura significativa sulla concorrenza in un mercato, all’interno del suddetto Stato membro, che presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto. […]” cfr. quindicesimo ‘considerando’ reg. 4064/1989, sulla possibilità di rinvio agli Stati membri del controllo su determinati tipi di concentrazione.
19“v., in questo senso, sentenza 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman-LaRoche/Commissione, Rac. pag. 461, e 24 ottobre 1996, causa C-32/95, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I-5373, punto 21)”.
20Airtours plc. c. Commissione, causa T-342/99, 6 giugno 2002, Racc. II-2585.
21Cfr., in particolare, i passaggi della sentenza da n. 17 a n. 48. Particolarmente interessante anche l’operato riferimento alla giurisprudenza precedente: “19. Occorre osservare innanzitutto che, per quanto riguarda l’applicazione del regolamento 4064/89, […], l’adeguata definizione del mercato rilevante è una condizione necessaria e previa alla valutazione degli effetti sulla concorrenza della concentrazione tra imprese notificata (v.. in tal senso, la sentenza della Corte 31 marzo 1998 cause riunite C-68/94 e C-30/95, Francia e a./Commissione, detta Kali&Salz)”
22Per una sintesi efficace rinvio a un recente articolo di Nicholas Levy su “EU Merger Control: from Birth to Adolescency” (World Competition, 2003).
23Commissione c. Tetra Laval BV, causa C-12/03 P, 15 febbraio 2005, Racc. I-1113.
24Tetra Laval BV c. Commissione I, causa T-5/02, 25 ottobre 2002, Racc. pag. II-4318.
25L’effetto leva è un concetto sostanzialmente economico che in estrema sintesi, ed ai soli fini che qui interessano, può essere descritto come quello effetto derivante dallo sfruttamento del potere detenuto in un mercato al fine di provocare od indurre l’uscita dei concorrenti da un altro e diverso mercato.
26I fatti alla base di tale pronuncia sono, invero, piuttosto noti. La Commissione, in applicazione del reg. 4064/89 avviava un procedimento relativo all’acquisizione da parte della Tetra Laval BV , società finanziaria del gruppo Tetra, che include al suo interno anche la la società Tetra Pak, impresa leader a livello mondiale nell’imballaggio in cartone e ritenuta occupare una posizione dominante, in particolare, nel campo dell’imballaggio asettico, della Società Sidel SA (a sua volta impresa produttrice di macchine atte all’imballaggio ed ai trattamenti cd. a barriera).
27In particolare occorre osservare che l’impianto giuridico-teorico utilizzato dalla Corte nel decidere tale caso, è sostanzialmente il medesimo adottato poi nel successivo caso cd. General Eletric Company.
28Cfr. supra Kali
29Punto 103 della sentenza: “Infatti, dalla lettura dei punti 259, ultima frase, e 268 della sentenza impugnata emerge che, nell’ambito dell’individuazione di mercati distinti, il Tribunale non si è pronunciato relativamente alla prova diretta di una discriminazione […], ossia la possibilità di determinare con precisione a quale gruppo appartenga un dato cliente e l’impossibilità di avvalersi degli scambi fra clienti o dell’arbitraggio tramite terzo”.
30Valutazione che, evidentemente, non può essere assoggettata al controllo della Corte nell’ambito di un ricorso contro una pronuncia del Tribunale.
31Come l’art. 2 del reg. 4064/1989 impone, al fine di valutare la compatibilità di una determinata operazione con l’equilibrio della concorrenza nel mercato comune, la Commissione deve tenere conto di diversi elementi che spaziano dalla struttura del mercato rilevante al grado di concorrenza effettiva e potenziale posto in essere dagli altri operatori del settore.
32General Eletric Company c. Commissione, causa T-210/01, 14 dicembre 2005, Racc. II-5575
33“Un ruolo di vero garante può essere svolto solo dal Tribunale. Da questo punto di vista è positivo che, a partire dal 2001, siano stati introdotti vari accorgimenti per accelerare le sentenze in materia di concentrazioni. Ma i poteri del Tribunale dovrebbero essere estesi alla sospensione cautelare delle decisioni della Commissione, senza la quale la capacità delle imprese di resistere alle richieste di misure correttive, pur se infondate, è pressoché nulla. In generale, le decisioni del Tribunale dovrebbero giungere con la massima tempestività, dato gli effetti altrimenti irreversibili di una decisione di divieto”, S.Micossi, “Il ruolo dell’analisi economica nella nuova disciplina del controllo delle concentrazioni” .
34Per quanto riguarda le sostanziali novità e la portata della riforma si fa riferimento all’articolo recentemente pubblicato sul portale web Diritto&Diritti “Il quadro normativo delle concentrazioni: dalla legislazione europea a quella nazionale” cura di G. Adamo, R. Strangio, G. Pesce.
35Ci si riferisce in particolare all’ultima parte della presente trattazione, quella cioè inerente in particolare alle pronunce Tetra Laval BV e General Eletric Company c. Commissione in cui la conflittualità tra le decisioni assunte dalla Commissione e la riforma di queste operata dal Tribunale è particolarmente evidente.
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