Nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.
Volume per approfondire: Compendio di Diritto Penale – Parte speciale
1. Il fatto
Il Tribunale di Agrigento affermava la penale responsabilità dall’imputato in ordine al delitto di cui agli artt. 81 comma 2, 56 e 629 cod. pen., e, una volta proposto appello, veniva presentata l’istanza di concordato mediante la quale l’imputato rinunciava ai motivi riguardanti la responsabilità e l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, mentre si insisteva sull’accoglimento del motivo in ordine alla insussistenza della recidiva, indicando la pena finale in anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 400 di multa con il consenso espresso dal Procuratore generale.
La Corte territoriale emetteva, quindi, sentenza (corredata da contestuale motivazione) in conformità all’accordo e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, escludeva l’aumento per la recidiva (frutto di erronea annotazione nel certificato penale del precedente considerato a tal fine) e rideterminava la pena inflitta all’imputato nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure era proposto ricorso per Cassazione da parte della difesa dell’accusato che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione all’art. 599-bis cod. proc. pen., censurandosi la sentenza per l’omessa declaratoria di esclusione della circostanza aggravante della recidiva, riguardante doglianza non rinunciata nella proposta di concordato; 2) violazione di legge in relazione agli artt. 161 cod. pen. e 129 cod. proc. pen., censurandosi l’omessa declaratoria di prescrizione del reato.
2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
La Seconda sezione, assegnataria del ricorso summenzionato, sollecitava l’intervento delle Sezioni Unite registrando un contrasto giurisprudenziale.
Difatti, secondo un orientamento nomofilattico, è ammissibile la ricorribilità della sentenza di appello, emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., per dedurre la prescrizione del reato maturata anteriormente alla detta sentenza e non oggetto di specifica rinunzia, in base ai principi espressi da Sez. U, n. 18953 del 25/2/2016, mentre secondo un altro indirizzo, affermatosi dopo la riforma introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103, la ricorribilità della predetta sentenza è configurabile solo «per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza».
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite delimitavano prima di rutto la questione di diritto, che erano chiamati a decidere, nei seguenti termini: «se avverso la sentenza di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen. sia consentito proporre ricorso per cassazione con il quale si deduca l’estinzione per prescrizione del reato, maturata anteriormente alla pronuncia di secondo grado».
Premesso ciò, dopo avere esaminato la prima doglianza stimandola manifestamente infondata, per quanto concerne la seconda, su cui si poneva il suddetto contrasto, dopo avere illustrato i diversi e contrapposti indirizzi interpretativi che si sono formati su tale questione, e dopo avere compiuto un sintetico inquadramento generale dell’istituto del concordato in appello, le Sezioni unite ritenevano come, in mancanza di una espressa rinuncia alla prescrizione, avverso la sentenza di concordato in appello, sia proponibile il ricorso in cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato maturata anteriormente a detta sentenza, considerandosi, a tal proposito, di centrale rilievo l’argomento espresso da Sez. U, n. 18953 del 2016, che designa l’irrilevanza della specialità del rito ex art. 444 cod. proc. pen., allorquando saggia la tenuta del principio affermato in tema di rinuncia alla prescrizione rispetto ad esso, osservando che la differenza strutturale rispetto al rito ordinario «non è, però, tale da comportare, per il patteggiamento, un regime differenziato in tema di rinuncia alla prescrizione, posto che la norma di cui all’art. 157, settimo comma, cod. pen., è disposizione di carattere generale, valida per tutti i casi e moduli procedurali, senza eccezioni o diversificazioni di sorta». Sicuri riferimenti ulteriori alla esclusione di forme equipollenti a quella di rinuncia espressa alla prescrizione «sono le disposizioni di cui agli artt. 444, comma 2, e 129 cod. proc. pen., oltre alla previsione dell’art. 157, settimo comma, cod.
pen. che hanno attribuito specifico rilievo – nel caso sottoposto al loro esame all’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. che «detta la sequenza diacronica che caratterizza il modulo procedimentale del “patteggiamento”», rilevandosi al contempo, come meritevole di richiamo ai fini della presente disamina, quanto osservato, nella Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, e Sez. U, n. 5 del 28/05/1997, nei seguenti termini: «il paradigma procedimentale assegna priorità alla verifica dell’insussistenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen., da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale, e precisamente sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero (sulla scansione nelle due fasi della procedura del patteggiamento, anche Sez. U, n. 18 del 21/06/2000). Soltanto in caso di negativa delibazione il giudice può, poi, procedere all’esame di legittimità della piattaforma negoziale offertagli dalle parti, al fine di verificare correttezza del nomen iuris attribuito a’ fatto-reato, legalità e congruità dell’assetto sanzionatorio concordato. Sicché (…) solo sino ad un certo punto può dirsi esatta l’affermazione che il rito speciale si incentra nel potere dispositivo delle parti, posto che un ruolo centrale è pur sempre attribuito al giudice, chiamato, anche in questa speciale procedura, ad un compito attivo e vigile, che lo rende tutt’altro che spettatore inerme e silente di una vicenda negoziale inter partes, deputato ad una funzione meramente “notarile” di semplice ratifica di un accordo privatistico secondo l’efficace espressione della Corte cost., sent. n. 313 del 1990».
«Sicché anche in presenza di richiesta condivisa di patteggiamento, che, per qualsiasi ragione, non abbia tenuto conto di maturate cause estintive del reato, il giudice – in nessun modo condizionato dall’esercizio di un potere di rinuncia alla prescrizione, non espresso nelle forme di legge non è comunque esentato dal dovere funzionale del pertinente rilievo, ai sensi del menzionato art. 129 cod. proc. pen., che segna, pertanto, il momento di criticità della tesi che ammette equipollenti alla dichiarazione espressa di rinuncia».
Orbene, per la Suprema Corte, codesto esposto percorso argomentativo mantiene a maggior ragione la sua validità in relazione all’istituto ex art. 599-bis cod. proc. pen. che non costituisce procedimento speciale e non si discosta dal modello ordinario in relazione alla rinuncia ai motivi ed alla valutazione di quelli non rinunciati, fermo restando che non osta alla applicazione del principio il contesto in cui lo stesso è stato affermato, definito dalla ritenuta «pacifica acquisizione giurisprudenziale» secondo la quale l’omesso od erroneo esercizio del potere-dovere di verifica della sussistenza di cause estintive ex art. 129 cod. proc. pen. integra vizio di legittimità deducibile in cassazione (vds. pag. 10 della sentenza n. 18953/2016) dal momento che tale contesto risulta mutato a seguito della riforma del 2017 che con l’art. 448-bis cod. proc. pen. ha introdotto speciali motivi di ricorribilità della sentenza di cd. patteggiamento, al quale ha fatto seguito l’orientamento di legittimità secondo cui la maturata prescrizione del reato al momento della sentenza che omologa l’accordo raggiunto dalle parti non è deducibile in cassazione, in quanto non determina l’illegalità della pena ai sensi del novellato art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., ma può essere rilevata dal giudice al quale è sottoposto l’accordo che non implica di per sé rinuncia alla prescrizione (Sez. 5, n. 26425 del 30/04/2019; conforme Sez. 6, n. 5210 del 11/12/2018).
Purtuttavia, sempre ad avviso degli Ermellini, il rilevato mutamento non incide sull’istituto del concordato in appello una volta ribadito il principio per il quale la proposizione dell’accordo non implica di per sé rinuncia alla prescrizione, causa estintiva alla quale consegue l’obbligo di immediata declaratoria previsto dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen..
Oltre a ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano altresì che l’esercizio di tale potere-dovere non si pone in conflitto con il principio secondo il quale il giudice, qualora ritenga di accedere all’accordo, non può discostarsi dai termini in cui è stato prospettato.
Invero, la pronuncia di un provvedimento difforme da quello richiesto dalle parti si giustifica in quanto l’esercizio del predetto potere-dovere dà luogo a un provvedimento che si pone in rapporto di alternatività e di priorità logica rispetto a quello domandato dalle parti, deducendo contestualmente che
la conclusione illustrata non è in contrasto con la tradizionale e tralatizia affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. né sull’insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove perché si deve rapportare l’obbligo della motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (vds. da ultimo, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018).
Ciò posto, a questo punto della disamina, il Supremo Consesso denotava comunque che l’applicabilità del principio espresso dalla sentenza 18953/2016 imponesse l’ulteriore verifica correlata all’individuazione dei limiti di ricorribilità della sentenza emessa a seguito del concordato in appello circa la generale ammissibilità della deduzione, mediante ricorso per cassazione, della prescrizione maturata antecedentemente alla pronuncia di appello.
Per la Corte di legittimità, dunque, l’incidenza di questo principio, espresso anteriormente alla riforma del 2017, sulla questione in esame, implicava invero la risoluzione della preliminare questione riguardante le regole di ammissibilità del ricorso avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. ristretto ad alcuni limitati casi dall’orientamento espresso dalla sentenza n. 4709 del 2019 o escluso dalle altre già citate.
Orbene, ad avviso delle Sezioni unite, questi orientamenti non potevano essere condivisi.
Si notava infatti a tal proposito che il percorso ermeneutico individuato dall’indirizzo espresso dalla sentenza n. 4709/2019 si correla ad una ratio desunta dalle speciali regole previste per il diverso rito di applicazione della pena su richiesta delle parti, nonostante sia patrimonio acquisito, in dottrina ed in giurisprudenza, anche costituzionale (v. Corte cost. sent. n. 448 del 1995), la differenza funzionale e strutturale tra i due istituti e l’assenza di simmetria tra sentenza ex art, 444 cod. proc. pen. e pronuncia ex art. 599-bis cod. proc. pen., fermo restando che il fondamento di una siffatta osmosi ermeneutica può essere individuato in una perdurante e generalizzante precomprensione del fenomeno processuale interpretato, di volta in volta emergente nelle decisioni di legittimità, che echeggia l’antica regola pacta sunt servanda secondo la specifica declinazione processuale per la quale il concordato processuale non può essere unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, con il ricorso per Cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate.
Ebbene, per la Suprema Corte, tale fondamento è certamente condivisibile in relazione alle questioni sulle quali si è verificata preclusione o intervenuto giudicato sostanziale, ma non coinvolge la prescrizione del reato che non può intendersi rinunciata per il solo fatto della proposizione dell’accordo, la cui valutazione è demandata al giudice del gravame.
Per la Corte, non ha poi fondamento la pretesa incidenza sul tema in esame della novella del 2017, rilevandosi al contempo che, a tal riguardo, la sentenza n. 4709/2019 non tiene conto che, con la introduzione dell’istituto del concordato in appello, come per il previgente art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e diversamente dall’istituto ex art. 444 cod. proc. pen., non è stato introdotto un regime speciale di ricorribilità della sentenza, scelta legislativa che fa ritenere immutato il relativo quadro sistematico.
L’operazione ermeneutica volta a superare il regime generale di ricorribilità, estendendo i principi dall’uno all’altro istituto non è quindi consentita per il principio di tassatività che governa i mezzi di impugnazione ed in relazione alta specialità del regime previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che è di stretta interpretazione, così come non merita, infine, alcuna condivisione l’orientamento secondo il quale l’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. esclude la ricorribilità della sentenza ex art. 599-bis cod. proc. pen.
L’argomentare assai stringato delle decisioni che sostengono tale orientamento, difatti, per la Cassazione, si limita alla considerazione secondo «la quale l’art. 610 c.p.p., comma 5-bis cod. proc. pen., come riformulato dall’art. 1, comma 62 della legge 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, ha escluso la ricorribilità per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., limitando l’impugnazione al solo ricorso straordinario di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen.» (così, per tutte, Sez. 5, n. 54543 del 28/09/2018) mentre, dal canto suo, la dottrina ha interpretato questo orientamento individuando in esso la condivisione di un’opinione minoritaria, espressa subito dopo l’entrata in vigore della riforma del 2017, che si incentra su un significato del tutto peculiare attribuito al terzo periodo dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. per il quale “contro tale provvedimento è ammesso il ricorso straordinario a norma dell’articolo 625bis”, ritenendosi, quindi, che il legislatore, con la locuzione “contro tale provvedimento”, si sia riferito non alle pronunce di inammissibilità rese de plano dalla Corte, elencate nei primi due periodi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., ma alle sentenze di concordato in appello, le quali sono l’ultima categoria di decisioni richiamate nel secondo periodo della medesima disposizione.
Secondo altra prospettiva, inoltre, la ratio dell’orientamento in parola potrebbe essere colta in base alla locuzione “allo stesso modo la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena e contro la sentenza pronunciata a norma dell’art. 599-bis”, interpretata quale esclusione tout court di ogni possibilità di ricorso nei confronti di tali tipologie di sentenze, “per definizione” ritenute non impugnabili.
Pur tuttavia, per le Sezioni unite, queste prospettive ermeneutiche, che individuano, in base alla richiamata disposizione dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen., una diretta ed indiscriminata previsione di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, non possono in alcun modo essere condivise, in quanto non tengono conto della univoca collocazione della disposizione in parola dato che essa è posta nel contesto delle norme volte a disciplinare gli atti preliminari del procedimento in cassazione, fase per la quale è stabilito – secondo l’art. 610, comma 1, cod. proc. pen.- che il rilievo di una causa di inammissibilità del ricorso determina l’assegnazione di esso ad una apposita sezione per la decisione in camera di consiglio.
Cosicché la disposizione dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen. individua i presupposti in presenza dei quali è prevista la procedura de plano per la trattazione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e quella pronunciata a norma dell’art. 599-bis del codice di rito e, pertanto, essa non riguarda i presupposti di ammissibilità dei rispettivi ricorsi: quelli relativi al cd. patteggiamento sono previsti nell’art. 448-bis cod. proc. pen. nell’ambito della disciplina del rito speciale, mentre nessuna novità è stata introdotta per il concordato in appello, tenuto conto altresì del fatto che l’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. accomuna, in rapporto all’individuato contesto e finalità semplificativa, le due tipologie di sentenza in ragione della agevole rilevazione dei più ristretti casi di inammissibilità dei ricorsi conseguenti ai limiti di ricorribilità stabiliti per la sentenza di cd. patteggiamento dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. e della novazione riduttiva del devoluto per quella di concordato in appello.
In conclusione, anche dopo la riforma del 2017, esclusa l’introduzione di speciali limiti di ricorribilità in cassazione per la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, per il Supremo Consesso, può essere riaffermato quanto segue: «nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso per cassazione, l’errore del giudice di appello che ha omesso di dichiarare la già intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte interessata in quel grado. Il ricorso per cassazione, anche se strutturato su questo solo motivo, è certamente ammissibile, perché volto a fare valere l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. L’error in iudicando si concretizza proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilità. L’impugnazione mira ad emendare tale errore. L’ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio; né alcuna rilevanza preclusiva all’ammissibilità dell’impugnazione può attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell’appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). L’art. 129 cod. proc. pen. impone al giudice, come recita la rubrica, l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e a tale “obbligo” il giudice di merito non può sottrarsi e deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. “giudicato sostanziale”».
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “Deve, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto: “nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza”.
4. Conclusioni
Con la sentenza qui in esame, le Sezioni unite, dopo un articolato ragionamento giuridico, hanno composto il contrasto in questione (ovvero “se avverso la sentenza di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen. sia consentito proporre ricorso per cassazione con il quale si deduca l’estinzione per prescrizione del reato, maturata anteriormente alla pronuncia di secondo grado”), postulando, come appena visto, che nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.
Dunque, per effetto di questo arresto giurisprudenziale, sarà possibile ricorrere per Cassazione, ove si verifichi una situazione di questo genere, senza particolari criticità di ordine ermeneutico.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, di conseguenza, proprio perché fa chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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