Parlare di conciliazione dei tempi di vita e lavoro significa parlare principalmente di donne, là dove nella maggior parte dei casi spetta a loro doversi organizzare tra orari entrata/uscita figli a scuola, orari apertura/chiusura uffici pubblici e negozi. Spesso le donne si devono anche occupare della gestione familiare di anziani non autosufficienti di contrappasso con orari lavorativi spesso ingessati in schemi rigidi e poco conciliabili con tutto questo.
Sono infatti ancora poche le aziende italiane che prevedono all’interno della propria organizzazione un’ottica di genere in tal senso, prevedendo ad esempio orari flessibili in entrata/uscita, possibilità di part time per determinati periodi della vita lavorativa per esigenze temporanee, oppure il telelavoro che in Italia ha trovato poche applicazioni a differenza di altri Paesi come da ultimo l’Olanda dove è stata approvata una Legge che a breve entrerà in vigore, secondo cui il datore di lavoro non potrà opporsi alla richiesta di lavorare da casa presentata da un dipendente, salvo legittimi impedimenti dovuti alla particolarità del tipo di lavoro.
Questo risultato è importante perchè tutti questi carichi di vita e di lavoro spesso creano stress e diminuzione talvolta della produttività lavorativa quando invece le donne sanno essere nella maggior parte dei casi molto più efficaci ed efficienti dei colleghi uomini – come dimostrato in molti studi di settore fatti al riguardo – se messe nelle giuste condizioni di vita e lavoro.
La comparazione con gli altri Paesi, specie del Nord Europa, quindi ci vede molto indietro dal punto di vista della conciliazione orari vita/lavoro, per cui bisogna fortemente far sì che cambi la mentalità aziendale, non solo ricorrendo a nuove normative, dal momento che l’azienda ha tutta l’autonomia per darsi un’organizzazione appunto in un’ottica di genere.
Dal punto di vista normativo, comunque, ben fa sperare il Dlgs del 20 febbraio 2015, non ancora convertito in legge e facente parte del cd. Jobs Act sulla “Conciliazione dei tempi di vita e lavoro”, il cui intento è quello di uniformare e ampliare le tutele della genitorialità; in particolare, viene esteso ad entrambi i genitori il diritto al Congedo Parentale e per un periodo maggiore rispetto alla precedente normativa, cioè fino ai 12 anni del bambino (e non più fino a otto) e con diritto all’indennità del 30% a carico dell’INPS fino al sesto anno del bambino (prima era fino a tre anni). Inoltre, il diritto al congedo parentale può essere usufruito a ore o a giorni.
Altra novità è l’estensione del congedo di maternità anche al padre lavoratore autonomo libero professionista.
Forse anche questo non basterà però. E’ necessario quindi che movimenti di opinione, workshop, seminari, forze politiche si facciano carico di promuovere ulteriori politiche a sostegno della genitorialità e della famiglia e informare e coinvolgere sempre più le organizzazioni aziendali con esempi pratici di fattibilità e risultati concreti di benefici raggiunti in aziende che si sono organizzate seguendo i principi dell’ottica di genere.
Le Pari Opportunità di genere, infatti, sono biunivoche, per cui il diritto alla genitorialità e all’inserimento della cultura della cura e della famiglia anche per i compagni uomini, rappresenta un passo determinante per progredire sul versante sia pratico che culturale.
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