La conciliazione si prepara alla data di avvio del prossimo 21 marzo per proporsi ai cittadini obbligatoriamente in settori di estremo rilievo sociale, quali le successioni ereditarie, i patti di famiglia, le locazioni, i comodati, gli affitti di azienda, la responsabilità medica, la diffamazione e i contratti assicurativi, bancari e finanziari, come metodo alternativo di risoluzione delle controversie. L’emanazione del decreto del Ministro della Giustizia 180/2010 chiude una fase importante dell’attuazione del nuovo strumento che, nelle intenzioni del legislatore europeo e italiano, offre la possibilità di dirimere un conflitto senza adire la Magistratura e di ridurre i tempi di attesa nella giustizia civile. La situazione in questo settore è veramente difficile in quanto, secondo gli ultimi dati del Ministero, in Italia per avere una sentenza occorrono mediamente dieci anni, i giudizi in corso sono circa 5.700.000, ogni anno vengono iscritte circa 230.000 cause nuove e i magistrati in organico sono 8.000, di cui solo una parte svolge effettivamente attività d’udienza.
Gli italiani, che si caratterizzano ormai da anni per la loro predisposizione alla litigiosità, sono chiamati oggi a placare i propri animi e, con l’aiuto di un terzo, estraneo e imparziale, possono comporre bonariamente una lite.
Il terzo in questione è il conciliatore, un soggetto in possesso di un diploma di laurea almeno triennale e/o appartenente ad un ordine professionale e deve aver compiuto un percorso formativo per conciliatore di 50 ore presso enti autorizzati dal Ministero. E’ un professionista imparziale, neutrale e indipendente, che deve saper conquistare le fiducia delle parti e tenere aperta la negoziazione, deve saper ascoltare con rispetto e pazienza, armonizzando gli interessi e, nel frattempo, cercare di individuare il BATNA, ossia la migliore soluzione della controversia per ciascuna delle parti. Chi vanta un diritto certo, dovrà forse rinunciare a “qualcosa”, ma potrà evitarsi lo shock delle aule di giustizia, i tempi biblici, i dissapori con il proprio difensore per i rinvii delle cause a tre anni e, da non sottovalutare, la possibilità di “parlare” face to face con il proprio avversario, magari dirgliene quattro, ma poi, alla fine, stringergli la mano.
I sistemi di ADR, acronimo di Alternative Dispute Resolution, pur essendo considerati una novità nel nostro Paese, sono da tempo utilizzati negli altri sistemi giuridici mondiali.
Un primo esempio di conciliazione lo si rinviene già nell’antica Cina, dove la stessa era considerata strumento primario di risoluzione delle controversie; tale propensione del sistema cinese è sfociato poi nell’istituzione dei cosiddetti comitati popolari di conciliazione (1982). Non da meno risulta il Giappone, dove da sempre lo strumento conciliativo è utilizzato in ambito familiare, ambientale e di lavoro.
Il grande sviluppo della conciliazione si è avuto negli USA, a partire dagli anni ’70, in risposta al fenomeno della cosiddetta litigation explosion. Le corti federali videro più che raddoppiato il numero delle cause civili iscritte, con evidenti problemi per gli organi giurisdizionali di riuscire a gestire i contenziosi in tempi brevi e a costi contenuti. Esiste sempre, in ogni civiltà giuridica, un rapporto diretto tra quantità di norme giuridiche e quantità di controversie; orbene, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, gli USA sono intervenuti legiferando in ordine a materie che fino ad allora erano state lasciate alla volontà contrattuale delle parti. E’ così che prende vita un sistema di “giustizia sociale informale” fondato sull’intervento di un soggetto che non ha potere decisionale, ma che aiuta le parti a trovare una soluzione alla propria controversia. Una continua crescita di casi risolti tramite queste procedure ha portato, nel 1998, alla modifica del Titolo 28° della Carta dei Diritti (riguardante la risoluzione dei conflitti), con la previsione della prevalenza degli strumenti A.D.R. su qualsiasi procedura contenziosa. In molti casi, infatti, prima di potersi rivolgere al giudice ordinario le A.D.R. sono un passaggio preventivo obbligato. Ad oggi, l’affermazione dei sistemi conciliativi delle liti ha portato negli USA ad un deflazionamento del contenzioso di circa il 90%.
In ambito europeo, la Commissione, circa 12 anni fa, nel suo Libro Verde sui modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale diversi dall’arbitrato (1999), rilevava che lo sviluppo di queste forme di composizione delle controversie non deve essere percepito come un modo per rimediare alle difficoltà di funzionamento del sistema giudiziario, ma come un’altra forma di pacificazione sociale più consensuale, e, in molti casi, più appropriata del ricorso al giudice o ad un arbitro. La soluzione ideale per due soggetti in conflitto, non è sempre costituita da un provvedimento di un magistrato: il sistema giudiziario, a prescindere dalla sua efficienza e anche da quanto sia rapido e affidabile, potrebbe non offrire alle parti la soluzione più adatta e, comunque, non essere adeguato ad ogni forma di disputa. Come si sa, il processo è diretto a provare i fatti e ad applicare il principio astratto previsto dalla legge: l’esame della verità si riduce ai “fatti provati” in corso di causa. Non spetta ai giudici appurare che la sentenza appaghi gli interessi-motivazioni delle parti. Le ADR rappresentano, nell’intento comunitario, una risposta diversa alla domanda di giustizia dei cittadini e richiedono un cambiamento culturale profondo rispetto al concetto stesso di giurisdizione. Tutto ciò per dire che i metodi extragiudiziali non vanno concepiti né come un sistema sempliciotto di alleggerire il carico giudiziario, né come giustizia minore.
Al di là di ogni ideale, l’Italia però è chiamata a risolvere il “problema giustizia”. Il comitato del Consiglio dei Ministri d’Europa ha fermamente invitato le autorità italiane a risolvere il problema della lungaggine dei processi, sottolineando che i ritardi della giustizia costituiscono un serio pericolo per il rispetto della supremazia della legge.
I lavori in tema di conciliazione a livello europeo tendono a distinguere due grandi categorie di modi alternativi di risoluzione delle controversie: le procedure in cui il terzo aiuta le parti a trovare un accordo, senza assumere una posizione formale, e le procedure in cui il terzo trova lui stesso una soluzione che poi presenta alle parti. In entrambe le procedure la Commissione raccomanda il rispetto di imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità.
L’Italia, pur ponendosi ai massimi livelli nell’Unione Europea per domanda di giustizia e numero di cause pendenti, nel corso degli anni si è aperta all’applicazione dei metodi ADR (Alternative Dispute Resolution) solo in modo discontinuo, persistendo forse un pregiudizio, a torto o a ragione, verso tutto ciò che non è prerogativa della giustizia togata.
Lo stesso legislatore, emanando il decreto legislativo 28/2010, ha allargato l’ambito della giustizia alternativa estendendo la platea delle controversie mediabili, nella speranza di porre rimedio alla grave situazione creatasi nella giustizia civile.
Ma si può prevedere allo stato attuale un successo per il nuovo istituto? La risposta presuppone la valutazione di parametri complessi, soprattutto in un settore come quello della giustizia in cui gli effetti degli interventi sono valutabili a distanza di tempo. Inoltre, essendo importante la componente “umana”, bisogna considerare il clima con cui vengono accettate le novità da chi dovrà tradurre le norme legislative e amministrative in organizzazione precisa ed efficace. Il regolamento attuativo (180/2010) assesta la disciplina e pone sul tappeto la necessità di prepararsi comunque e per tempo al cambiamento di mentalità, che deve essere orientata più agli interessi e meno ai diritti degli utenti. Saranno soprattutto gli avvocati ad essere protagonisti sul campo di questa innovazione che ha visto nella sua fase di realizzazione impegnati esperti qualificati nei sistemi di risoluzione alternativa delle controversie.
La disciplina della mediazione civile e commerciale in Italia trova i suoi antecedenti in due importanti provvedimenti, uno di diritto interno e l’altro di diritto comunitario.
Il primo si riferisce alla disciplina della conciliazione in materia societaria, contenuta negli artt. 38 e segg. del D.lgs 57/2003, nonché nei decreti di attuazione del 2004 e, quanto al secondo, alla direttiva del 21 maggio 2008 n. 52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Non è un caso, infatti, che le norme sulla conciliazione societaria siano state inserite tra i principi della delega che il Parlamento ha conferito al Governo per l’emanazione delle norme in tema di mediazione.
L’iter normativo che ha portato all’emanazione del D.lgs 28/2010 risale alla legge 18 giugno 2009 n.69, recante “disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”. All’interno di questo contesto, infatti, il legislatore ha inserito alcune importanti norme che hanno modificato il Codice di procedura civile e, allo stesso tempo, alcune importanti deleghe destinate a incidere sul processo civile in Italia. Tra queste, la delega in materia di mediazione civile e commerciale , contenuta nell’articolo 60.
L’attuale disciplina costituisce il primo esempio di normativa sulla mediazione in generale, applicabile a tutte le controversie di natura civile e commerciale, al cui interno possono essere individuati i principi tracciati dal legislatore europeo; allo stesso tempo, l’impianto operativo disegnato dal legislatore delegato riprende in larga parte quello che già era stato costruito in occasione della riforma delle società, ove le norme sulla conciliazione hanno rappresentato un salto di qualità delle disposizioni legislative (relativamente alla conciliazione) nell’ordinamento giuridico italiano, rispetto al quale già altre norme speciali avevano fatto implicito o esplicito richiamo.
La conciliazione è una procedura di risoluzione delle controversie in base alla quale una terza persona imparziale, il conciliatore, assiste le parti in conflitto guidando la loro negoziazione e orientandole verso la ricerca di accordi reciprocamente soddisfacenti. Non vuole sopperire alle carenze del sistema giudiziario, né si pone come alternativa alla giustizia, ma propone una via, differente dalle altre più conosciute o più praticate, di risoluzione dei conflitti. Ad esempio, l’arbitrato, così come il processo civile, appartiene alle procedure contenziose, cioè rappresenta uno scontro tra due parti volto ad accertare la violazione di un diritto: compito del giudice, o dell’arbitro, è quello di mettere a confronto le parti e individuarne le relative responsabilità.
Diversamente, con la conciliazione si tenta di individuare la soluzione ottimale del problema e di orientare le parti a giungere ad un accordo vantaggioso per entrambe.
Le parti partecipano alla conciliazione per decisione propria e possono scegliere di portare a buon fine la procedura solo se lo considerano conveniente per i propri interessi. In caso di accordo sono le parti stesse a delinearne termini e contenuti.
La conciliazione è una procedura rapida: mentre la durata media di un giudizio civile ordinario si protrae per anni, il tentativo di conciliazione può consentire una risoluzione in una sola seduta e, comunque, deve esaurirsi in un tempo massimo di quattro mesi.
Se le parti non arrivano ad un accordo, non perdono alcun diritto e, possono avviare una causa giudiziaria. Nel caso in cui la conciliazione si concluda con il raggiungimento di un accordo totale o parziale, questo avrà valore di contratto, e le parti si impegneranno a dare esecuzione al medesimo nei termini da loro stabiliti.
Chiunque può accedere alla mediazione, purché si pongano questioni inerenti diritti disponibili, senza escludere aprioristicamente forme di negoziazione.
Non sono previste formalità particolari ed è possibile utilizzare anche modalità telematiche.
Per accedere ad una procedura conciliativa è sufficiente presentare un’istanza presso l’organismo competente, indicando le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa (c.d. causa petendi).
Il testo di legge regola la figura istituzionale degli organismi di mediazione, ovvero degli enti pubblici o privati presso i quali può svolgersi il procedimento di mediazione, generalizzando il sistema previsto dalla conciliazione societaria, con un Registro tenuto e vigilato dal Ministero della Giustizia. Gli organismi privati, per essere accreditati, devono essere in possesso di taluni requisiti finanziari e organizzativi previsti dal Decreto 180/2010.
Gli organismi oggi iscritti al Registro sono circa 150
E’ prevista una sorta di litispendenza: in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda (il tempo della domanda si individua con la data della ricezione della comunicazione).
Il procedimento deve essere esperito, a pena di improcedibilità (da eccepire nel primo atto difensivo dal convenuto, oppure dal giudice non oltre la prima udienza), nei casi di controversie relative a: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
La domanda di accesso alla procedura conciliativa va inoltrata all’organismo prescelto, il quale designa un conciliatore. Su accordo delle parti coinvolte, può essere scelto il conciliatore che tratterà il procedimento. Il primo incontro tra le parti è fissato non oltre quindici giorni dal deposito della domanda. Il professionista incaricato ascolta le parti congiuntamente e disgiuntamente e cerca un accordo amichevole di definizione della controversia, il tutto in un arco temporale di massimo quattro mesi.
Se la conciliazione riesce, è lui stesso che redige il verbale, lo sottoscrive e lo fa sottoscrivere alle parti; se, invece, l’accordo non è raggiunto, il conciliatore può formulare una proposta di conciliazione. Nel verbale, contenente l’indicazione della proposta, si dà atto della eventuale mancata partecipazione di una delle parti al procedimento, circostanza che se non giustificata da una valida ragione, può essere utilizzata dal giudice quale argomento di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del Codice di procedura civile.
In qualunque momento del procedimento, su concorde richiesta delle parti, il mediatore formula una proposta di conciliazione .
Dal punto di vista dell’efficacia esecutiva, qualora l’accordo venga raggiunto, dovrà essere omologato dal Tribunale, che ne verificherà regolarità formale e rispetto dei principi di ordine pubblico. Il conseguente verbale costituirà titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti o per il ritardo nel loro adempimento.
All’esito del processo civile, se il provvedimento del giudice corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa, e la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente riferite al medesimo periodo, nonché al pagamento del contributo unificato.
Nei casi di parti cui spetta, nel processo, il gratuito patrocinio, l’organismo fornirà la prestazione gratuitamente.
Sono altresì previste agevolazioni fiscali. Tutti gli atti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. In particolare, il verbale di conciliazione sarà esente dall’imposta di registro sino all’importo di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.
In caso di successo della mediazione, le parti avranno diritto ad un credito d’imposta fino a un massimo di 500 euro per il pagamento delle indennità dovute all’organismo di conciliazione. In caso di insuccesso, il credito d’imposta è ridotto della metà.
Quanto costa conciliare? Sono previsti diritti di segreteria pari a € 40,00 da versarsi a cura della parte istante al deposito della domanda e a cura delle parti che accettano di partecipare all’incontro di conciliazione, prima del medesimo. Il Ministero ha poi previsto i seguenti scaglioni
Valore della lite Spesa (per ciascuna parte)
Fino a Euro 1.000 Euro 65
da Euro 1.001 a Euro 5.000 Euro 130
da Euro 5.001 a Euro 10.000 Euro 240
da Euro 10.001 a Euro 25.000 Euro 360
da Euro 25.001 a Euro 50.000 Euro 600
da Euro 50.001 a Euro 250.000 Euro 1.000
da Euro 250.001 a Euro 500.000 Euro 2.000
da Euro 500.001 a Euro 2.500.000 Euro 3.800
da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000 Euro 5.200
oltre Euro 5.000.000 Euro 9.200
Le spese di conciliazione, come sopra indicate, sono IVA inclusa e comprendono anche l’onorario del conciliatore, indipendentemente dal numero degli incontri svolti. Le spese indicate sono dovute da ciascuna parte, anche nel caso in cui le parti siano più di due. Il rilascio da parte del conciliatore del verbale di mancata adesione di una parte all’esperimento del tentativo di conciliazione è di €. 150 a carico della parte presente al tentativo di conciliazione.
La mediazione suscita, a pochi giorni dall’entrata in vigore, colorate contestazioni dell’avvocatura, almeno di parte di essa, preoccupata per alcuni aspetti della normativa.
Lo scorso 9 marzo i magistrati del TAR Lazio, prendendo in esame il ricorso a firma dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura avente ad oggetto l’annullamento del regolamento attuativo di cui al d.m. 180/2010, non concedendo la sospensiva, hanno eliminato l’ultimo ostacolo all’entrata in vigore del tentativo obbligatorio di conciliazione. A chi non ripone alcuna fiducia nel nuovo istituto non resta che la protesta in piazza. Unico dispiacere è vedere i professionisti, che dovrebbero ergersi a strumento di giustizia, contrastare con tutta la loro diffidenza la possibilità offerta ai cittadini di scegliere tra la giurisdizione e altre forme di risoluzione delle liti.
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